Lucio Elio Vero era stata la prima scelta di Adriano, ma morì improvvisamente pochi mesi prima dell’imperatore. Perciò Adriano decise che a succedergli sarebbe stato Tito Aurelio Fulvo Antonino (da qui il nome di Marco Aurelio Antonino), noto come Antonino Pio per la saggezza e l’epoca d’oro. Seguendo il principio dell’adozione in vigore fin da Nerva, Adriano scelse dunque uno dei più facoltosi e prestigiosi senatori della sua epoca: il nonno era stato prefectus urbis e console due volte, l’altro proconsole d’Asia e due volte console. Antonino, nato nell’ 86 a Lanuvio nel Lazio (sebbene fosse in parte originario di Nimes, nella Narbonense), di famiglia illustre, aveva ricoperto il consolato nel 120 e ed era stato proconsole d’Asia tra il 133 e il 136, inoltre faceva parte del prestigioso consilium principis (un senato ristretto).

«Tito Aurelio Fulvo Boionio Antonino Pio era originario, per parte di padre, della Gallia transalpina, precisamente di Nemauso; suo nonno era Tito Aurelio Fulvo il quale, dopo aver ricoperto varie cariche, era giunto al secondo consolato e alla prefettura urbana; suo padre era Aurelio Fulvo, che fu pure lui console, uomo austero ed onesto, la nonna materna era Boionia Procilla, la madre Arria Fadilla, il nonno materno Arrio Antonino, che fu due volte console, uomo di costumi irreprensibili e noto per aver commiserato Nerva per la sua ascesa al trono; la sorella era Giulia Fadilla, il patrigno Giulio Lupo, di rango consolare, il suocero Annio Vero, la moglie Annia Faustina; ebbe due figli maschi1 e due femmine, la maggiore sposata a Lamia Silvano, la minore a Marco Antonino. Antonino Pio nacque il 19 settembre dell’anno in cui erano consoli Domiziano per la dodicesima volta e Cornelio Dolabella, in una tenuta di Lanuvio. Fu educato a Lorio, lungo la via Aurelia, dove successivamente eresse un palazzo, di cui ancor oggi rimangono i ruderi.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 1, 1-8

Un imperatore Pio

Antonino Pio

Antonino successe ad Adriano, che morì il 10 luglio del 138. Il nuovo imperatore era nato il 19 settembre dell’86, e aveva quindi cinquantadue anni quando ottenne la porpora. Il nome con cui sarebbe passato alla storia fu quello di Pio, anche se già gli antichi si domandavano per quale motivo. Le principali motivazioni addotte erano che aveva aiutato Adriano, che faceva molta fatica a camminare, sorreggendolo, o perché tra i primi atti salvò coloro i quali erano stati condannati a morte dal predecessore, o forse perché aveva voluto far divinizzare Adriano, contro il parere del senato, o forse semplicemente perché era clemente di natura:

«Il senato lo soprannominò Pio, o perché alla presenza dei senatori riuniti aveva sorretto col proprio braccio il suocero ormai malfermo per l’età (ciò che per la verità non costituisce un indizio di grande «pietà», dal momento che sarebbe più empio chi non si prestasse a un tale atto, di quanto non sia pio uno che con ciò adempie semplicemente ad un dovere), o perché aveva salvato la vita a coloro che Adriano, in preda agli attacchi deliranti del male, aveva ordinato di uccidere, o perché, dopo la morte di Adriano, gli aveva decretato, contro il parere di tutti, innumerevoli e straordinarie onoranze, o perché, quando Adriano voleva uccidersi, sottoponendolo ad una sorveglianza assidua e scrupolosa, aveva fatto sì che non potesse mettere in atto quel proposito, o perché egli era effettivamente molto clemente per natura, sì che, nel corso del suo regno, non compì mai alcuna azione crudele. Prestava denaro al quattro per cento, cioè col minimo di interesse, onde potere sovvenire, col proprio patrimonio, alle necessità di un gran numero di persone.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 2, 3-8

Adriano aveva adottato Antonino il 25 febbraio del 138, pochi mesi prima di morire. Il mese precedente era morto Elio Cesare, candidato alla successione e associato ad Adriano già dal 136, a poco più di trent’anni. Adriano, adottando il senatore Antonino, volle anche che quest’ultimo adottasse suo nipote, appena diciassettenne, Marco Arrio Vero, che assunse il nome di Marco Aurelio Antonino, e il figlio di Elio Cesare, Lucio Vero. Forse Adriano voleva che il suo successore fosse Marco Aurelio, ma la giovane età di quest’ultimo lo spinse verso questo compromesso:

