La carriera di Marco Claudio Marcello comincia a entrare nella leggenda quando, eletto console per l’anno 222 a.C., il 1 marzo sconfiggeva gli insubri a Clastidium (Casteggio), in Gallia Cisalpina, unificando per la prima volta la penisola. A tre anni dalla battaglia di Telamone i romani decisero di spingersi a nord per fermare i galli in Italia Settentrionale. Mentre i romani assediavano Acerrae, tra Lodi e Cremona, gli insubri attaccarono gli anamari, alleati dei romani, a Clastidium. I romani però non interruppero l’assedio e inviarono la cavalleria in soccorso, che sbaragliò i galli. Marcello stesso, riconosciutolo sul campo, affrontò e uccise il re nemico Virdomaro, guadagnandosi quindi la spolia opima. I romani, non incontrando più alcuna resistenza, occuparono tutta la Cisalpina e la città di Medhelan, ribattezzata Mediolanum, ovvero Milano. Il console ottenne anche l’onore del trionfo, motivo per cui è infatti citato nei Fasti Trionfali.

La seconda guerra punica

Poco dopo, nel 218 a.C., scoppiò la seconda guerra punica: Annibale attraversò le Alpi, cosa ritenuta impossibile dai romani in pieno inverno, e inflisse quattro micidiali sconfitte ai romani al Ticino, Trebbia, Trasimeno e Canne, mettendo in ginocchio la repubblica romana. Nonostante la strada per Roma sembrasse ormai spianata, Annibale non si mosse ad assediare l’Urbe, forse ritenendo le sue forze troppo esigue, forse sperando nella diserzione degli alleati italici dei romani. Tra i primi a titubare ci furono gli abitanti di Nola, che parteggiavano per il cartaginese, mentre il senato locale restava fedele a Roma.

Dovette intervenire subito Marco Claudio Marcello, pretore in carica, che fu costretto, anche se era ancora fresco il disastro di Canne poiché era ancora il 216 a.C., a occupare la città e poi a prepararsi a una sortita. Era infatti l’unico modo per sopprimere i moti di rivolta che serpeggiavano in città. Annibale credeva ormai di dover attaccare la città, ormai convinto che il tradimento fosse saltato e venne colto impreparato dal violento assalto improvviso che lanciarono i romani, uscendo rapidamente dalle mura. I cartaginesi furono colti dal panico e dal frastuono che fecero i romani, lasciando sul campo 3.000 morti e furono costretti a ritirarsi. Alla fine dell’anno Marcello organizzò anche i Ludi Plebeii e all’inizio del 215 tornò in Campania come proconsole (dopo che il dittatore Marco Giunio Pera gli aveva chiesto consiglio sulla guerra) insieme a due legioni urbane, che si mossero a Suessula. Nello stesso anno, a Nola, Marcello vinse di nuovo Annibale nella seconda battaglia di Nola, in un duro scontro in cui personalmente incitava i suoi:

«I Cartaginesi […] quelli che stavano combattendo si erano infiacchiti dai piaceri di Capua, logorati dal vino, dalle prostitute, da tutti i bordelli di un intero inverno. Erano ormai scemati la forze e il vigore di una volta, se n’erano andate le energie del corpo e della mente, con le quali i Cartaginesi avevano superato i Pirenei e le Alpi. I resti mortali di quegli uomini, oggi reggevano a fatica le membra e le armi. Capua era stata per Annibale una “disfatta di Canne”.»

TITO LIVIO, AUC, XXIII, 45, 2-4

L’accanimento con cui combattevano i romani costrinse i cartaginesi a ritirarsi, lasciando sul campo oltre 5.000 morti e 600 prigionieri. Dopo una tregua per seppellire i morti disertarono dalle fila cartaginesi anche 272 tra i iberi e numidi, mentre Annibale si ritirava in Apulia. Poco dopo Marcello venne eletto console per l’anno 214 insieme a Quinto Fabio Massimo e venne inviato in Sicilia per assediare Siracusa. Dopo un assedio di due anni, nonostante la difesa studiata dal matematico Archimede, i romani riuscirono a penetrare in città durante la festa di Artemide-Diana, in cui scorreva vino a fiumi, dopo aver trovato un punto nelle mura più basso e facilmente raggiungibile dalle scale, nei pressi dell’Esapilo. Nel massacro che seguì, forse non riconosciuto da un soldato, morì anche Archimede, mentre era intento a tracciare figure geometriche nella polvere.

Marcello rimase sconvoltò dalla morte del matematico e secondo Plutarco “distolse lo sguardo dall’uccisore di Archimede come da un sacrilego“, dando poi al corpo una sepoltura con tutti gli onori. Nel 211 il senato prorogò il comando di Marcello in Sicilia affinché terminasse la guerra e nello stesso anno tornò poi a Roma e dopo aver fatto rapporto al senato chiese il trionfo, che non gli venne concesso, poiché molti sostenevano che la guerra non era ancora terminata in Sicilia. Comunque gli venne concessa un’ovazione, mentre varie opere d’arte tra cui il planetario di Archimede erano portate a Roma.

