La battaglia tra i romani e una coalizione di sanniti, galli, umbri ed etruschi, per fermarne l’avanzata, durante la terza guerra sannitica
Furio Camillo e Brenno: la verità dietro la leggenda
“Non con l’oro ma col ferro si deve salvare la patria”. Così tuonava il dittatore Marco Furio Camillo nei confronti dei romani che stavano comprando la pace dai galli che assediavano Roma, stando allo storico di età augustea Tito Livio.
Graecia capta ferum victorem cepit
La cultura greca infine soggiogò i romani, tanto da far dire ad Orazio che la Grecia aveva portato l’arte e la cultura nel Lazio agreste: “Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio” (Orazio, Epistole, Il, 1, 156). Poco tempo dopo Virgilio celebrava nella sua Eneide l’eroica (e greca) nascita di Roma, a partire dal troiano Enea, antenato di Cesare e Ottaviano Augusto, che dunque fondavano l’impero romano anche sul prestigio eroico delle gesta degli antenati.
Le guerre sannitiche
Nel corso di tre guerre, nell’arco di cinquant’anni e nonostante le ignominiose Forche Caudine, i romani con la vittoria di Sentinum sconfissero i sanniti.
La devotio di Publio Decio Mure – il sacrificio per la patria
Secondo Livio furono ben tre i Decio Mure a immolarsi, nonno, padre e figlio. Il primo caso fu nel 340 a.C.: il console Publio Decio Mure, combattendo i latini al Vesuvio e riscontrando auspici sfavorevoli decise, dopo essersi consultato col pontefice, di utilizzare l’antichissimo e desueto rituale della devotio, ossia un immolazione agli dei. Si indossava la toga praetexta, ci si velava il capo, si chiedeva agli dei la distruzione dell’esercito nemico in cambio della propria vita.
Vittoria di Pirro
Dopo la battaglia di Ascoli Satriano, nel 279 a.C., Pirro avrebbe esclamato: «Ἂν ἔτι μίαν μάχην νικήσωμεν, ἀπολώλαμεν» («un’altra vittoria così sui Romani e sarò perduto»), da cui sarebbe poi derivata l’espressione “vittoria di Pirro”. Infatti il re epirota vinse, ma a carissimo prezzo.
Quinto Fabio Massimo
Il dittatore Quinto Fabio Massimo Verrucoso, detto il Temporeggiatore, permise ai romani di sopravvivere al temibile pericolo di Annibale.