Adriano, nato il 24 gennaio del 76 d.C., divenne imperatore alla morte di Traiano, grazie all’appoggio di Plotina, moglie dell’ispanico.

«Il ramo più antico della famiglia dell’imperatore Adriano trae la sua origine nel Piceno, quello più recente nella Spagna: egli stesso, infatti, nella sua Autobiografia, riferisce che i suoi antenati, originari di Adria, all’epoca degli Scipioni avevano risieduto ad Italica. Il padre di Adriano fu Elio Adriano, soprannominato «Afro», cugino dell’imperatore Traiano, sua madre Domizia Paolina, nativa di Cadice, sua sorella Paolina, sposata a Serviano, Sabina la moglie; suo trisavolo fu quel Marullino che per primo nella famiglia fu senatore romano. Nacque a Roma il 24 gennaio dell’anno corrispondente al settimo consolato di Vespasiano e al quinto di Tito (76 d.C.). Essendo rimasto, a dieci anni, orfano di padre, ebbe come tutori suo cugino Ulpio Traiano, che allora aveva già rivestito la pretura e in seguito sarebbe divenuto imperatore, e Celio Attiano, cavaliere romano.»

(Historia Augusta, Adriano, 1, 1-4)

Il padre di Adriano morì quando aveva solo dieci anni; gli fu dato quindi come tutore proprio il futuro imperatore Traiano. Nel 100 Adriano sposò Vibia Sabina, pronipote dell’imperatore. Poi seguì tutto il cursus honorum: tribuno militare, questore, tribuno della plebe, pretore, legato di legione, console, e infine governatore di Siria proprio nel 117, quando Traiano morì.

Imperatore

Alla morte dell’imperatore ispanico Adriano non era dunque solo uno dei parenti più prossimi e papabili, ma si trovava anche non lontano. Fu Plotina, moglie di Traiano, che volle adottare Adriano; Cassio Dione affermava un secolo dopo che il padre, governatore proprio di Cilicia (Traiano morì a Selinunte), Marco Cassio Aproniano, gli riferì che Plotina imitò la voce di Traiano morente, affermando di adottare Adriano, che dunque l’imperatore non avrebbe voluto come suo successore.

Inoltre Plotina firmò una lettera, falsificando la firma di Traiano, in cui diceva di adottare Adriano. Ma chi avrebbe voluto Traiano? Di sicuro non aveva lasciato disposizioni né tenuto in considerazione la faccenda. Che volesse rimettere al senato, dopo la sua morte, la decisione? Sarebbe stato realmente un optimus princeps.

«Poté avvalersi pure del favore di Plotina, grazie all’interessamento della quale egli fu inoltre nominato legato al tempo della spedizione contro i Parti […] Designato console per la seconda volta grazie all’appoggio di Plotina, ottenne con ciò il sicuro preannunzio dell’adozione. Una voce molto diffusa diceva che, all’epoca in cui era di casa a corte, egli avrebbe corrotto i liberti di Traiano, e avrebbe circuito i giovani favoriti dell’imperatore, in molte occasioni anche abusando di loro. Il 9 di agosto, mentre era governatore in Siria, ricevette la lettera che gli comunicava ufficialmente l’adozione, e questa data volle che fosse celebrata quale anniversario di quell’avvenimento. L’11 dello stesso mese ricevette la notizia della morte di Traiano, e questo giorno stabilì che dovesse essere solennizzato come anniversario della sua accessione al trono. Era invero opinione diffusa che Traiano avesse avuto in animo di lasciare come successore non Adriano, ma Nerazio Prisco, avendo in questo l’approvazione di molti suoi amici, tanto che un giorno ebbe a dire a Prisco: «Affido a te le province, nel caso mi dovesse succedere una qualche disgrazia». Molti poi dicono che la reale intenzione di Traiano fosse – sull’esempio di Alessandro il Macedone – di morire senza nominare un successore, altri soggiungono che egli si sarebbe proposto di inviare al senato un messaggio ufficiale per richiedere che, se gli fosse accaduto qualcosa, fosse tale consesso a dare un principe allo Stato romano, aggiungendo soltanto i nomi tra i quali lo stesso senato avrebbe scelto il migliore. Né manca un’altra versione – che fu messa in giro da taluni – secondo la quale Adriano avrebbe ricevuto l’adozione quando Traiano era già morto, in grazia di un’abile manovra di Plotina, consistente nella sostituzione di un’altra persona fatta parlare con voce flebile in luogo di Traiano.»