Claudio Marcello fu eletto di nuovo console per il 210 con Valerio Levino. Poco tempo dopo Annibale assalì il proconsole Gneo Fulvio, accampato nei pressi di Erdonea che assediava; i cartaginesi vinsero la battaglia, molti romani caddero, tra cui lo stesso proconsole, mentre i restanti fuggirono. Annibale, presa la città, trasferì gli abitanti a Metaponto e Turii, uccise i capi, minacciando di destinare la stessa sorte a chiunque si fosse schierato con Roma. Marcello marciò dunque verso Annibale, ponendo il campo nella piana di Numistro, di fronte ad Annibale che invece si trovava su un colle. Per dimostrare di non temere il cartaginese Marcello condusse fuori dal campo l’esercito e Annibale diede battaglia: tuttavia l’esito fu un sostanziale pareggio.

«Il console trasferitosi dal Sannio nella Lucania si accampò presso Numistrone in vista di Annibale, in una pianura, mentre il Punico occupava una collina. Aggiunse anche un’altra prova della sua sicurezza, perché per primo guidò le truppe in campo aperto; neppure Annibale rifiutò il combattimento quando vide le truppe uscire a bandiere spiegate dalle porte. Tuttavia così schierarono le truppe, in modo che il Punico fece salire l’ala destra sulla collina, i Romani avvicinarono l’ala sinistra alla città. Pur avendo continuato a combattere dall’ora terza fino a notte e le prime schiere risentissero della stanchezza – da parte romana furono spinte in battaglia la prima legione e l’ala destra, per comando di Annibale i soldati ispanici e i frombolieri delle Baleari e infine, iniziato l’attacco, anche gli elefanti, – l’esito della battaglia stette a lungo incerto, senza arridere né per l’uno né per l’altro. 〈Quando〉 alla prima legione subentrò la terza, all’ala destra la sinistra e da parte dei nemici, nuovi rincalzi sostituirono in battaglia le file spossate, un rinnovato e durissimo combattimento da uno stanco contendere divampò all’improvviso per la decisione e le forze dei nuovi arrivati; ma la notte separò i combattenti, lasciando indecisa la vittoria. Il giorno dopo i Romani si presentarono in campo dal sorgere del sole fino a giorno inoltrato; poiché non si fece contro nessuna forza nemica, in tutta calma raccolsero le spoglie e bruciarono i loro caduti dopo averli radunati in un sol punto. La notte seguente Annibale levò il campo in silenzio e s’allontanò verso l’Apulia. Marcello quando la luce del giorno scoprì la fuga dei nemici, dopo aver lasciato i feriti a Numistrone con una modesta difesa e messovi al comando L. Furio Purpurione tribuno dei soldati, si affrettò ad inseguirlo. Lo raggiunse nelle vicinanze di Venosa. Qui per diversi giorni, attaccandosi battaglia dagli avamposti, ci furono scontri con l’intervento di cavalieri e di fanti, disordinati più che importanti e quasi tutti favorevoli ai Romani. Di lì gli eserciti furono condotti attraverso l’Apulia senza alcun combattimento di rilievo, poiché Annibale si metteva in marcia di notte ricercando il terreno per le imboscate, Marcello non lo seguiva se non a giorno fatto e dopo aver prima compiuto una ricognizione.»

tito livio, auc, xxvii, 2

Secondo Livio il combattimento iniziò di prima mattina. In prima linea per i romani c’era la I legione e l’ala sociorum destra. La III legione e l’ala sociorum sinistra diedero supporto durante la battaglia. I cartaginesi avevano elefanti, fanteria ispanica e frombolieri delle baleari. I due schieramenti combatterono tutto il giorno, finché non calò la notte. Il giorno seguente non ci furono scontri; i romani seppellirono i morti. Durante la notte Annibale si allontanò, in silenzio, per distanziarsi dai romani. Marcello lo seguì e lo raggiunse presso Venosa. Romani e cartaginesi ebbero qualche scaramuccia, poi continuarono a inseguirsi, con il cartaginese che si muoveva di notte e i romani che inseguivano di giorno dopo aver sondato il terreno. Annibale era amareggiato dal confronto mai vittorioso con Marcello, tanto da far dire al comandante punico: “Fabio Massimo mi impedisce di combattere , Marco Claudio Marcello di vincere”.

Il console non tornò a Roma per indire i comizi per l’anno successivo, cosa che avrebbe dovuto fare in quanto console anziano, ma anche l’altro console Valerio Levino che era rientrato era dovuto subito ripartire, quindi Marcello fu costretto a tornare nell’Urbe anche se voleva inseguire Annibale e riconoscere come dittatore – non avendo il tempo di indire i comizi – Quinto Fulvo, che scelse come magister equitum Publio Licinio Crasso. Nel frattempo la spada di Roma ottenne il proconsolato per il 209 a.C., per prorogare il suo comando in Puglia. Marcello attaccò Annibale nei pressi di Venusia e dovette poi ritirarsi, venendo accusato pubblicamente a Roma. Dopo essersi difeso venne letto console di nuovo nel 208, ma durante una ricognizione vicino la stessa Venusia fu colto di sorpresa dai nemici e ucciso. Polibio criticava molto l’imprudenza, visto che anche gli auspici erano stati sfavorevoli; in ogni caso Annibale fece cremare il corpo e lo restituì al figlio.

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Claudio Marcello: La spada di Roma
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