«Quando Valeriano fu catturato (e invero da dove si dovrebbe cominciare la biografia di Gallieno, se non da quel disgraziato evento, dal quale la sua vita fu negativamente condizionata?), mentre lo Stato era in grave crisi, e Odenato si era ormai impadronito dell’Oriente, e Gallieno si rallegrava alla notizia della prigionia del padre, gli eserciti vagavano senza mèta, […]. Sotto il consolato, dunque, di Gallieno e di Volusiano, Macriano e Ballista si uniscono fra loro, radunano i resti dell’esercito e, poiché l’impero romano versava in grave crisi nei suoi territori orientali, si dànno a cercare chi poter eleggere quale imperatore, giacché il comportamento di Gallieno era improntato a tale inettitudine, che di lui nell’esercito non si faceva neppure menzione. Decisero infine di proclamare imperatore Macriano assieme ai suoi figli, e di assumere la difesa dello Stato […].»

(Historia Augusta, Gallieno, 1, 1-3)

Un impero diviso

Dopo la cattura del padre Valeriano, Gallieno rimase imperatore in occidente; era già stato associato come Augusto, ma alla notizia della disfatta romana ci furono ribellioni ovunque, tanto che l’Historia Augusta chiama questo periodo “dei trenta tiranni”, con un chiaro richiamo ai trenta tiranni che tennero Atene per circa un anno dopo la vittoria spartana nella guerra del Peloponneso, nel 404 a.C. Ma, a differenza di altri momenti del III secolo e non solo, le ribellioni non si concretizzarono in un cambiamento politico con l’avvento di una nuova dinastia; Gallieno, che si era stabilito a Milano, per stare più vicino alla frontiera, convisse per molti anni con una serie di usurpatori, specialmente a oriente, dove Odenato, signore di Palmira, aveva preso tutte le province orientali e inflitto sconfitte pesantissime ai persiani, mentre Postumo aveva formato un vero e proprio impero delle Gallie, senza venire a uno scontro decisivo con Gallieno. Il quale viene dipinto dall’Historia Augusta come un depravato, intento più che altro a divertirsi:

«Mentre Gallieno persisteva nella sua condotta dissipata e immorale, dandosi ad orge e gozzoviglie, e amministrava lo Stato non diversamente da come fanno i bambini quando giocano a fare il re, i Galli, che hanno insita nel loro carattere l’incapacità di sopportare gli imperatori frivoli e degeneranti dalla tradizionale virtù romana, nonché dissoluti, chiamarono al potere Postumo, col consenso anche delle truppe, disgustate da un imperatore immerso nei vizi. Contro di lui […] Gallieno, mentre ispezionava all’intorno le mura, fu colpito da una freccia. Postumo tenne il potere per sette anni, difendendo con grande energia le regioni della Gallia da tutte le popolazioni barbare che si riversavano ai suoi confini. Messo alle strette da questi insuccessi, Gallieno fece pace con Aureolo con l’intenzione di attaccare Postumo, e, trascinando a lungo la guerra fra vari assedi e battaglie, condusse le operazioni ora con esito favorevole, ora sfavorevole.»

(Historia Augusta, Gallieno, 4, 3-6)

L’Historia Augusta insiste sulla condotta dissoluta dell’imperatore:

«Inoltre, quasi che tutte le parti del globo fossero sconvolte da una congiura universale, sorse anche in Sicilia qualcosa come una guerra servile, per via delle scorrerie operate da bande di briganti che furono debellate a fatica. E tutto questo avveniva per il disprezzo che circondava Gallieno; non vi è infatti nulla che stimoli maggiormente i malvagi all’audacia e i buoni alla speranza di posizioni preminenti, quanto la paura di un imperatore crudele o il disprezzo verso un imperatore dissoluto. Sotto il consolato di Gallieno e Fausiano, fra tanti disastri bellici vi fu anche un terribile terremoto: vi fu buio per molti giorni e si udì inoltre un boato emesso a mo’ di muggito dalla terra, anziché provocato dal tuono di Giove; da questo terremoto furono inghiottiti molti edifici con i loro abitanti e molte persone morirono di paura; questo cataclisma sconvolse in modo particolarmente grave le città dell’Asia. Ma anche Roma e la Libia ne furono colpite. In molti luoghi la terra si aprì, e nelle fenditure sgorgava acqua salmastra. Anche i mari ricoprirono molte città. Si cercò allora di ottenere il favore degli dèi consultando i libri Sibillini, e fu celebrato un sacrificio a Giove Salutare, secondo quanto era stato prescritto. Era infatti anche scoppiata a Roma e nelle città dell’Acaia una pestilenza così violenta, che in un sol giorno morivano della stessa malattia cinquemila uomini.

