La Britannia era in antichità un’isola quasi mitica: prima della conquista romana era considerata una terra incognita. I celti avevano colonizzato l’isola nei secoli precedenti la conquista di Roma, ma la Britannia restava qualcosa di quasi totalmente sconosciuto.

La spedizione di Cesare

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Nel corso della guerra gallica (58-51 a.C.) Giulio Cesare fece diverse spedizioni “punitive” sia oltre il Reno che in Britannia. Nel 55 a.C. Cesare inviò due legioni, che sbarcarono nel Kent, e dopo alcune difficoltà sconfissero i britanni, ma furono costrette alla ritirata.

Di tutt’altra portata fu la spedizione del 54 a.C.: Cesare organizzò un’enorme flotta di 800 navi, sbarcando personalmente con 5 legioni. Non trovando alcuna resistenza, penetrò nell’entroterra e sconfisse i britanni ma, tornato alle navi, scoprì che una tempesta le aveva quasi tutte distrutte e si apprestò a difendere la posizione e a ripararle.

Costruito un vallo a difesa delle legioni e delle navi, Cesare si ritrovò assediato dalle truppe di Cassivellauno. In seguito a numerose scaramucce e battaglie i romani uscirono vincitori e Cesare attaccò le popolazioni locali, riuscendo ad ottenere la pace e stabilire le prime relazioni commerciali e diplomatiche con la Britannia. Riparate le navi, tornò in Gallia.

La conquista della Britannia

Già Augusto aveva pianificato delle invasioni, mai intraprese. Nel 40 d.C. Caligola aveva radunato diverse legioni ma i soldati si rifiutarono di attraversare il mare: l’isola era considerata qualcosa di estremamente distante e faceva paura. Nel 43 d.C. l’imperatore Claudio trovò il pretesto per invadere l’isola: la reintegrazione al trono di Verica, re riconosciuto dai romani. Claudio, appena divenuto principe, cercava legittimazione militare per il suo titolo di imperatore; infatti si era sempre dedicato alle lettere, la filosofia e la politica (Claudio era un vero e proprio filologo: decise di introdurre nuove lettere nell’alfabeto latino per alcuni suoni).

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Il comando delle operazioni fu affidato a Aulo Plauzio, primo governatore dell’isola, al comando di 4 legioni (II Augusta, IX Hispana, XIV Gemina, XX Valeria Victrix – la II Augusta era comandata dal futuro imperatore Vespasiano) e 20.000 ausiliari.

Le campagne romane durarono diversi anni e necessitarono di diversi imperatori, ma ciò non tolse la possibilità a Claudio di fregiarsi (nonostante l’isola non fosse pacificata) del titolo di Britannico, tanto da dare lo stesso nome al figlio (poi ucciso da Nerone). Inizialmente, sotto il principato di Claudio, il dominio romano era confinato al sud est dell’isola, ossia all’Inghilterra centrale e meridionale.

La rivolta di Budicca

Sotto il principato di Nerone Prasutago, re degli Iceni, morto attorno al 60 d.C., dispose per testamento di dividere il regno (cliente di Roma) tra i suoi eredi e i romani, ma quest’ultimi decisero di annettere totalmente i suoi territori. La moglie, Budicca, venne pubblicamente frustata quando recriminò per la scelta arbitraria dei romani. Umiliata, decise di sollevare il suo popolo contro i conquistatori: Gaio Svetonio Paolino, governatore dell’isola, stava affrontando una spedizione in Galles, perciò i britanni poterono attaccare e distruggere la capitale romana Camulodunum (dove risiedevano molti veterani), Verulamium (St. Albans) e Londinium (Londra).

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Svetonio Paolino, riorganizzato l’esercito e tornato indietro, affrontò nella battaglia di Waitling street, nel 61 d.C., Budicca e il suo esercito. Nonostante l’inferiorità numerica e il luogo non del tutto adatto a dispiegare le legioni, Svetonio Paolino distrusse totalmente l’esercito di Budicca. Quest’ultima decise di avvelenarsi per non cadere nelle mani dei romani.

La pacificazione dell’isola e ulteriori campagne militari

Negli anni seguenti Ceriale, Frontino e Agricola portarono avanti altre campagne militari per pacificare il Galles e la parte settentrionale della Britannia, spingendosi fino alla Scozia meridionale. La Scozia (così come l’Irlanda) non venne mai annessa ma i suoi abitanti vennero pesantemente sconfitti ripetutamente.

Nell’ 84 d.C., presso il monte Grapio, in Scozia, Agricola riuscì a venire a battaglia con i Caledoni comandati da Calgaco, dopo aver tagliato loro i rifornimenti. Celebre è il discorso messo in bocca al caledone da Tacito:

“Noi, che siamo al limite estremo del mondo e della libertà, siamo stati fino a oggi protetti dall’isolamento e dall’oscurità del nome. Ora, tuttavia, si aprono i confini ultimi della Britannia e l’ignoto è un fascino. Ma dopo di noi non ci sono più altre tribù, ma soltanto scogli e onde e un flagello ancora peggiore, i romani, contro la cui prepotenza non servono come difesa neppure la sottomissione e l’umiltà. Razziatori del mondo, adesso che la loro sete di universale saccheggio ha reso esausta la terra, vanno a cercare anche in mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l’oriente né l’occidente possono saziare. Loro bramano possedere con uguale smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero. Fanno il deserto, e lo chiamano pace.”