(Historia Augusta, Adriano, 4, 1-10)

Nonostante tutto l’11 agosto del 117 Adriano fu acclamato imperatore. La politica del princeps fu subito quella di abbandonare le province che non potevano essere mantenute, seguendo i consigli di Augusto:

«Ottenuto il potere, subito si orientò secondo la primitiva politica imperiale adoperandosi per il mantenimento della pace in tutto il mondo. Infatti i popoli che Traiano aveva sottomesso stavano sollevandosi: i Mauri compivano atti provocatori, i Sarmati erano all’offensiva, i Britanni non era ormai più possibile tenerli sottomessi all’autorità di Roma, l’Egitto era in preda alle ribellioni, la Libia e la Palestina, infine, erano animate da spiriti ribelli. Per questo egli abbandonò tutti i territori al di là dei Tigri e dell’Eufrate seguendo, come diceva, l’esempio di Catone, che proclamò che la Macedonia dovesse essere indipendente, dal momento che non era possibile difenderla. E poiché vedeva che quel Partamasiri che Traiano aveva creato re dei Parti aveva scarsa autorità su quel popolo, lo mise a capo di popolazioni limitrofe.»

(Historia Augusta, Adriano, 5, 1-4)

«Frattanto abbandonò molte province conquistate da Traiano e, contrariamente ai voti di tutti, distrusse il teatro che il predecessore aveva costruito nel Campo Marzio. E questi provvedimenti apparivano ancor più odiosi, in quanto Adriano tutto ciò che vedeva risultare impopolare, voleva farlo passare come esecuzione di ordini comunicatigli in segreto da Traiano.»

(Historia Augusta, Adriano, 9, 1-2)

Il rapporto con il senato

«Indirizzando al senato una lettera accuratamente riguardosa, chiese e, col consenso generale, ottenne, che fossero concessi onori divini a Traiano, facendo sì che i senatori, di loro stessa iniziativa, decretassero per Traiano anche molte onoranze che Adriano non aveva richiesto. Sempre scrivendo al senato, si scusò del fatto che non aveva lasciato ad esso la prerogativa di sancire la sua accessione al trono, spiegando che era stato acclamato imperatore dai soldati senza il minimo indugio, perché lo Stato non poteva rimanere senza un capo. Avendogli poi il senato decretato il trionfo, che spettava a Traiano, egli lo rifiutò, e sul carro trionfale fece trasportare l’immagine di Traiano, affinché quell’ottimo principe non venisse privato, neppure dopo la morte, degli onori del trionfo. Rifiutò l’appellativo di «padre della patria» che gli era stato offerto sin dal primo momento, e un’altra volta successivamente, ricordando che Augusto non aveva ricevuto se non dopo molti anni questo titolo.»

(Historia Augusta, Adriano, 6, 1-4)


«Vietò che i servi fossero messi a morte dai padroni e ordinò che, ove lo meritassero, fossero condannati dai giudici. Proibì di vendere schiavi o ancelle a lenoni o maestri di gladiatori senza produrne giustificato motivo. Ordinò che coloro che avevano dissipato le proprie sostanze, se legalmente responsabili, venissero frustati nell’anfiteatro e poi lasciati andare. Soppresse le case di pena a lavori forzati sia per gli schiavi che per i liberi. Nei bagni costituì due sezioni distinte per i due sessi. Stabilì che, se un padrone veniva ucciso in casa sua, non fossero sottoposti ad interrogatorio tutti i servi, ma quelli che, per essersi trovati nelle vicinanze, potevano essersi accorti del fatto.»

