All’epoca di Marco Aurelio iniziavano le prime invasioni barbariche. Nonostante la vittoria di Lucio Vero contro i parti e poi di Marco Aurelio contro i quadi e marcomanni, l’impero si trovava in una situazione traballante, complice la peste antonina. Alla morte di Commodo scoppiò una nuova guerra civile, che portò Settimio Severo al potere nel 193, il quale aumentò ancora l’importanza dell’esercito, reclutando tre nuove legioni e raddoppiando gli effettivi dei pretoriani, le cui coorti furono riformate con legionari pannonici. Sia Severo che suo figlio Caracalla aumentarono la paga del 50%, spingendo il secondo a coniare una nuova moneta, l’antoniano. Con la morte di Alessandro Severo, nel 235, si apriva un periodo di un cinquantennio di crisi, chiamato anarchia militare: l’esercito diventava il perno del potere imperiale (ancora più di prima) e diversi imperatori, specialmente a partire dal 268, ascendevano alla porpora facendo carriera nei ranghi. Gallieno proibirà poi ai senatori di comandare legioni, d’ora in avanti comandate da cavalieri (come le tre legioni partiche di Settimio Severo).

Dall’anarchia militare alla restaurazione dell’impero

La situazione, apparentemente disperata dopo la morte di Valeriano e la spartizione dell’impero tra Gallieno, suo figlio, che teneva la parte centrale, l’impero delle Gallie di Tetrico e Postumo e quello di Palmira di Odenato e poi Zenobia, venne da un soldato che assunse la porpora, Aureliano:

«Forte di tanti e tali riconoscimenti e ricompense, ai tempi di Claudio divenne tanto famoso che, dopo che quello fu morto, e anche suo fratello Quintillo venne ucciso, resse da solo l’impero, essendo stato eliminato Aureolo, con il quale Gallieno aveva fatto pace. Su questo punto fra gli storici, in particolare quelli greci, si riscontra una grande varietà di opinioni, per cui alcuni sostengono che Aureolo fu ucciso da Aureliano contro la volontà di Claudio, altri per incarico e volere di questo, altri che fu ucciso da Aureliano quando questi era già diventato imperatore, altri invece quando era ancora un privato.»

«Era di aspetto elegante e fine, di bellezza virile, piuttosto alto di statura, di fortissima muscolatura; eccedeva un poco nel bere vino e nel mangiare, si abbandonava raramente ai piaceri della carne, era molto severo, estremamente rigido in fatto di disciplina, sempre pronto a por mano alla spada. Difatti, essendovi nell’esercito due tribuni di nome Aureliano – il nostro ed un altro, che fu fatto prigioniero assieme a Valeriano – l’esercito gli aveva affibbiato il soprannome di «mano alla spada», così che, se per caso si voleva sapere quale dei due Aureliani aveva fatto una data cosa o condotta una certa operazione, bastava aggiungere «Aureliano mano alla spada» per capire di chi si trattasse.»

«Costui poi era tanto temuto dai soldati, che, una volta che lui aveva punito con grande severità le mancanze commesse in servizio, nessuno di essi vi incorreva più. Fu inoltre l’unico che punì un soldato reo di aver commesso adulterio con la moglie di un ospite, facendolo legare per i piedi alle cime di due alberi piegate verso terra e che tutto d’un colpo egli fece rilasciare, così che quello rimase squartato in due parti che penzolavano da entrambi i lati: il che suscitò in tutti grande spavento. C’è una sua lettera di argomento militare, inviata al suo luogotenente, che suona così: “Se vuoi essere tribuno, anzi se ti preme restar vivo, frena la mano dei tuoi soldati. Nessuno porti via i polli o metta le mani sulle pecore altrui. Nessuno rubi uva o danneggi le messi, o si faccia dare olio, sale, legna, ma si accontenti della propria razione di viveri. Con la preda tolta al nemico, non con le lacrime dei provinciali devono arricchirsi. Le armi siano tirate a lucido, i ferri ben arrotati, i calzari resistenti. Nuove uniformi rimpiazzino quelle vecchie. Tengano la paga nella cintura, anziché spenderla all’osteria. Si mettano pure addosso le loro collane, i loro bracciali, i loro anelli. Provvedano a strigliare il loro cavallo e la bestia da soma, non vendano la razione di foraggio destinata al proprio animale, prendano cura in comune del mulo della centuria. Ciascuno abbia deferenza nei confronti dell’altro come fosse il suo comandante, nessuno però assumendo atteggiamenti servili; siano curati gratuitamente dai medici; non diano nulla agli aruspici; dove ricevono ospitalità si comportino correttamente; chi provocherà delle risse, sia bastonato”.»

