Dopo la cattura di Valeriano, l’impero vide molti usurpatori e la formazione di imperi provinciali, come quello delle Gallie, retto da Postumo e Tetrico, o quello orientale, di Odenato e poi Zenobia, senza tuttavia mettere seriamente in pericolo il potere di Gallieno, sopravvissuto al padre.

Quest’ultimo sarebbe poi dovuto soccombere a un usurpatore, Aureolo, suo magister equitum, a cui aveva affidato la nuova riserva strategica di cavalleria di stanza a Milano. Gallieno aveva anche deciso – forse per interrompere le ribellioni – di togliere ai senatori la possibilità di comandare gli eserciti. Sul lungo periodo avrebbe avuto effetti devastanti (insieme all’arruolamento in massa di barbari da Costantino in poi, complice l’aurum tironicum, che prevedeva un pagamento in oro da parte dei proprietari terrieri invece di fornire le reclute).

Alla morte di Gallieno, con un impero sull’orlo del baratro, presero il potere proprio dei militari di professione, di origine illirica, che avevano scalato i ranghi. Tra il 268 e il 282 quasi tutti gli imperatori furono soldati di bassa estrazione, che avevano scalato i ranghi fino ad ottenere la porpora. E saranno proprio loro a rimettere ordine nell’impero romano.

Aureliano: manu ad ferrum et restitutor orbis

«Forte di tanti e tali riconoscimenti e ricompense, ai tempi di Claudio divenne tanto famoso che, dopo che quello fu morto, e anche suo fratello Quintillo venne ucciso, resse da solo l’impero, essendo stato eliminato Aureolo, con il quale Gallieno aveva fatto pace. Su questo punto fra gli storici, in particolare quelli greci, si riscontra una grande varietà di opinioni, per cui alcuni sostengono che Aureolo fu ucciso da Aureliano contro la volontà di Claudio, altri per incarico e volere di questo, altri che fu ucciso da Aureliano quando questi era già diventato imperatore, altri invece quando era ancora un privato.»

Historia Augusta, Aureliano, 16, 1-2

Alla morte di Gallieno era diventato imperatore uno dei primi imperatori illirici, Claudio II il Gotico, che aveva ottenuto il suo soprannome infliggendo una sconfitta devastante ai goti; tuttavia anche lui era morto ben presto, ma caso quasi unico nel III secolo, era stato portato via dalla peste e non da eventi violenti. Gli era succeduto il fratello Quintillo, ma esistono due versioni diverse: in una Aureliano era stato nominato successore da Claudio, e Quintilio ne aveva approfittato per farsi acclamare imperatore, mentre nell’altra Aureliano si era fatto acclamare imperatore con l’appoggio dell’esercito ed era marcito contro Quintillo. In ogni caso durò pochi giorni, stroncato dal ben più energico Aureliano. Era diventato famoso nell’esercito col soprannome di “manu ad ferrum“, ossia “con la mano (pronta) alla spada”, per la sua severità:

«Era di aspetto elegante e fine, di bellezza virile, piuttosto alto di statura, di fortissima muscolatura; eccedeva un poco nel bere vino e nel mangiare, si abbandonava raramente ai piaceri della carne, era molto severo, estremamente rigido in fatto di disciplina, sempre pronto a por mano alla spada. Difatti, essendovi nell’esercito due tribuni di nome Aureliano – il nostro ed un altro, che fu fatto prigioniero assieme a Valeriano – l’esercito gli aveva affibbiato il soprannome di «mano alla spada», così che, se per caso si voleva sapere quale dei due Aureliani aveva fatto una data cosa o condotta una certa operazione, bastava aggiungere «Aureliano mano alla spada» per capire di chi si trattasse.»

Historia Augusta, Aureliano, 6, 1-2

Aureliano era esattamente quello di cui l’impero aveva bisogno, un militare di professione, ma che sapesse mettere ordine nel caos in cui era piombata Roma. Era il 270 d.C. e l’impero era ancora diviso, con in oriente Zenobia, moglie di Odenato, a cui era seguita, e in occidente l’impero delle Gallie guidato da Tetrico, che aveva seguito Postumo. Proverbiale di Aureliano era la disciplina, tanto da essere definito dai soldati “manu ad ferrum”, e tanto da far dire a Flavio Volpisco, autore della sua biografia dell’Historia Augusta, che la disciplina che imponeva era di altri tempi, ormai lontani, della storia romana:

“Costui poi era tanto temuto dai soldati, che, una volta che lui aveva punito con grande severità le mancanze commesse in servizio, nessuno di essi vi incorreva più. Fu inoltre l’unico che punì un soldato reo di aver commesso adulterio con la moglie di un ospite, facendolo legare per i piedi alle cime di due alberi piegate verso terra e che tutto d’un colpo egli fece rilasciare, così che quello rimase squartato in due parti che penzolavano da entrambi i lati: il che suscitò in tutti grande spavento. C’è una sua lettera di argomento militare, inviata al suo luogotenente, che suona così: «Se vuoi essere tribuno, anzi se ti preme restar vivo, frena la mano dei tuoi soldati. Nessuno porti via i polli o metta le mani sulle pecore altrui. Nessuno rubi uva o danneggi le messi, o si faccia dare olio, sale, legna, ma si accontenti della propria razione di viveri. Con la preda tolta al nemico, non con le lacrime dei provinciali devono arricchirsi. Le armi siano tirate a lucido, i ferri ben arrotati, i calzari resistenti. Nuove uniformi rimpiazzino quelle vecchie. Tengano la paga nella cintura, anziché spenderla all’osteria. Si mettano pure addosso le loro collane, i loro bracciali, i loro anelli. Provvedano a strigliare il loro cavallo e la bestia da soma, non vendano la razione di foraggio destinata al proprio animale, prendano cura in comune del mulo della centuria. Ciascuno abbia deferenza nei confronti dell’altro come fosse il suo comandante, nessuno però assumendo atteggiamenti servili; siano curati gratuitamente dai medici; non diano nulla agli aruspici; dove ricevono ospitalità si comportino correttamente; chi provocherà delle risse, sia bastonato».”

Historia Augusta, Aureliano, 7, 3-8

Dopo aver combattuto per anni e riportato l’impero ad una certa stabilità, Aureliano veniva assassinato nel 275. L’imperatore, resitutor orbis, non solo riunì un impero sull’orlo del collasso sconfiggendo Zenobia e Tetrico, ma edificò anche le famose mura aureliane e adottò il culto del Sol Invictus, derivato da quello di Mitra e El-Gabal; il paganesimo tuttavia non ne risentì come avvenne per il cristianesimo con Costantino e i suoi successori. Aureliano era anche conosciuto, come già detto, con il soprannome di “manu ad ferrum“, “con la mano alla spada”. Tale reputazione di estrema severità gli costò la vita quando seppe che il suo segretario Eros gli aveva mentito. Questi, temendo per la propria vita organizzò l’assassinio dell’imperatore che aveva restituito l’unità all’impero: moriva per mano di un ufficiale della guardia pretoria, Mucapor, credendo ad Eros che paventava punizioni di Aureliano anche contro i pretoriani. Meno di dieci anni dopo Diocleziano avrebbe posto termine al turbolento cinquantennio di anarchia militare (235-284).

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Aureliano: Manu ad ferrum
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