(Historia Augusta, Adriano, 18, 7-11)

Adriano invitò Lucio Salvio Giuliano, consolare e giurista, a raccogliere gli editti dei pretori, formando un primo corpus legislativo romano. Le iniziative che toglievano potere ai padroni nei confronti degli schiavi, che non potevano più condannare senza un processo, né vendere liberamente come gladiatori, uniti ai dubbi di molti senatori sulla successione (restii alle politiche meno espansionistiche), portò ad alcuni complotti, che Adriano risolse mandando a morte quattro consolari, tra cui Lusio Quieto, consolare e comandante della cavalleria maura sotto Traiano e uno dei fautori delle sue vittorie militari, già nel 118, condannati in absentia:

«Riuscì a sfuggire ad un complotto che Nigrino – che pure Adriano aveva designato come proprio successore – aveva ordito, con la complicità di Lusio e di molti altri, per assassinarlo mentre stava compiendo un sacrifìcio. A motivo di esso, per ordine del senato ma contro il volere di Adriano (come dice egli stesso nella sua Autobiografia), furono soppressi Palma a Terracina, Celso a Baia, Nigrino a Faenza e Lusio mentre si trovava in viaggio. Allora Adriano, per cancellare la pessima fama che si era fatto per aver permesso che in una sola volta fossero messi a morte quattro consolari, si recò immediatamente a Roma, dopo aver affidato il governo della Dacia a Turbone, insignito – perché fosse accresciuta la sua autorità – del rango proprio della prefettura d’Egitto; e, onde far tacere le voci negative che circolavano su di lui, appena arrivato concesse al popolo un congiario doppio, dopo che già, quando era ancora lontano, aveva fatto distribuire a ciascun cittadino tre aurei. Volle anche scusarsi in senato di quanto era avvenuto, e giurò che mai avrebbe in futuro punito un senatore se non dopo un voto espresso dal senato stesso.»

(Historia Augusta, Adriano, 7, 1-4)

Il vallo di Adriano

Adriano cercò di togliersi di dosso l’immagine di imperatore anti-senatorio, senza tuttavia riuscirci del tutto; promise anche non avrebbe mai più reso alcun danno a un senatore, ma nel 137 fece uccidere il cognato Lucio Giulio Urso Serviano e il nipote Fusco, rei di aver ordito una congiura nei confronti del principe adottato, Lucio Elio Cesare. Inoltre il rapporto col senato venne incrinato dalla divisione in quattro zone dell’Italia, affidata a quattro consolari, che ne amministravano la giustizia, sottraendola di fatto ai senatori.

L’imperatore che amava viaggiare

Aveva una grande passione per la poesia e la letteratura, [9] ed era espertissimo di aritmetica, geometria, pittura. Dava inoltre apertamente saggio della sua perizia nell’arte di suonare e cantare. Nei piaceri sensuali non conosceva misura: e molti componimenti in versi scrisse sulle persone oggetto dei suoi amori. [10] Aveva poi una grande perizia nel campo delle armi e una profonda competenza nell’ambito della strategia militare: e sapeva pure maneggiare le armi da gladiatore. [11] Era ad un tempo serio e gioviale, affabile e contegnoso, sfrenato e controllato, avaro e generoso, schietto e simulatore, crudele e mite, e sempre in ogni cosa mutevole.

(Historia Augusta, Adriano, 14, 8-11)

Adriano amava particolarmente la cultura greca, tanto da farsi nominare arconte di Atene, città cui diede anche alcuni monumenti come l’arco e il foro. Ma soprattutto amava Antinoo, che portò con sè nei suoi viaggi, e che trovò la morte tragicamente in Egitto, annegato nel Nilo. Gli avrebbe poi dedicato una città, Antinoopoli.

Antinoo

Durante i suoi viaggi, dal 121, al 132, che ricoprirono la grossa parte del suo principato, ispezionò gli accampamenti e le esercitazioni militari nei confini di ogni angolo d’impero, dalla Germania alla Britannia, dall’Africa all’Egitto, al Danubio. Fece edificare anche un vallo di 80 miglia in Britannia per regolare la frontiera:

