Galerio nacque attorno al 250 nella Dacia Ripensis nei pressi di Serdica (oggi Sofia, in Bulgaria), in un villaggio che poi avrebbe preso il nome della madre Romula, Felix Romuliana. Dopo aver combattuto con Aureliano e Probo divenne prefetto al pretorio di Diocleziano e infine sposò la figlia Valeria, dopo aver, nel maggio del 293, ricevuto il titolo di Cesare.

Assunse anche il titolo di Iovio, come il padre adottivo (così come Costanzo aveva preso quello di Erculio di Massimiano). Mentre Diocleziano era impegnato in Egitto a sedare delle ribellioni, Galerio si stabilì in oriente, lanciando una campagna militare contro il re persiano Narsete, ma subì una decisiva sconfitta.

Tornato alla riscossa nel 297-8, stavolta Galerio ottenne una vittoria decisiva, riuscendo a catturare mogli e parenti di Narsete, oltre a prendere Ctesifonte. Il re persiano inizialmente tentò di trattare, ma poi dovette venire a patti con Galerio, che ottenne un deciso rafforzamento della frontiera orientale, che arrivava fino a Nisibi.

Grazie anche al prestigio acquisito, Galerio, che si era stabilito a Tessalonica (dove fece erigere un mausoleo e un arco di trionfo) spinse probabilmente Diocleziano a promulgare un editto di persecuzione contro i cristiani, che odiava, emanato nel febbraio del 303: si prevedeva la distruzione delle Chiese e dei libri sacri, la perdita delle cariche e l’impossibilità di riunirsi; di conseguenza si obbligò anche a sacrificare agli dei, pena la morte.

Divenuto Augusto anziano nel 305, all’abdicazione di Diocleziano, dovette affrontare il problema dell’acclamazione di Costantino e Massenzio. Dopo un incontro avvenuto a Carnuntum nel 308, dove era presente anche Diocleziano, si decise di nominare Augusti Galerio e Licinio e Cesari Costantino e Massimino Daia, già Cesare e nipote di Galerio.

Poco dopo però Galerio si ammalò. In punto di morte, emanò un editto che sospendeva le persecuzioni (editto di Serdica) e garantiva libertà religiosa a chiunque, il 30 aprile del 311:

«Tra le altre disposizioni che abbiamo formulato per l’utilità e il profitto dello stato, abbiamo voluto in primo luogo restaurare ogni cosa in conformità con le antiche leggi e le pubbliche istituzioni di Roma, e prendere provvedimenti perché anche i Cristiani che abbandonarono la religione dei propri antenati ritornassero a sani propositi.
Ma per qualche strano ragionamento, essi furono colti da una tale superbia [e da una tale follia], che non vollero più seguire le tradizioni degli antichi, istituite forse proprio dai loro stessi antenati, e fecero a loro arbitrio e come ognuno volle delle leggi che osservavano strettamente, e riunirono moltitudini diverse in vari luoghi.
Perciò, quando fu da noi emanato un editto perché ritornassero alle istituzioni degli antichi, moltissimi furono sottoposti a processo capitale, e moltissimi altri, invece, furono torturati e subirono i più diversi generi di morte.
E poiché la maggior parte persisteva nella stessa follia, e noi vedevamo che non tributavano la dovuta venerazione agli dei celesti, né onoravano quello dei Cristiani, considerando la nostra benevolenza e la costante consuetudine per la quale siamo soliti accordare il perdono a tutti, abbiamo ritenuto di dover con-cedere sollecitamente il nostro perdono anche in questo caso, affinché vi siano di nuovo dei Cristiani e di nuovo si costruiscano gli edifici nei quali solevano riunirsi, così che non facciano niente di contrario alle istituzioni. In un’altra lettera daremo ai giudici istruzioni su ciò che dovranno osservare.
Perciò, in conformità con questo nostro perdono, essi dovranno pregare il loro Dio per la salvezza nostra, dello stato e di loro stessi, perché sotto ogni rispetto lo stato si conservi integro ed essi possano vivere tranquilli nelle proprie case»

(Eusebio di Cesare, Storia Ecclesiastica, VIII, 17, 6-10)

Poco dopo, il 5 maggio, Galerio morì, a Serdica; secondo Lattanzio tra atroci sofferenza causatagli da una cancrena. Ma non si può ritenere la fonte del tutto affidabile visto che il titolo della sua opera era il De mortibus persecutorum, “Sulla morte dei persecutori”, in cui si divertiva a raccontare delle atroci morti che avrebbero avuto tutti gli imperatori che aveva perseguitato i cristiani.

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