«L’adozione avvenne – a quanto si racconta – in questo modo: dopo la morte di Elio Vero, che Adriano aveva adottato conferendogli il titolo di Cesare, era in programma una seduta del senato; alla quale Arrio Antonino si presentò sostenendo i passi malfermi del suocero: fu in seguito a questo – a quanto si dice – che Adriano decise di adottarlo, ma questo non avrebbe assolutamente potuto né dovuto essere il solo motivo dell’adozione, specialmente ove si tenga conto che Antonino aveva sempre amministrato con merito lo Stato, e nel corso del suo proconsolato aveva dato prova di rettitudine e serietà. Dunque, quando Adriano rese pubblica la sua intenzione di adottarlo, egli prese tempo per decidere se volesse accettare o meno l’adozione da parte dell’imperatore. L’adozione fu fatta dipendere da questa condizione, che, come Antonino veniva adottato da Adriano, così egli adottasse a sua volta Marco Antonino, figlio del cognato, e Lucio Vero, figlio di Elio Vero, che era stato adottato da Adriano, il quale in seguito ebbe il nome di Vero Antonino. Fu adottato il 25 febbraio, e lo stesso giorno ringraziò in senato Adriano per aver avuto tale considerazione nei suoi confronti. Diventò collega del padre nel comando proconsolare e nella potestà tribunizia.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 4, 1-7

Sembra che Antonino andasse ripetendo la massima di Scipione, ossia che preferiva salvare un cittadino piuttosto che uccidere mille nemici:

«Nessuno ebbe a godere di tanto prestigio presso i popoli stranieri, in quanto amò sempre la pace, al punto da ripetere spesso il detto di Scipione, in cui affermava che preferiva salvare un solo cittadino che uccidere mille nemici. Il senato propose che i mesi di Settembre e Ottobre prendessero il nome di Antonino e Faustino, ma Antonino rifiutò. Quando diede in sposa a Marco Antonino sua figlia Faustina, festeggiò le nozze con grandissima solennità, fino a concedere un donativo ai soldati. A Vero Antonino, dopo la questura, conferì il consolato. Una volta aveva chiesto ad Apollonio, che aveva fatto venire fin da Calcide, di recarsi al Palazzo di Tiberio, dove egli abitava, per affidargli Marco Antonino, e avendogli quello fatto rispondere: «Non è il maestro che deve andare dal discepolo, ma il discepolo dal maestro», egli esclamò a sua volta ridendo: «È stato più facile, per Apollonio, venire da Calcide a Roma, che da casa sua a Palazzo». E non mancò di stigmatizzare anche la sua avidità nei compensi richiesti. Tra gli altri episodi che confermano la sua sensibilità d’animo si ricorda anche questo: mentre Marco piangeva la morte del suo precettore, e i ministri di corte cercavano di distoglierlo dal manifestare così il proprio affetto, egli intervenne dicendo: «Permettetegli di essere uomo. Ché né la filosofia né il potere sono in grado di soffocare i sentimenti». Arricchì i suoi prefetti e conferì loro la dignità consolare. Se condannava qualcuno per il reato di concussione, rendeva ai figli del condannato i beni paterni, a condizione però che restituissero ai provinciali quanto i padri avevano ad essi estorto. Fu incline all’indulgenza quant’altri mai. Organizzò spettacoli in cui fece comparire elefanti, sciacalli, tigri e rinoceronti, e anche coccodrilli ed ippopotami, e, insieme con le tigri, ogni sorta di animali provenienti da ogni parte del mondo. Presentò anche cento leoni in una volta sola.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 9, 10 – 10, 1-9

L’imperatore, a differenza di Adriano, non si mosse mai da Roma, preferendo gestire gli affari dell’impero dall’Urbe, dove arrivavano delegazioni e diplomatici stranieri, oltre alla corrispondenza di governatori e comandanti imperiali. Fece uso, inoltre, come Adriano, di un consilium principis, fatto di alcuni importanti funzionari, con cui si consultava prima del senato (quello che poi sarà nell’impero tardoantico il sacrum concistorum, in cui partecipavano i ministri imperiali). Antonino era già avanti negli anni quando diventò imperatore, ma comunque governò più di vent’anni, negli ultimi anni con l’assistenza di Marco Aurelio. Morì a settantacinque anni; anche nella morte fu “Pio”:

«Morì a settantacinque, ma fu rimpianto come se fosse morto giovane. La sua morte – a quanto si racconta – avvenne in queste circostanze: in seguito a un’indigestione di cacio alpino fatta durante una cena, la notte ebbe una crisi di vomito, e il giorno seguente fu colto dalla febbre. Il terzo giorno, vedendo che le sue condizioni si aggravavano, affidò a Marco Antonino, alla presenza dei prefetti, lo Stato e sua figlia, e ordinò che fosse trasferita da lui la statua d’oro della Fortuna, che era d’uso dovesse stare nella stanza dell’imperatore; poi comunicò al tribuno la parola d’ordine: «equanimità»; e così, girato su di un fianco come per dormire, spirò a Lorio.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 12, 4-6

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Antonino, l’imperatore Pio
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