Nella tarda estate del 39 d.C. Caligola, durante un suo viaggio verso l’Umbria, decise di cambiare repentinamente idea e lanciare una campagna militare contro i germani; fece richiamare la guardia pretoriana da Roma, che lo avrebbe raggiunto a marce forzate lungo il Reno. Caligola era fortemente legato alla frontiera germanica, dove era cresciuto e aveva preso il suo soprannome (piccola caliga) seguendo il padre Germanico nelle sue campagne militari:

«Soltanto una volta si occupò di questioni militari e non di proposito. Si era spinto fino a Mevania, per vedere il bosco e il fiume del Clitunno, quando gli proposero di aumentare il numero delle guardie batave che aveva intorno a sé, allora stabilì immediatamente di fare una spedizione contro i Germani e non frappose alcun indugio. Raccolse da ogni parte legioni e truppe ausiliarie, fece eseguire ovunque rigorosissimi arruolamenti, fece ammassare vettovaglie d’ogni genere, come mai prima d’allora, quindi intraprese la spedizione e impose un ritmo di marcia così forzato e veloce che le coorti pretoriane furono costrette, contravvenendo alle usanze, a caricare le insegne sui muli e così seguire lui che invece procedeva indolentemente e comodamente, tanto da voler essere trasportato su una lettiga da otto portantini e da esigere che la plebe delle città più vicine al suo itinerario gli spazzasse e bagnasse la strada per evitare il polverone.»

Svetonio, Caligola, 43

Più che il tentativo di guidare una spedizione militare, Caligola si stava dirigendo in Germania Superiore, dove il governatore Gneo Cornelio Lentulo Getulico stava probabilmente organizzando una congiura nei confronti dell’imperatore.

Alla base del complotto c’era forse anche il problema della successione: Caligola non aveva eredi, tutti i suoi congiunti erano le sue sorelle, tranne Lepido (che dopo la morte di Drusilla non aveva più molte possibilità) e Domizio Enobarbo, marito di Agrippina e loro figlio omonimo, il futuro Nerone. Tuttavia Enobarbo era malato e non aveva particolari ambizioni e Nerone aveva solo due anni. In questo quadro Agrippina cercò fin da allora di trovare l’appoggio di Lepido.

Getulico era governatore della Germania dal 29, ovvero da dieci anni, ed era stato posto lì da Tiberio. Ormai le legioni erano profondamente affezionate al loro comandante. Inoltre suo cognato, Gaio Calvisio Sabino, sposato con sua sorella Cornelia, comandava due legioni in Pannonia che lo avrebbero potuto appoggiare.

Non conosciamo i dettagli della congiura, se non che Caligola si procurò lettere e pugnali incriminati. Tuttavia è difficile ipotizzare il contenuto delle lettere: velati scambi epistolari o progetti più concreti? L’imperatore tolse immediatamente a Getulico il suo incarico e dopo un processo sommario lo fece giustiziare, forse dopo aver chiesto l’approvazione del senato; quest’ultimo approvò la condanna e diede anche a Caligola la possibilità di celebrare un’ovatio, ossia un piccolo trionfo, anche se non aveva svolto alcuna attività militare di rilievo. Ricevuta la conferma dal senato, Getulico e Lepido vennero decapitati, mentre le sorelle Agrippina e Giulia furono bandite. Getulico aveva sempre avuto la fama di aver tenuto testa anche a Tiberio e anche qualora non avesse realmente complottato, ciò era abbastanza per Caligola, che voleva il potere assoluto e incondizionato:

«Dopo essere giunto nell’accampamento, per mostrarsi comandante duro e severo, licenziò con nota di biasimo i legati che avevano indugiato nel raccogliere da luoghi diversi le truppe ausiliarie. Poi, mentre passava in rivista l’esercito, a molti centurioni ormai anziani, e ad alcuni ai quali mancavano pochissimi giorni al congedo definitivo, tolse il comando dei triarii, adducendo a pretesto la loro vecchiaia e la debolezza. Biasimando la avidità degli altri, ridusse il compenso del servizio prestato alla somma di seimila sesterzi. Avendo poi ottenuto soltanto la sottomissione del figlio del re britanno Cinobellino, Adminio, il quale, scacciato dal padre, era passato dalla parte dei Romani con la sua piccola schiera, inviò a Roma lettere entusiaste, come se gli si fosse arresa tutta l’isola, ingiungendo ai messaggeri di procedere col carro fin dentro al foro e nella Curia e di consegnarle ai consoli solo nel tempio di Marte e quando si fosse adunato in massa il Senato. Poi, mancando il pretesto per combattere, ordinò che alcuni Germani della sua guardia venissero portati oltre il Reno e lì restassero nascosti e che, dopo il pranzo, fosse annunciato col più grande scompiglio possibile che i nemici stavano sopraggiungendo. A quel falso annuncio, egli si spinse con alcuni amici e parte della cavalleria nel bosco più vicino, fece abbattere alberi e li fece addobbare a mo’ di trofei, poi fece ritorno a lume di fiaccole e accusò di ignavia e vigliaccheria quelli che non erano andati con lui, mentre ai suoi compagni che avevano partecipato a quella vittoria donò corone di nuovo genere e denominazione che, ornate con le immagini di sole, luna e stelle, furono da lui dette esploratone. Un’altra volta, dopo aver fatto uscire degli ostaggi da una scuola elementare e averli fatti procedere di nascosto, abbandonando all’improvviso la tavola, li inseguì con la cavalleria come se fossero dei fuggiaschi e, dopo averli catturati, li ricondusse in catene. Anche in questa sorta di commedia passò i limiti: tornato al convito, invitò gli ufficiali, venuti ad annunciargli che l’esercito era stato adunato, a prendere posto sui letti triclinarii, così come si trovavano, con tutta l’armatura indosso e li esortò, citando quel famosissimo verso di Virgilio, a «tener duro e riservarsi per tempi propizi». Infine, come se volesse porre fine alla guerra, schierato l’esercito lungo le spiagge dell’Oceano e disposte le baliste e le macchine senza che alcuno sapesse o potesse avere idea di cosa intendesse fare, improvvisamente ordinò di raccogliere conchiglie e riempirne gli elmi e i mantelli, dicendo: «Sono le spoglie dell’Oceano che spettano al Campidoglio e al Palazzo». Per lasciare un segno di questa vittoria, fece erigere un’altissima torre dalla quale, come da quella di Faro, di notte dovevano lampeggiare i fuochi per illuminare la rotta ai naviganti. Dopo aver annunciato ai soldati una ricompensa di cento denari ciascuno, come se avesse superato ogni altro esempio di generosità, disse: «Andate in letizia, andate in ricchezza».