Historia Augusta, Aureliano, 16, 1-2; 6, 1-2; 7, 3-8

La prima occupazione di Aureliano furono i barbari che erano dilagati nella pianura padana, perlopiù alemanni, che sconfissero anche l’esercito romano. Ma, carichi di bottino, si divisero in piccoli gruppi per razziare meglio. L’imperatore li colse uno a uno, massacrandoli. Poi decise, con l’accordo del senato, di dare a Roma una nuova cinta muraria, le famose mura Aureliane. Saputo della prima sconfitta, a Roma ci fu una sollevazione dei monetieri, che al suo arrivo represse malamente; anche alcuni senatori avevano appoggiato la rivolta.

Subito dopo si recò sul Danubio, dove sconfisse vandali, iutungi e sarmati; pare che poi avesse chiesto l’approvazione all’esercito se fare o meno la pace con i barbari, denotando un rapporto di stima con i soldati unico. Tuttavia, da prammatico qual’era, dopo gli Agri Decumates, abbandonati poco prima, decise anche di ritarsi dall’ormai indifendibile Dacia, formando una nuova provincia di Dacia lungo il corso del Danubio, ma più piccola, chiamata Ripensis. Rimesso ordine in Italia e sul Danubio, fu il turno di Zenobia, che controllava tutto l’oriente. Durante la marcia a oriente inflisse una terribile sconfitta ai goti, guadagnandosi il titolo di Gothicus Maximus, mentre all’inizio del 271, grazie al futuro imperatore Probo, riprendeva l’Egitto. 

Aureliano: Restituor orbis

L’imperatore illirico, messa al sicuro l’Italia (creando forse anche il sistema difensivo sulle alpi Giulie per sbarrare l’accesso ai barbari che sconfinavano dalla Pannonia) e il confine danubiano, nel 272 volse le sue mire a oriente dove Odenato prima (sotto Gallieno, cui aveva affidato il controllo dell’oriente come rector orientis) e sua moglie Zenobia (e suo figlio Vallabato) avevano creato un proprio impero come aveva fatto Postumo e poi Tetrico in Gallia. Nel corso di due campagne militari Aureliano riconquistò Palmira e catturò Zenobia, dopo averla sconfissa a Immae e Emesa, mentre la regina scappava per cercare rifugio in Persia. Nel 273 tuttavia la città venne distrutta dopo una nuova ribellione. Aureliano usò abilmente la sua cavalleria per avere la meglio di quella di Zenobia a Immae :

« Vedendo che i cavalieri di Palmira avevano fiducia nelle loro pesanti e sicure armature e che erano superiori ai cavalieri romani per esperienza, separò la fanteria al di là del fiume Orontee diede ai cavalieri romani il segnale di non attaccare direttamente la cavalleria pesante dei Palmireni (clibanarii), ma di attendere il loro assalto e simulare una ritirata. Raccomandò che insistessero in questa tattica fino a quando, soldati e cavalli, a causa della calura e appesantiti dalle loro armi, desistessero dall’inseguimento.

«[I cavalieri romani] […] appena videro che i nemici [palmireni] erano ormai senza forze e giacevano immobili sui cavalli ormai fermi, passarono all’attacco, calpestando i nemici, che cadevano da soli da cavallo. Vi fu pertanto un confuso massacro. Alcuni furono uccisi dalle lance, altri dai loro stessi cavalli e da quelli dei nemici. »

Zosimo, Storia nuova, 50, 3-4

Emesa Aureliano ripetè la tattica ma fu anche la sua fanteria a vincere la battaglia:

« […] Aureliano si diresse ad Emesa, e avendo scoperto che un contingente di Palmireni occupava una collina sovrastante il sobborgo di Dafne, ritenendo di sfruttare tale posizione favorevole per impedire il passaggio del nemico, ordinò ai soldati romani di accostare gli scudi e, formata una fitta falange, di salire verso la vetta del colle e respingere dardi e pietre, se mai ne avessero scagliate, con la compattezza della falange macedone. I soldati romani eseguirono il comando con grande precisione. Dopo aver scalato quel luogo scosceso, come era stato loro ordinato, si scontrarono con il nemico in condizioni di parità e lo misero subito in fuga. Alcuni [di questi] precipitarono negli strapiombi sfracellandosi, altri furono massacrati dagli inseguitori romani e da quelli che non avevano partecipato all’ascesa del colle. Dopo la vittoria, passando senza pericolo [nei territori successivi], l’imperatore [Aureliano] indirizzò la successiva marcia. »