(Historia Augusta, Gallieno, 4,9 – 5,5)


«La mala sorte imperversava: da una parte i terremoti, dall’altra le voragini che si aprivano nella terra, in diverse regioni la pestilenza sconvolgevano l’impero romano; Valeriano era prigioniero, la Gallia si trovava per la più gran parte cinta d’assedio, mentre Odenato era sul piede di guerra, incombeva la minaccia di Aureolo […] Emiliano aveva occupato l’Egitto […], invasa la Tracia, devastarono la Macedonia, assediarono Tessalonica, e da nessuna parte apparivano seppur modesti segni che la situazione si calmasse. Tutto ciò avveniva, come più volte abbiamo ripetuto, in spregio a Gallieno, uomo quanto mai dissoluto e dispostissimo ad accettare qualsiasi situazione disonorevole pur di starsene tranquillo.»

(Historia Augusta, Gallieno, 5, 6-7)

Le invasioni dei goti

Gallieno aveva deciso, nella condizione di profonda difficoltà, di togliere il comando degli eserciti ai senatori, per affidarlo totalmente a cavalieri, militari di professione, forse anche per arginare le continue ribellioni. Inoltre probabilmente aveva formato una prima riserva strategica nei pressi di Milano, a lui legata, per intervenire direttamente laddove ci fosse bisogno.

Di qui si spiega, probabilmente, il ritratto terribile dell’Historia Augusta. Non solo usurpazioni comunque, ma anche invasioni barbariche, ancora una volta; i goti dilagarono di nuovo nei Balcani, mentre moltissimi comandanti locali erano acclamati imperatori:

«Si combatté in Acaia, sotto il comando di Marciano, contro gli stessi Goti che, sconfitti dagli Achei, si ritirarono di là. Ma gli Sciti – cioè un gruppo etnico dei Goti – devastavano l’Asia. Fu spogliato e incendiato anche il tempio della Luna Efesia, un’opera la cui fama era diffusa in tutto il mondo. Sento vergogna a riferire quanto Gallieno diceva in questo periodo, nel corso di questi avvenimenti – per sventura del genere umano – come se trovasse da scherzarci sopra. Quando infatti gli fu annunziata la secessione dell’Egitto, si racconta abbia detto: «E allora? Non possiamo stare senza il lino egizio?». Allorché poi apprese che l’Asia era stata devastata dai cataclismi naturali e dalle scorrerie degli Sciti, esclamò: «E che mai? Non posso fare a meno della schiuma di salnitro?». Perduta la Gallia, dicono si sia messo a ridere esclamando: «Forse che la sicurezza dello Stato sta nei mantelli atrabatici?». E così, via via che perdeva tutte le parti del mondo, quasi gli sembrasse di aver subito un danno inerente a servizi di poco conto, ci scherzava sopra. E perché ai tempi di Gallieno non mancasse proprio alcun disastro, la città di Bisanzio, famosa per le sue battaglie navali, punto chiave del Ponto, fu distrutta da cima a fondo dai soldati dello stesso Gallieno, così che non un solo abitante poté salvarsi.»

(Historia Augusta, Gallieno, 6, 1-7)

La fine

Il comandante della nuova cavalleria che stazionava a Milano, Aureolo, si ribellò a Gallieno, mentre quest’ultimo respingeva i goti a Naissus. L’imperatore, tornato in Italia, assediò Aureolo a Milano, dove forse venne ferito a morte. Altri invece sostenevano che morì per una congiura dei suoi ufficiali. Era il 268; Gallieno, unico caso nella crisi del III secolo, aveva regnato per quindici anni:

“La congiura si svolse in questo modo: Gallieno si trovava in contrasto con Aureolo, che aveva usurpato il potere, e si attendeva ogni giorno l’ arrivo, per lui penoso e insopportabile, di quell’imperatore eletto nella confusione. Marciano e Cecropio, che erano a conoscenza di ciò, fecero annunziare all’improvviso a Gallieno che Aureolo stava ormai arrivando. Questi dunque, raccolte delle truppe, mosse come per affrontare un sicuro scontro e così venne ucciso da sicari inviati allo scopo. Si dice in particolare che Gallieno sia stato trafitto da Cecropio, il capo dei Dalmati, secondo quanto riferiscono alcuni, nei pressi di Milano, dove subito dopo fu assassinato anche il fratello Valeriano, che molti affermano essere stato Augusto, molti invece Cesare, e molti ancora né l’uno né l’altro; ma questo non è verisimile, dal momento che, dopo che Valeriano era già stato catturato, troviamo scritto nei fasti: «sotto il consolato di Valeriano imperatore». Chi altri dunque avrebbe potuto essere Valeriano, se non il fratello di Gallieno? Si sa con certezza della sua famiglia, ma non si è abbastanza al corrente della dignità che ebbe a rivestire o, come altri hanno cominciato a dire, della sua «maestà».”

(Historia Augusta, Gallieno, 14, 6-11)

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