Svetonio, Caligola, 44-46

Infine il princeps diede ordine di conservare i tre pugnali con cui lo avrebbero dovuto assassinare e porli nel tempio di Marte Ultore (lo stesso dedicato da Augusto alla vendetta contro i cesaricidi). Due anni più tardi, nel gennaio del 41, il complotto sarebbe riuscito e i pretoriani avrebbero massacrato Caligola in un tunnel che collegava il Circo Massimo al Palatino.

Un imperatore folle?

“Caligola favorì chi gli stava a cuore, fino alla follia. Inviava baci all’attore di pantomimo Mnestere, anche durante lo spettacolo e se qualcuno faceva anche un minimo rumore mentre quello danzava, lo faceva trascinare presso di sé e lo flagellava con le sue stesse mani. A un cavaliere romano che dava fastidio, fece notificare l’ordine di partire senza il minimo indugio per Ostia e recare al re Tolomeo, in Mauritania, un plico il cui contenuto era: «Non fare né bene né male al latore della presente». Nominò a capo della sua guardia del corpo germanica alcuni Traci. Alleggerì l’armatura dei mirmilloni. A uno di essi, di nome Colombo, che aveva vinto il combattimento ma era rimasto leggermente ferito, fece stillare nella piaga un veleno che poi chiamò Colombino. Fu trovato infatti insieme agli altri veleni così denominato con una scritta di suo pugno. Era accanito sostenitore dei Verdi tanto che spesso si intratteneva a cena nelle scuderie e, durante una di queste gozzoviglie, diede vari doni per un valore di due milioni di sesterzi all’auriga Eutico. Per il suo cavallo Incitato faceva imporre e rispettare il silenzio, anche con l’intervento delle guardie, la sera prima della corsa, affinché non fosse disturbato. Gli donò, oltre una stalla di marmo e una greppia d’avorio, coperte di porpora e bardamenti di pietre preziose e anche una casa con tanto di servitù e mobilio, perché le persone che faceva invitare a nome del cavallo fossero ospitate assai degnamente. Si dice che volesse persino candidarlo al consolato.”

Svetonio, Caligola, 55

Caligola è passato alla storia come un imperatore folle e le fonti non fanno altro che confermarlo. Purtroppo tutti i libri di Tacito degli Annali riguardanti Caligola sono andati perduti, per cui ci manca l’unica fonte che faceva affidamento principalmente agli atti del senato. Da un lato sembrerebbe che Caligola sia impazzito dopo una dura malattia che lo colpì dopo pochi mesi di principato. Quel che è certo è che il principe aveva un’idea assolutistica del potere che mal si conciliava con l’idea repubblicana che circolava ancora tra i senatori:

«[…] non passò molto tempo e l’uomo che era stato considerato benefattore e salvatore […] si trasformò in essere selvaggio o piuttosto mise a nudo il carattere bestiale che aveva nascosto sotto una finta maschera»

«Affetto sin dall’infanzia dall’epilessia, nell’adolescenza, pur sopportando abbastanza la fatica, tuttavia talvolta, per collassi improvvisi, non ce la faceva neanche a camminare, stare in piedi, tirarsi su e reggersi dritto. Era consapevole egli stesso della sua debolezza mentale, tanto da pensare talvolta di ritirarsi e curarsi la mente. Si crede che la moglie Cesonia gli avesse propinato un filtro amoroso che lo aveva reso folle. Era afflitto soprattutto dall’insonnia e non dormiva mai più di tre ore a notte e neanche queste tranquille bensì agitate da incubi strani, come quando gli sembrò di vedere il fantasma del mare parlare con lui. Quindi, stufo di star disteso gran parte della notte senza dormire, soleva invocare e attendere l’alba, standosene seduto sul letto oppure percorrendo i lunghissimi porticati.»

Filone di Alessandria, De Legatione ad Gaium, 22; Svetonio, Caligola, 50

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Caligola e il complotto di Getulico
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