Tacito, Agricola, 30

L’ultima frase è rimasta nella storia come emblema della romanità: “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant“, “dove fanno il deserto, lo chiamano pace”. A lungo si è dibattuto se questa fosse una critica di Tacito contro l’imperialismo romano e spesso è stata usata a pretesto per screditare la storia romana. Tacito probabilmente non aveva alcuna simpatia per queste tribù barbare, semplicemente riportava il loro punto di vista, ma era fermamente convinto nella superiorità romana. D’altro canto il dibattito sull’integrazione non è molto differente da quello fatto tra Arminio e il fratello Flavo sull’utilità e i vantaggi di essere romani, e che riporterà anche Flavio Giuseppe quando la Giudea si ribellerà a Roma nel 66 d.C.

La battaglia del monte Grapio fu una grande vittoria per i romani, che tuttavia non annessero la Scozia poichè Domiziano richiamò a Roma, invidioso, Agricola. Nei secoli seguenti ci furono altre spedizioni che si avvicinarono all’annessione come quella di Settimio Severo, ma egli morì poco prima della vittoria finale, nel 211. Anche Costanzo Cloro morì in circostanze analoghe, nel 306. Entrambi morirono a Eburacum, ossia York.

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Nel corso del II secolo erano stati eretti due enormi valli che dividevano a metà l’isola, non mura da difendere, ma più che altro barriere per regolare gli scambi e muovere più efficacemente le truppe (con posti di guardia, accampamenti, strade) nel caso di incursioni nemiche: il vallo di Adriano e più a nord, nel punto più stretto dell’isola, il vallo di Antonino Pio. Quest’ultimo venne poi abbandonato e i romani si attestarono al livello del primo.

Il vallo di Adriano

Costruito in opera cementizia e rivestito di pietre squadrate, era largo mediamente 8 piedi romani (circa 2 metri e mezzo), mentre il bastione si ergeva per circa 5-6 metri e possedeva una merlatura e un camminamento di ronda. C’erano circa 320 torri di segnalazione e ogni miglio, appoggiati quasi sempre al bastione, fortini quadrangolari di circa 20 m x 20 m per le sentinelle che sorvegliavano tutto il perimetro del forte. A distanza di 4-5 miglia l’uno dall’altro c’erano dei veri e propri forti (castra stativa o stationes) di 1 o 2 ettari, addossati al muro o anche arretrati, dove stazionavano delle coorti e alae ausiliarie che pattugliavano il confine. A ulteriore protezione del muro, sul versante settentrionale, c’era un fossato con la tipa forma romana a V, largo mediamente 9 m e profondo 4 m. A ulteriore protezione, dal lato interno, c’era un’ulteriore fossato protetto da un terrapieno sia frontalmente che posteriormente, distante circa 7 metri dal fossato (a sua volta a circa 60 metri dal muro) e alto mediamente circa 2 metri). Infine un terzo terrapieno, più stretto, ma più ripido, difendeva il lato più meridionale del fossato. Lungo tutto il muro correva una strada lastricata che permetteva lo spostamento rapido di truppe tanto lungo il limes quanto l’arrivo di rinforzi (legioni e ausiliari) dall’interno.

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L’abbandono dell’isola

La Britannia fu a partire dal II secolo relativamente pacifica nonostante fosse una zona di frontiera: vi erano comunque acquartierate di solito ben tre legioni, ossia un decimo dell’esercito romano. Il dominio romano portò la Britannia ad un rapido sviluppo sociale ed economico, che tuttavia terminò bruscamente nel 410 d.C. Sul finire del IV secolo d.C. erano iniziate delle incursioni e razzie navali a opera dei sassoni, germani insediati grossomodo tra i Paesi Bassi e la Danimarca. Furono costruiti molti forti lungo le coste. Ci furono anche usurpazioni: alla metà del IV secolo Magnezio, sul finire del secolo Magno Massimo, che sbarcò in Europa. Ristabilito l’ordine da Teodosio, molti soldati furono inviati a colmare i vuoti dovuti alla battaglia di Adrianopoli del 378 d.C.

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Altre truppe furono ritirate dall’isola per difendere il continente dai visigoti di Alarico, finché con l’usurpazione di Costantino III nel 407 d.C., che attaccò la Gallia, e la sua sconfitta, Onorio decise di mantenere le truppe in Europa. Con una missiva datata 410 d.C. Onorio esortava i britanni a provvedere da sè alla propria difesa.

Era l’abbandono della Britannia, che piomberà in una decisa regressione nel corso dei secoli seguenti e sarà conquistata da sassoni tra il V e VII secolo (i britanni fuggiti nell’Armonica, la Gallia nord occidentale, daranno al luogo il nome di Bretagna), per poi diventare un regno normanno nel 1066 con Guglielmo il Conquistatore, che riporterà un po’ di “Europa” nelle isole britanniche.

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