Il 22 maggio 337 Costantino morì nei pressi di Nicomedia, non senza farsi prima battezzare. I tre figli furono i suoi eredi, Costanzo II, Costante e Costantino II. Quest’ultimo era il maggiore, ma lui e Costante morirono, e infine rimase solo Costanzo, che all’inizio aveva avuto l’oriente. Uno dei nipoti dell’imperatore defunto, nato il 6 novembre del 331 d.C., era Flavio Claudio Giuliano, soprannominato poi dai cristiani Apostata. Infatti fu l’unico parente superstite, insieme al fratellastro Costanzo Gallo, oltre ai tre figli di Costantino, che nell’estate del 337 d.C., dopo la morte del padre, fecero piazza pulita dei possibili pretendenti alla porpora.

Giuliano aveva deciso di abbracciare pienamente il paganesimo dopo aver fatto conoscenza dei filosofi neoplatonici Libanio e Massimo a Costantinopoli, dove tornò dopo una vera e propria reclusione di sei anni in Cappadocia, luogo ove era stato inviato dai cugini e allevato secondo gli insegnamenti cristiani. Scrisse moltissime opere (compresi panegirici), e il 6 novembre del 355 d.C., al compimento del suo ventiquattresimo compleanno, Costanzo II lo fece Cesare a Mediolanum. Infatti gli altri fratelli di Costanzo erano morti: Costantino II facendo la guerra al fratello Costante, mentre quest’ultimo era stato sconfitto da Magnenzio nel 350. Infine anche l’usurpatore gallico era caduto per mano di Costanzo II e questi si era ritrovato a governare un impero enorme, decidendo infine di dividerlo col cugino, unico parente superstite (dopo aver fatto assassinare anche Gallo, che aveva nominato Cesare prima di lui) e di dargli in moglie la sorella Elena.

Un principe pagano

«Subito dopo aver così parlato (Costanzo) rivestì Giuliano della porpora avita e lo proclamò Cesare tra le acclamazioni di gioia dell’esercito. Rivoltosi a lui, che aveva i lineamenti del volto contratti e quasi mesti, gli disse:

«In giovane età, carissimo cugino, hai ricevuto lo splendido fiore della tua origine. Riconosco che la mia gloria s’è accresciuta, poiché nel concedere un’autorità quasi pari alla mia ad un mio nobile parente mi sembra d’essere altrettanto giusto quanto grande nell’esercizio del mio stesso potere. Sii dunque partecipe delle mie fatiche e dei miei pericoli ed assumi l’incarico di difendere le Gallie per sollevare con ogni genere di benefici quelle regioni duramente provate. Se sarà necessario venire a battaglia con i nemici, poniti con fermo piede proprio fra i signiferi, esorta con ponderatezza all’audacia al momento opportuno, infiamma con somma cautela i combattenti andando innanzi a loro, sostieni con il tuo aiuto quanti sono turbati, rimprovera con misura i pigri, e sii pronto ad essere veridico testimone sia dei prodi che dei vili. Quindi, di fronte alla gravità della situazione, tu che sei valoroso, mettiti in cammino, per essere a capo di uomini altrettanto valorosi. Saremo vicini l’uno all’altro con saldo e costante affetto, combatteremo assieme per reggere uniti, con pari equilibrio ed amore, il mondo riportato alla pace, purché la divinità ci conceda ciò che chiediamo. Dovunque mi sembrerà d’averti vicino, né io ti sarò lontano qualsiasi impresa tu stia per compiere. Va’ dunque ed affrettati, accompagnato dagli augùri di tutti, a difendere con vigile cura il posto di combattimento come se lo stato in persona te l’avesse assegnato».

Alla fine di questo discorso nessuno rimase in silenzio, ma tutti i soldati, battendo con orrendo fragore gli scudi sulle ginocchia (segno questo di piena approvazione, mentre il battere le aste sugli scudi è indizio d’ira e di dolore), approvarono, ad eccezione di pochi, con incredibile gioia la decisione dell’Augusto e salutavano con l’ammirazione che meritava il Cesare, splendente nel fulgore della porpora imperiale. Osservando attentamente ed a lungo i suoi occhi belli e terribili ad un tempo ed il volto amabile pur nella sua eccitazione, cercavano di dedurne il carattere come se consultassero dei vecchi libri la cui lettura mostra la natura dell’animo attraverso le caratteristiche fisiche. E per esprimergli maggior rispetto, né lo lodavano oltremodo, né meno di quanto convenisse, tanto che i loro furono ritenuti giudizi di censori, non di soldati. Infine fu fatto salire sul cocchio imperiale assieme all’Augusto e, mentre veniva accolto alla reggia, mormorava questo verso d’Omero: «Lo colse la Morte purpurea e la Parca possente». Questa cerimonia avvenne il 6 novembre durante il consolato di Arbizione e di Lolliano. Pochi giorni appresso al Cesare fu data in sposa Elena, sorella non maritata di Costanzo e, portati a termine tutti i preparativi richiesti dall’imminenza della partenza, il I° dicembre Giuliano partì con un piccolo séguito.»