« Quando i due eserciti si scontrarono, la cavalleria romana ritenne meglio ritirarsi un poco, per evitare che i soldati senza accorgersi fossero accerchiati da un gran numero superiore di cavalieri palmireni, che cavalcavano intorno a loro. Poiché i cavalieri palmireni si davano all’inseguimento dei romani che si ritiravano e in questo modo rompevano il loro schieramento, si verificò il contrario di quello che volevano i cavalieri romani: [questi ultimi] infatti erano in pratica inseguiti [dai palmireni], risultando molto inferiori ai nemici. E poiché cadevano in moltissimi, avvenne allora che tutta la battaglia ricadesse sulla fanteria romana, la quale, vedendo che i Palmireni avevano sconvolto i loro ranghi per lanciarsi all’inseguimento dei cavalieri romani, ripiegarono e li attaccarono mentre erano disordinati. Per questo motivo ci fu una grande strage. Alcuni assalivano con le armi tradizionali. Quelli provenienti dalla Palestina, colpivano invece con bastoni e mazze i loro avversari palmireni, i quali indossavano corazze di ferro e di bronzo. Questo fu in parte la ragione principale della vittoria romana. I nemici rimasero sbalorditi per l’insolito assalto delle mazze. »

Zosimo, Storia nuova, I, 52,1-2; 53,1-2
Zenobia

Ripreso possesso dell’oriente, nel 274 l’imperatore illirico affrontò Tetrico, che probabilmente si consegnò senza combattere prima della battaglia di Chalons. Ebbe salva la vita, così come la ebbe Zenobia, nonostante entrambi furono portati in trionfo da Aureliano: il primo ebbe il ruolo di corrector Lucaniae et Bruttiorum, la seconda fu lasciata in vita, e si ritirò nei pressi di Tivoli. L’impero era dunque riunito e per questo l’imperatore ottenne il titolo di restitutor orbis.

Aureliano operò non solo nell’ambito militare ma anche in quello economico: si deve a lui la risoluzione, almeno temporanea, della crisi monetaria: gli antoniniani di Aureliano riportano la scritta XXI, considerata dagli studiosi come “vigesima (pars) unius (nummi)”, ossia che la moneta ufficialmente conteneva il 5% di argento. Una percentuale modesta se rapportata a quella del denario di inizio secolo, ma pur sempre superiore a quella degli anni precedenti e soprattutto aiutava a combattere le monete false e ridare linfa all’economia. Tuttavia Diocleziano pochi anni dopo fu ancora costretto a promulgare un edictum de pretiis per calmierare i prezzi e infine Costantino virò a una moneta basata sull’oro e non più sull’argento, il solidus – da cui la nostra parola soldo – con effetti tuttavia negativi sui piccoli scambi.

Infine Aureliano promosse il culto del Sol Invictus, dopo la sconfitta di Zenobia: adottò il culto solare di Emesa, nei cui pressi aveva sconfitto la regina palmirena e creando il collegio pontificale del Sole Invincibile (pontifices solis invicti). In antichità era la normalità adottare per sè il dio che aveva concesso la vittoria (così come lo sarà per Costantino) e inoltre il culto del dio solare ben si adattava a molte divinità greco romane come Apollo e Giove; come narra Tertulliano molti pagani credevano anche che i cristiani adorassero questo dio. Dunque questa nuova divinità, derivata sia dal dio El-Gabal di Emesa che dal mitraismo, intendeva ridare unità all’impero: proprio nel III secolo si consumarono le più violente persecuzioni dei cristiani, soprattutto a partire da Decio a metà del secolo (i cristiani venivano visti male perché non sacrificavano all’imperatore ed erano restii a combattere, motivo di grande instabilità in un impero così bisognoso di ordine e soldati). Sotto Diocleziano e Galerio poi si verificherà la più grande persecuzione di cristiani, finché, preso atto dell’inutilità di questi mezzi (e visto la conversione in corso di Costantino) Licinio e Costantino promossero a Milano nel 313 il famoso editto che sanciva la libertà di culto.

L’imperatore illirico venne infine ucciso nel 275 per mano di un ufficiale della guardia pretoria, Mucapor, credendo ad Eros (il segretario di Aureliano) che paventava punizioni dell’imperatore anche contro i pretoriani. Eros aveva infatti mentito ad Aureliano e questi lo aveva scoperto; temendo per la propria vita, vista la reputazione di manu ad ferrum dell’imperatore, ne aveva organizzato l’assassinio. 

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Aureliano, Restitutor orbis
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