Essere romani non significava essere abitanti di Roma. O del lazio. O dell’Italia. Anzi, per i romani, chiunque (o quasi) poteva diventare un cittadino. Un concetto apparentemente semplice, ma rivoluzionario per l’epoca. E certamente un punto fondamentale della forza di Roma. Fin dalla sua fondazione, Roma è stata aperta agli stranieri. Romolo fondò un asylum per accogliere chi veniva da fuori e renderlo romano. Tre dei sette re di Roma sono etruschi diventati romani. In ogni livello della società, in ogni epoca, ci sono stranieri che diventano cittadini romani e spesso ricoprono posti di comando.

I galli entrano in senato

Durante un discorso in senato nel 48 d.C., l’imperatore Claudio propose una legge che concedeva lo ius honorum (il diritto a ricoprire cariche politiche) ai cittadini Romani della Gallia Comata, cioè la possibilità di entrare in senato. Ci furono dure reazioni dei senatori, indignati. Molti sostenevano come i nonni di questi galli avessero combattuto contro Cesare e ucciso molti romani, anche loro antenati. Claudio allora pronunciò un discorso storico, riportato da Tacito e confermato da un’epigrafe rinvenuta a Lione:

La tavola di Lione

” I miei antenati, al più antico dei quali, Clauso, venuto dalla Sabina, furono conferiti insieme la cittadinanza romana e il patriziato, mi esortano ad adottare gli stessi criteri […] non ignoro che i Giuli vennero da Alba, i Coruncanii da Camerio, i Porcii da Tuscolo e, per non risalire ad epoche più antiche, furono tratti in Senato uomini dall’ Etruria, dalla Lucania e da tutta l’Italia […] A quale altra cagione fu da attribuirsi la rovina degli Spartani e degli Ateniesi, se non al fatto che essi, per quanto prevalessero con le armi, consideravano i vinti come stranieri?Romolo, nostro fondatore, fu invece così saggio che ebbe a considerare parecchi popoli in uno stesso giorno prima nemici e subito dopo concittadini. Stranieri presso di noi ottennero il regno […] O padri coscritti, tutte le cose che si credono antichissime furono nuove un tempo […] Anche questa nostra deliberazione invecchierà, e quello che oggi noi giustifichiamo con antichi esempi, sarà un giorno citato fra gli esempi.”

Tacito, Annales, XI, 24

Naturalmente alla fine la legge di Claudio passò. Ma il suo discorso è emblematico: quando ci si discosta da una certa idea, bisogna tornare alla linea tradizionale romana: gli stranieri sono ben accetti, purché si romanizzino. L’atteggiamento dei romani era estremamente pragmatico: accogliere gli stranieri e renderli romani, a partire dalle élite, uniformando gradualmente i costumi ma mantenendo intatte le usanze e lingue locali , portando i vinti a trasformarsi volontariamente in romani (che era pur sempre un privilegio giuridico e fiscale).

Un impero di romani

Fino all’inizio del III secolo d.C. la popolazione era divisa grossomodo fra:

  • cittadini romani
  • cittadini latini
  • peregrini
  • dediticii
  • schiavi

A loro volta i cittadini romani nati liberi (ingenui) avevano maggiori diritti degli schiavi affrancati. I peregrini erano gli abitanti liberi delle province: letteralmente il termine indica gli stranieri venuti da fuori, ma nell’accezione romana sono stranieri nella loro stessa terra dopo la conquista di Roma. I dediticii sono la più bassa condizione di libertà, riservata a popolazioni tribali estremamente arretrate e ad alcuni schiavi affrancati: il termine significa “che si è dato” e indicava le popolazioni che si erano concesse ai romani in cambio della vita.

Nel 212 d.C. l’imperatore Caracalla concede la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’impero, attraverso un famoso editto, la cosiddetta Constitutio Antoniniana (il nome completo dell’imperatore era Marco Aurelio Antonino Caracalla – il padre Settimio Severo si era auto retroattivamente fatto adottare da Marco Aurelio). Per quale motivo venne promulgato questo provvedimento è del tutto ignoto. Si suppone una motivazione fiscale (far pagare anche le tasse riservate ai cittadini romani) o demografica (arruolare nuove legioni) o etiche (l’imitazione di Alessandro Magno). Quel che è certo è che da allora l’unica distinzione vigente è tra coloro che sono dentro l’impero e che coloro che non ne fanno parte.

Non possediamo il testo dell’editto e la nostra fonte più attendibile, Cassio Dione, solitamente avverso a Caracalla, sorvola ampiamente la questione, parlandone appena. Venne rinvenuto un papiro in Egitto, il papiro di Giessen, che casualmente riportava parte del testo, ma era lacunoso per quanto riguardava i dediticii: insomma, non è chiaro se anche loro fossero compresi, anche se gli studiosi propendono per il no.

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Claudio e i galli in senato
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