«Fu educato presso Domizia Lucilla, madre dell’imperatore Marco. Grazie all’appoggio di lei fu eletto nella magistratura dei venti. Venne designato questore un anno prima di aver raggiunto l’età legale. Grazie poi all’appoggio di Marco ottenne l’edilità. Sempre grazie ad esso divenne pretore. Dopo la pretura ebbe il comando della ventiduesima legione Primigenia in Germania. Governò quindi la Gallia Belgica, con grande onestà e per lungo tempo. Lì, con le disordinate truppe ausiliarie costituite di provinciali, riuscì a tener testa agli attacchi dei Cauchi, una popolazione germanica che abitava le sponde del fiume Elba. Per tali meriti ottenne il consolato, su proposta dello stesso imperatore. Sconfisse duramente anche i Catti. Quindi ebbe il governo della Dalmazia, e la difese dai nemici confinanti. Successivamente governò la Germania inferiore.»

(Historia Augusta, Didio Giuliano, 1, 3-9)

Marco Didio Severo Giuliano nacque a Mediolanum nel 133 d.C. e fu allevato nella casa di Marco Aurelio, in particolare da sua madre. Grazie all’imperatore fece carriera fino a ricoprire il consolato. Quando Pertinace venne assassinato pensò di candidarsi facendo un’offerta ai pretoriani; prima di allora la sua carriera era stata più che normale e sembra eccessiva l’ostilità mostrata dalle fonti nei suoi confronti, in particolare da Cassio Dione (forte sostenitore di Settimio Severo), che parlano di impero messo all’asta.

Didio Giuliano infatti ottenne l’appoggio dei pretoriani e la porpora con un donativo di 30.000 sesterzi a testa. L’episodio è passato alla storia con un sordido tentativo di svendere l’impero, quando Marco Aurelio fece un donativo di 20.000 sesterzi, una cifra non molto distante. Nonostante Didio Giuliano si comportasse in modo irreprensibile, assecondando i senatori, e rispettandoli, il popolo lo odiava. Sia perché aveva fatto ripristinare alcuni decreti di Commodo, sia poiché credevano fosse l’artefice della morte di Pertinace:

«Non appena fu giorno, ricevette i senatori e i cavalieri che erano venuti al Palazzo, e si rivolse a ciascuno con parole molto cordiali, come ad un fratello, a un figlio o a un padre, a seconda dell’età. Ma il popolo, attorno ai Rostri e davanti alla Curia, lo ricopriva di pesanti insulti, sperando che avrebbe deposto il potere imperiale che i soldati gli avevano conferito. Mentre scendeva con i soldati ed i senatori nella Curia, la gente invocò contro di lui le Furie, e mentre stava celebrando il sacrifìcio, gli augurarono di non ottenere presagi favorevoli. Giunsero persino a scagliargli contro delle pietre, sebbene Giuliano cercasse continuamente di invitarli alla calma con cenni della mano. Entrato poi nella Curia, parlò con tranquillità e prudenza. Ringraziò i senatori per la sua elezione, e per il conferimento a lui, alla moglie, e alla figlia del titolo di Augusti. Accettò anche quello di padre della patria, mentre rifiutò una statua d’argento. Mentre si dirigeva dal senato in Campidoglio, la gente gli sbarrò il passo, ma venne fatta sgombrare e allontanata a colpi di spada e con la promessa di monete d’oro, che lo stesso Giuliano, per farsi credere, mostrava fra le dita. Quindi ci si recò allo spettacolo nel circo. Ma il popolo, occupati indiscriminatamente i posti di tutte le categorie sociali, raddoppiò i suoi insulti contro Giuliano: e invocava per la salvezza della città Pescennio Nigro, che si diceva esser già stato eletto imperatore. Giuliano sopportò pazientemente tutte queste manifestazioni ostili, e per l’intera durata del suo impero mostrò grande clemenza; il popolo, dal canto suo, inveiva violentemente contro i soldati, come rei di avere per denaro ucciso Pertinace. Nel tentativo dunque di accattivarsi il favore popolare, rimise in vigore molte disposizioni stabilite da Commodo, che Pertinace aveva abolito. In merito a Pertinace non prese alcuna iniziativa né in bene né in male, ciò che a molti parve estremamente grave. Ma apparve chiaro che egli dovette tacere sugli onori da tributare a Pertinace per timore dei soldati.