«In effetti Adriano pose un freno al rilassamento della disciplina che si era andato verificando dopo Cesare Ottaviano per via della negligenza degli imperatori che l’avevano preceduto: regolò gli uffici e le spese, mai permise che alcuno si assentasse dall’accampamento senza un giustificato motivo, mentre d’altro canto non la popolarità goduta tra i soldati, ma solo il giusto merito era titolo di preferenza per la nomina dei tribuni; era di incitamento agli altri con l’esempio della sua condotta: era capace di marciare, con le armi indosso, anche per venti miglia; eliminò dall’accampamento, facendoli demolire, triclini, portici, passaggi coperti, aiuole; indossava spesso vesti molto dimesse, portava la cintura senza finiture d’oro, usava come fermaglio una fibbia senza gemme, aveva l’impugnatura della spada a malapena d’avorio; andava a visitare i soldati malati nei loro quartieri, sceglieva il luogo adatto per l’accampamento, concedeva il grado di centurione solo a uomini gagliardi e di buona reputazione, né creava uno tribuno se non avesse già una folta barba o un’età tale da poter essere all’altezza, per maturità e per anni, del duro impegno richiesto dal tribunato, e vietò che i tribuni accettassero alcunché dai soldati; bandì da ogni parte ogni forma di rilassatezza, e infine rinnovò l’armamento e l’equipaggiamento dei soldati. Giudicava inoltre personalmente dell’età che dovevano avere i soldati, per evitare che, in contrasto con le antiche usanze, avessero a prestare il servizio militare o elementi troppo giovani per averne le doti richieste, o troppo vecchi perché il senso di umanità potesse permetterlo, e faceva in modo di conoscerli sempre tutti e di essere al corrente del loro numero.

Si preoccupava inoltre di mantenere un controllo accurato sui depositi militari, e si informava anche scrupolosamente delle risorse delle province, in modo da poter sopperire ad eventuali carenze che si fossero da taluna parte manifestate. Tuttavia si sforzava più che tutti gli altri imperatori di non acquistare o mantenere mai nulla di improduttivo. Riformato dunque l’esercito in modo degno di un sovrano, si recò in Britannia, dove mise in opera molte riforme, e per primo fece erigere un muro lungo 80 miglia, il cui scopo era quello di tenere separati i barbari dai Romani.»

(Historia Augusta, Adriano, 10, 3 – 11, 2)

Villa Adriana

Ultimo, ma non ultimo, Adriano si dedicò a completare a restaurare edifici, non solo ad Atene e nell’impero, ma anche a Roma, tra cui il Pantheon, opera di Apollodoro di Damasco, e costruito originariamente da Agrippa.

Gli ultimi anni e la morte

Completata la splendida villa Adriana, costruita a Tivoli, pochi km a est di Roma, vi spese molto tempo nei suoi ultimi anni. Tuttavia nuovi problemi si profilavano all’orizzonte: una terza rivolta giudaica. La guerra, svoltasi tra il 132 e 135, aveva alla sua origine l’avversione per alcune pratiche ebraiche come la circoncisione, che non era conciliabile con gli ideali di bellezza greci.

A capo della rivolta c’era Simone Bar Kochba, cioè “il figlio della Stella”, (ovvero il “Messia“, mentre i suoi oppositori lo chiamavano “bar Koziba“, cioè “il figlio della menzogna”). La guerra fu durissima, la legio XXII Deitoraiana sparì (e anche la IX Hispana, che stazionava in Britannia, ma non si sa se ci siano collegamenti con la guerra giudaica). L’ultima battaglia, nei pressi di Gerusalemme, in cui perse la vita Simone, fu un massacro; il Talmud ricorda che i romani uccisero moltissimi giudei e che i cavalli annegavano nel sangue, che arrivava fino alle narici. Cinquanta fortezze rase al suolo, quasi 1.000 villaggi distrutti e centinaia di miglia di morti, sono i dati riportati. Gerusalemme fu distrutta e ricostruita come Colonia Elia Capitolina, con un cardo e un decumano e un tempio di Giove, e iniziò la diaspora del popolo ebraico.

Ormai per Adriano, che aveva aumentato gli alimenta e condonato moltissimi debiti, e che soffriva di terribili dolori (idropisia), era tempo di scegliere un successore. La prima scelta fu Lucio Ceionio Commodo, che assunse il nome di Lucio Elio Cesare, ma morì improvvisamente nel gennaio del 138.

Le condizioni di Adriano peggioravano e si risolse ad adottare un senatore di famiglia illustra, Tito Aurelio Fulvio Boionio Antonino, che prese il nome di Elio Adriano Antonino, a patto che quest’ultimo adottasse il nipote Marco Annio Vero, che prese il nome di Marco Aurelio Antonino, e il figlio di Elio Cesare, Lucio Vero.

Il progetto di Adriano era concluso e si sarebbe compiuto: Marco Aurelio e Lucio Vero sarebbero succeduti ad Antonino, detto il Pio. Infine, giunse la morte per Adriano, il 10 luglio del 138. Sarebbe stato poi portato nel Mausoleo che si era fatto costruire in riva al Tevere, oggi Castel Sant’Angelo.


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