Flavio Valerio Aurelio Costantino era nato il 27 febbraio 274 a Naisso. In seguito all’istituzione della tetrarchia a opera di Diocleziano, nel 305 il padre Costanzo Cloro era salito dal rango di Cesare a quello di Augusto, ma era morto improvvisamente. I soldati, a Eburacum (York) lo avevano acclamato imperatore nel 306, stravolgendo l’idea dioclezianea che ad un Augusto sarebbe dovuto seguire naturalmente il suo Cesare.

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Il Cesare di Costanzo era Flavio Severo e sarebbe dovuto subentrargli, ma Costantino era determinato ad essere nominato almeno Cesare dopo l’acclamazione dell’esercito. Allo stesso modo, in Italia e Africa era stato acclamato imperatore Massenzio, figlio dell’ex imperatore Massimiano, che si era ritirato controvoglia nel 305 a vita privata costretto dal collega Diocleziano. I due avevano poi eliminato Severo, e dopo un convegno a Carnuntum nel 308 cui aveva partecipato anche Diocleziano, Galerio e Licinio erano stati nominati Augusti e Costantino e Massimino Daia Cesari.

In hoc signo vinces

Massimiano trovò rifugio presso Costantino ma poco dopo tentò di prendere di nuovo la porpora; Costantino lo raggiunse e lo costrinse a suicidarsi, a Marsiglia, nell’estate del 310. Poco dopo morì Galerio, nel 311. Costantino marciò sull’Italia, per eliminare Massenzio, rimasto escluso dagli accordi di Carnuntum, sconfiggendo le sue truppe a Torino e Verona; infine a Ponte Milvio, il 28 ottobre del 312 d.C., si scontrarono i due imperatori. Massenzio ebbe la peggio e morì annegato durante la ritirata.

Lattanzio narra che la sera precedente Costantino ebbe in sogno una visione in cui Cristo gli chiedeva di apporre il suo simbolo, forse il monogramma con cui era venerato, chi e rho in greco, sugli scudi dei suoi soldati. Eusebio riporta due versioni: nella prima, contenuta nella Storia ecclesiastica, dice soltanto che Dio aiutò l’imperatore. Nella vita di Costantino, decisamente posteriore, invece riporta una storia molto più dettagliata, secondo cui Costantino, in marcia, vide una croce di luce in cielo e una scritta in greco: “Εν Τουτω Νικα” (“con questo vinci”, tradotta poi “in hoc signo vinces” in latino). Ma la versione, narra, gli fu riportata dall’imperatore in tarda età, dicendo che solo lui l’aveva vista (e l’esercito?).

Eusebio aggiunse che nella guerra civile con Licinio il labarum di Costantino, l’insegna imperiale, aveva il simbolo chi-rho. Quel che è certo è che Costantino, già da prima, si era avvicinato al culto della divinità solare, il sol invictus, che aveva molte somiglianze con Mitra e il Dio cristiano e che successivamente simpatizzò per i cristiani, evolvendo questa simpatia: ancora sotto di lui, sebbene vietasse i sacrifici umani, si svolgevano giochi gladiatori e c’erano templi dedicati al “Dio Costantino”. Inoltre le monete di Costantino fino al 318-19 riportano quasi sempre il Sole, quelle fino al 324 sono più “neutre”, ed è solo dopo la sconfitta di Licinio che i riferimenti pagani scompaiono.

L’editto di Milano

Divenuto Augusto d’Occidente, Costantino emanò l’editto di Milano nel 313 con il collega Licinio (che aveva sconfitto Massimino Daia), dando piena libertà religiosa (contrariamente alle persecuzioni di Diocleziano e Galerio).

« Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. »

(Lattanzio, De mortibus persecutorum, XLVIII)

Unico imperatore

Nel 314 fece guerra a Licinio e gli strappò l’Illirico, e nel 323 scoppiò l’ultima guerra. Licinio, sconfitto ripetutamente, venne ucciso nel 324 e Costantino rimase unico imperatore: era finito l’esperimento della tetrarchia.

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Statua di Costantino davanti il duomo di York

Costantino fece uccidere poi il figlio Crispo, primogenito, forse per una presunta relazione con Fausta, la matrigna. Fausta volle eliminare Crispo per assicurarsi che i propri figli prendessero il potere? In ogni caso in quello stesso 326 Costantino visitò Roma per festeggiare i suoi vicennalia, dove gli era stato eretto un arco di trionfo.

L’imperatore era rimasto ammaliato dalla città di Bisanzio, assediata durante la guerra con Licinio, tanto che la ricostruì e ampliò completamente, rendendola la Nuova Roma: un nuovo senato, un nuovo pomerium, 7 nuovi colli. La città fu inaugurata l’11 maggio del 330 e prese il nome di Costantinopoli.