(Historia Augusta, Didio Giuliano, 4, 1-9)

«Quanto a Giuliano, come fu salito al trono, subito si abbandonò ai piaceri e alle gozzoviglie, trascurando l’amministrazione dello stato per una vita piena di sfarzo e di mollezza. E si vide che egli aveva ingannato i pretoriani con le sue millanterie; infatti non poteva mantenere ciò che aveva promesso, perché non aveva di suo tante ricchezze quante ne vantava, e non poteva attingere alle casse dello stato, che erano completamente vuote per le immense e folli spese dovute alla prodigalità di Commodo. I soldati [che vedevano cadere le loro speranze], si sdegnarono contro Giuliano [ascrivendogli a colpa la sua leggerezza]; e il popolo, che conosceva l’animo dei soldati, aveva in dispregio l’imperatore, tanto che al suo passaggio si levavano grida ostili, a scherno dei suoi turpi e ambigui piaceri. Anche all’ippodromo, dove il popolo soleva convenire in grandi masse, Giuliano era oggetto di imprecazioni; e si acclamava Nigro come baluardo dello stato romano, e rappresentante di un piú saggio governo; anzi, gli si chiedeva di soccorrere al piú presto il popolo indegnamente trattato.»

(Erodiano,. Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, II, 7, 1-3)

Ma alla morte di Pertinace erano stati acclamati imperatori Settimio Severo in Pannonia, Pescennio Nigro in oriente e Clodio Albino in Britannia (anche se sembra che Albino abbia inizialmente appoggiato Giuliano). Il primo ad arrivare sarà proprio Severo, che era il più vicino. Giuliano non aveva molti soldati da opporgli, a parte le coorti pretorie e urbane; ma Settimio Severo riuscì a prendere Roma e l’impero senza combattere. Giuliano, abbandonato da tutti, venne ammazzato nel palazzo da un soldato il 1 giugno 193:

«Governava tutta la Pannonia (che infatti costituiva una sola provincia) un uomo di stirpe libica, valente e risoluto nell’attività politica, avvezzo a una vita dura e travagliata, resistentissimo alle fatiche, rapido nel decidere e pronto nell’eseguire: Severo. Questi, dunque, apprendendo dai messaggeri che l’impero era in bilico, e Giuliano e Nigro se lo contendevano, decise di impadronirsene, disprezzando l’uno come un degenerato, l’altro come un inetto. Egli era incoraggiato anche da sogni, da oracoli, e da tutti i fenomeni che appaiono a presagire il futuro: i quali, quando si avverano, sogliono essere considerati infallibili.»

(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, II, 9, 2-3)

«Furono inoltre aboliti i decreti del senato. Giuliano, convocato il senato e richiesto il parere dei senatori sul da farsi, non ne ebbe alcuna risposta precisa. Successivamente comunque ordinò di propria iniziativa che Lolliano Tiziano armasse i gladiatori a Capua, e chiamò da Terracina Claudio Pompeiano per associarlo al potere, giacché era stato genero di un imperatore e aveva comandato a lungo l’esercito. Ma questi rifiutò, rispondendo di essere ormai vecchio e debole di vista. Anche dall’Umbria soldati erano passati dalla parte di Severo. Severo dal canto suo aveva inviato lettere nelle quali ordinava di tenere sotto controllo gli uccisori di Pertinace. In breve Giuliano fu abbandonato da tutti e rimase solo nel Palazzo assieme ad uno dei suoi prefetti, Geniale, e al genero Repentino. Infine si fece in modo che per autorità del senato venisse tolto a Giuliano il potere imperiale. Si procedette alla sua destituzione, e immediatamente fu proclamato imperatore Severo, mentre si faceva spargere la voce che Giuliano si era dato la morte col veleno. In realtà furono inviati dal senato degli emissari che si occuparono di far uccidere Giuliano per mano di un soldato semplice nel Palazzo, mentre implorava la protezione del nuovo Cesare, cioè Severo. Quando era salito al trono aveva emancipato sua figlia, conferendole un patrimonio, che ora subito le fu tolto assieme al titolo di Augusta.»

(Historia Augusta, Didio Giuliano, 8, 2-9)

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