Ammiano Marcellino, Storie, XV, 8, 11-18

Giuliano si dimostrò un buon amministratore e comandante, vincendo gli alemanni ad Argentoratum (Strasburgo) nel 357 d.C. Venne infine acclamato Augusto e imperatore dai soldati gallici nel 360, scontenti alla notizia di Costanzo II che aveva chiesto quei reparti per la sua campagna persiana. Giuliano tentennò, ma infine accettò: non si venne allo scontro solo perché Costanzo II morì prima, in Cilicia: l’imperatore pagano era rimasto unico imperatore (pare che Costanzo lo avesse adottato in punto di morte).

Dopo la morte di Costanzo, il 3 novembre del 361, Giuliano rimase unico imperatore, senza avere altri oppositori; raggiunse Costantinopoli senza problemi, grazie all’appoggio di Saluzio, che era stato suo quaestor sacri palatii in Gallia e che, allontanato da Costanzo, aveva permesso poi di farlo accogliere pacificamente in oriente. Giuliano promosse innanzitutto il culto pagano a discapito del cristianesimo, nonostante un primo editto di tolleranza del dicembre 361, impedendo poi ai maestri cristiani di insegnare (dicendo che gli insegnamenti, perlopiù pagani, erano in contraddizione con la fede), dall’estate del 362. Anche per questo motivo, e per aver rinnegato gli insegnamenti ricevuti in tenera età, venne chiamato dai cristiani Apostata.

«Sebbene dalla prima fanciullezza fosse piuttosto incline al culto degli dèi e con il passare degli anni ne fosse sempre più acceso, tuttavia, temendo per molte ragioni, praticava alcuni di questi riti nella massima segretezza. Allorché però, venuti meno i motivi della paura, si rese conto che era giunto il tempo di fare liberamente ciò che voleva, manifestò apertamente i suoi segreti pensieri e con decreti chiari e ben definiti ordinò di riaprire i templi, di portare vittime agli altari ed insomma di ristabilire il culto agli dèi. Per rafforzare l’effetto di queste disposizioni fece venire alla reggia i vescovi cristiani, che erano in discordia fra loro, assieme al popolo pure in preda ad opposte fazioni, e li esortò con belle maniere a mettere da parte le discordie ed a praticare ciascuno la propria religione senz’alcun timore e senza che nessuno l’impedisse. Egli era fermo in questa linea di condotta in modo che, aumentando i dissensi per effetto dell’eccessiva libertà, non avesse da temere successivamente un popolo compatto, poiché ben sapeva per esperienza che nessuna fiera è così ostile agli uomini, come la maggior parte dei Cristiani sono esiziali a se stessi. Soleva spesso dire: «Ascoltate me, cui prestarono ascolto gli Alamanni ed i Franchi», ritenendo di imitare il detto dell’antico imperatore Marco Aurelio. Ma non si rese conto che i casi erano troppo diversi. Quello infatti, attraversando la Palestina diretto in Egitto, nauseato spesso dal fetore e dai tumulti dei Giudei, si dice esclamasse disgustato: «O Marcomanni, o Quadi, o Sarmati, ho trovato finalmente un popolo più inquieto di voi.»

Ammiano Marcellino, Storie, XXII, 5, 1-5

Tuttavia Giuliano non perseguitò mai direttamente i cristiani, cercando invece di favorire in ogni modo i pagani, realizzando una gerarchia sacerdotale analoga, e di combattere la povertà, togliendo dunque due delle basi su cui la fortuna del cristianesimo si basava. Scrisse anche moltissimo, tra cui il Misopogon (Odiatore della barbara), un’operetta satirica contro chi, ad Antiochia, lo prendeva in giro per la barba. Ancora più famoso fu Contro i Galilei, in cui l’imperatore muoveva un durissimo attacco ai cristiani, definendo la religione dei seguaci di Cristo basata essenzialmente sulla superstizione e credenze erronee e prive di fondamento. Ma comunque Giuliano era un filosofo, e fu più che altro un propugnatore del neoplatonismo. In seguito alla sua morte, avvenuta durante la ritirata della campagna persiana, vennero ripristinati gli antichi privilegi ai cristiani, la cui religione diverrà con Teodosio religione di stato.

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Giuliano, l’imperatore Apostata
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