Politica

Costantino riformò profondamente l’amministrazione e la burocrazia, sulla strada di Diocleziano, e anche l’esercito, con la definitiva distinzione in limitanei (truppe di frontiera) e comitatensi (di movimento, stanziate all’interno). Sciolse inoltre la guardia pretoriana dopo la vittoria contro Massenzio, a cui era rimasta fedele. Inoltre, introdusse l’aurum tironicum, una tassa in oro che sostituiva la fornitura di reclute da parte dei proprietari terrieri, con cui si assoldavano preferibilmente barbari. Non è un caso che moltissimi comandanti romani del IV secolo abbiano nomi e origine barbariche:

« Queste misure di sicurezza vennero meno con Costantino, che tolse la maggior parte dei soldati dalle frontiere e li insediò nelle città che non avevano bisogno di protezione; privò dei soccorsi quelli che erano minacciati dai barbari e arrecò alle città tranquille i danni provocati dai soldati: perciò ormai moltissime risultano deserte. Inoltre lasciò rammollire i soldati, che frequentavano i teatri e si abbandonavano a dissolutezze: in una parola fu lui a gettare il seme, a causare la rovina dello Stato che continua sino ai giorni nostri. »

(Zosimo, Storia nuova, II, 34, 2)

Venne istituito un apparato burocratico immenso e vennero creati dei magisteri che erano dei veri e propri ministeri: il comes rerum privatarum, il magister officiorum, il quaestor sacri palatii, il comes sacrarum largitionum, il praepositus sacri cubiculi.

A livello monetario Costantino terminò la politica di continua svalutazione, con percentuali sempre minori d’argento nella moneta (tentata di contenere da Aureliano mezzo secolo prima), e basò l’economia sul solido d’oro, provocando una brusca deflazione che danneggiò terribilmente le classi meno agiate (andando controcorrente all’edictum de prectiis di Diocleziano).

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Combatté lungo il fronte renano, danubiano e persiano, riportando numerosi successi.  Alla sua morte, nel 337, stava preparando una spedizione contro i persiani che non mise mai in atto; ci provò una ventina d’anni dopo Giuliano ma la sua morte in battaglia e la scelta come imperatore di Gioviano portarono ad una rapida pace con i persiani, nonostante le vittorie riportate, perdendo anche le conquiste fatte lungo il confine da Diocleziano.

Morte di un imperatore “santo”

Il 22 maggio 337 Costantino morì nei pressi di Nicomedia, non senza farsi prima battezzare. I tre figli furono i suoi eredi, Costanzo II, Costante e Costantino II. Quest’ultimo era il maggiore, ma lui e Costante e morirono, e infine rimase solo Costanzo, che all’inizio aveva avuto l’oriente.

Il funerale fu solenne: scortato da truppe armate per le vie di Costantinopoli, l’imperatore venne seppellito, dietro sua richiesta, nella Chiesa dei Santi Apostoli, al centro di 12 tombe fittizie che rappresentavano gli apostoli.

La posizione degli storici su Costantino e il cristianesimo è ancora controverso. Certamente l’imperatore aveva simpatia per i cristiani, ma è tutt’altro che certa la sua volontà di istituire una sorte di “nuovo ordine” cristiano in contrapposizione a quello pagano. Quel che è certo è che comunque la vita civile fu regolamentata in modo nuovo, suddividendo l’anno in settimane:

«Nel venerabile giorno del Sole [ndr. la domenica], si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la cura delle vigne; sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo.»

(Codice di Giustiniano, III, 12, 2)

In ogni caso Costantino permeava i rapporti con la Chiesa come un imperatore: era lui a scegliere cosa era giusto, ed era stato lui a presiedere il concilio di Nicea nel 325, non un vescovo. Alla fine si stabilì un credo che è ancora quello che crediamo oggi. Inoltre concesse privilegi alla Chiesa, come esenzioni fiscali.

La falsa donazione di Costantino

Su Costantino venne costruito un mito, nella vita di papa Silvestro, in cui si narrava una leggendaria redenzione dell’imperatore. Tale mito venne utilizzato nell’VIII secolo, in un periodo in cui sotto papa Stefano II e Paolo I riviveva il mito di Silvestro, durante l’avanzata impetuosa di Astolfo, re dei longobardi, che stava per riunire la penisola in un unico regno, per creare un documento falso: la donazione di Costantino.

La donazione, redatta come un vero e proprio documento pubblico, conteneva delle disposizioni totalmente fittizie secondo cui Costantino avrebbe donato al papa e ai suoi successori tutto l’impero d’occidente. Sebbene falso, nè i longobardi nè i contemporanei erano in grado di dimostrarne la falsità.

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Nei secoli seguenti divenne l’atto giuridico che garantiva ogni pretesa di potere temporale del papato, finchè Lorenzo Valla, nel Quattrocento, scrisse un trattato, De falso credita et ementita Constantini donatione, La falsa donazione di Costantino, in cui demoliva completamente il testo, sia su basi storiche che filologiche.

Il documento era stato infatti realizzato con ogni probabilità per opporsi disperatamente all’avanzata longobarda: l’imperatore bizantino si disinteressava dell’Italia e l’unico potere temporale forte in Italia era il papa.

Successivamente, ottenuto l’aiuto dei franchi e incoronato Carlo Magno imperatore, il documento divenne uno strumento per garantire al papa libertà d’azione nelle faccende temporali.

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