La secessione della plebe del 494 a.C.

La secessione della plebe del 494 a.C.

“Fu deciso dunque di mandare a trattare con la plebe Menenio Agrippa, uomo eloquente e caro al popolo, essendo di origine plebea. Questi introdotto nel campo si dice abbia fatto semplicemente questo racconto, col primitivo e rozzo modo di parlare di quell’epoca […] paragonando la sedizione interna del corpo all’ira della plebe contro i patrizi, riuscì a piegare gli animi. Cominciarono allora le trattative per il ritorno della concordia, e nei patti fu accordato alla plebe di avere propri magistrati inviolabili, ai quali era riconosciuto il diritto di intercedere in favore della plebe contro le decisioni dei consoli, e fu stabilito che nessun patrizio potesse accedere a quella magistratura.” (T. LIVIO, ab urbe condita libri, ii, 32-33)

Il culto del Sol Invictus

Il culto del Sol Invictus

« È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei. »
(PAPA LEONE I, 7° SERMONE TENUTO NEL NATALE DEL 460 – XXVII-4)

Il primo triumvirato – Cesare, Pompeo, Crasso

Il primo triumvirato – Cesare, Pompeo, Crasso

Nonostante Pompeo e Crasso non avessero grossa stima reciproca, entrambi miravano al potere ma ne erano in qualche modo ostacolati dalla situazione. Si insinuò in questo contesto un senatore romano, discendente da una nobilissima famiglia, Gaio Giulio Cesare. Quest’ultimo propose a entrambi di formare un triumvirato, un accordo privato, in cui l’elezione di uno dei tre avrebbe potuto aiutare gli altri.

L’inizio della fine – Invasioni barbariche

L’inizio della fine – Invasioni barbariche

«Chi avrebbe mai creduto che Roma, costruita sulle vittorie riportate su tutto il mondo, sarebbe crollata? Che tutte le coste dell’Oriente, dell’Egitto e d’Africa si sarebbero riempite di servi e di schiave della città un tempo dominatrice, che ogni giorno la santa Betlemme dovesse accogliere ridotte alla mendicità persone di entrambi i sessi un tempo nobili e pieni di ogni ricchezza?»

Il passaggio dalla repubblica all’impero

Il passaggio dalla repubblica all’impero

«Sebbene il popolo gli offrisse con grande insistenza la dittatura, egli, piegato in ginocchio, tiratasi giù dalle spalle la toga e denudatosi il petto, supplicò di non addossargliela. Respinse sempre con orrore, come un insulto infamante, l’appellativo di padrone. Una volta, mentre egli assisteva allo spettacolo, poiché in un mimo era stata recitata l’espressione: O giusto e buon padrone! tutti quanti, come se fossero pienamente d’accordo che il verso si riferisse a lui, applaudirono esultanti; Augusto prima frenò quelle indecorose adulazioni con la mano e con il volto, poi, l’indomani, le redarguì con un durissimo comunicato. Da allora non tollerò di essere chiamato padrone nemmeno dai suoi figli o nipoti, né sul serio né per gioco, e vietò simili piaggerìe anche tra loro stessi.»

Romolo e Furio Camillo: i due fondatori di Roma

Romolo e Furio Camillo: i due fondatori di Roma

«Furono poi vinti (i galli di Brenno), sempre sotto la guida e gli auspici di Camillo, in una seconda battaglia più regolare, a otto miglia da Roma sulla via di Gabi, dove si erano raccolti dopo la fuga. Qui la strage fu generale: furono presi gli accampamenti, e non sopravvisse neppure uno che potesse recare la notizia della disfatta. Il dittatore ritolta la patria ai nemici tornò trionfando in città, e fra i rozzi canti scherzosi, che i soldati sogliono improvvisare in tali occasioni, fu chiamato Romolo, padre della patria e secondo fondatore di Roma, con lodi non immeritate. Dopo aver salvata la patria in guerra la salvò poi sicuramente una seconda volta in pace, quando impedì che si emigrasse a Veio, mentre i tribuni avevano ripreso con maggior accanimento la loro proposta dopo l’incendio della città, ed anche la plebe era di per sé più incline a quell’idea. Questa fu la causa per cui non abdicò alla dittatura dopo il trionfo, poiché il senato lo scongiurava di non abbandonare la repubblica in un momento difficile.» (TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 49, 1- 9)

La fine di Odoacre – Teoderico re

La fine di Odoacre – Teoderico re

Il 15 marzo 493 Teoderico (che era appena entrato a Ravenna, accettando di dividere il regno con il re erulo) e Odoacre si incontrarono in un banchetto, organizzato dal goto, il quale lo uccise a tradimento. Pare che in punto di morte abbia esclamato: “dov’è Dio?” e che l’amalo abbia risposto “questo è per quello che mi hai fatto”, forse un riferimento all’assassinio di alcuni suoi parenti della famiglia reale rugia da parte di Odoacre.