Dopo la caduta dell’impero d’occidente nel 476, con la deposizione di Romolo Augustolo e l’uccisione di suo padre Oreste da parte del comandante dell’esercito imperiale in Italia Odoacre, quest’ultimo aveva rimandato le insegne imperiali all’imperatore d’oriente Zenone, chiedendo la riunificazione dell’impero. L’imperatore aveva accettato riluttantemente, ma alla fine aveva ceduto in quanto il suo potere era al momento piuttosto traballante. Tuttavia alcuni anni dopo, in seguito alle sempre più minacciose scorrerie degli ostrogoti in Tracia e nei pressi di Costantinopoli, aveva deciso di stipulare un accordo con Teoderico per spostare la sua popolazione in Pannonia e in tutta la diocesi italiciana, che rimaneva intatta dopo la fine dell’impero d’occidente. Per l’imperatore era meglio mettere contro di loro due re barbari che non avere Teoderico contro. Nel 489 gli ostrogoti avevano iniziato l’invasione dell’Italia e quattro anni dopo erano padroni della penisola. La morte di Zenone, avvenuta nello stesso periodo, lasciava a Teoderico la possibilità di crearsi un dominio personale e non, come sembra ormai assodato, di ridare all’imperatore l’Italia. Perciò con una lettera (la prima delle Variae di Cassiodoro) ad Anastasio, nuovo imperatore, Teoderico chiedeva di vedere riconosciuto il suo potere.

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Gli Amali

Il regno di Teoderico è da considerarsi a tutti gli effetti come quello dell’ultimo imperatore romano d’occidente. L’amalo si atteggiò sempre come garante della libertà romana, e per l’amministrazione dello stato utilizzò quasi esclusivamente romani. Perfino nei posti di comando dell’esercito ci sono dei romani. Come racconta Cassiodoro, Teoderico ebbe inizialmente buoni rapporti col senato. Quest’ultimo allo stesso modo andava d’accordo col sovrano: alcuni senatori chiamarono Teoderico princeps e augustus in un’epigrafe. Una cronaca del tempo, l’Anonimo Valesiano, paragona Teoderico a Traiano e Valentiniano. Lo stesso Cassiodoro non si fa scrupoli a tratteggiarlo come un princeps.

Nel 500, come un vero imperatore romano, Teoderico festeggia i tricennalia, i trenta anni di regno, come aveva fatto già Costantino. Fa un’enorme processione a Roma, seguita da spettacoli nel circo massimo, seguita addirittura da elargizioni di grano al popolo romano. Infine tiene un discorso in senato in cui dice di concedere tutti i privilegi accordati dai suoi predecessori, mettendosi di fatto sullo stesso livello degli imperatori antichi. Ai quali viene paragonato dai romani stessi, a cui viene affidata la gestione e l’amministrazione dello stato, mentre gli ostrogoti si insediano in larghissima parte a nord del Po e formano presidi militari: i romani gestiscono la cosa pubblica (la cui burocrazia e uffici centrali restano quasi inalterati rispetto al V secolo), i goti (e in alcuni casi anche i romani) si dedicano a combattere.

Grazie all’oculato intervento del prefetto al pretorio Liberio le terre dei barbari di Odoacre vengono confiscate e redistribuite ai goti, che numericamente non sono molti di più (si presume 100-200.000 al massimo), provocando pochissimi sconvolgimenti. Alcuni romani come Cassiodoro hanno una carriera politica floridissima, e quest’ultimo raccoglie nelle Variae i documenti ufficiali che redige per conto dei sovrani ostrogoti, oltre a una serie di formule ufficiali degli stessi, permettendoci di conoscere abbastanza bene la storia ostrogota d’Italia.

saiones goti affiancano gli agentes in rebus romani, ma non li sostituiscono, mentre l’unico vero cambiamento riguarda l’officium del magister militum che scompare. Tuttavia abbiamo dei funzionari chiamati comitiaci e che gli studi confermerebbero come dipendenti del magister militum nel corso del V secolo, che sono sotto il diretto controllo di Teoderico. Effettivamente per tutto il V secolo i barbari avevano avuto il ruolo importantissimo di magister militum in occidente; ora non ce n’era più bisogno, era il rex a comandare l’esercito. In sostanza gli ostrogoti formavano buona parte dell’esercito, mentre i romani governavano lo stato. Il prestigio di Teoderico era tale che il re sceglieva uno dei due consoli in carica (e l’imperatore l’altro). Come sosteneva Cassiodoro, nei fatti il re ostrogoto era il collega occidentale dell’imperatore bizantino, sebbene non potesse fregiarsi del titolo di imperatore.

Nel 508 addirittura Teoderico strappa la Provenza ai franchi, che l’avevano appena presa ai visigoti, ripristinando l’antica prefettura delle Gallie. Per elogiare il ritorno dei galli in seno a Roma decide perfino di nominare prefetto delle nuove conquiste un gallo. Inoltre, data la morte di Alarico II proprio combattendo i franchi, Teoderico diventa tutore del nipote Amalarico dei Balti e quindi di fatto controlla indirettamente anche la Spagna, che arriva a presidiare con insediamenti ostrogoti fino alla zona di Barcellona. L’Africa invece è tenuta in buoni rapporti dal matrimonio avvenuto tra Trasimondo, re dei vandali e la sorella di Teoderico Amalafrida.

La situazione si incrinò però a partire dalla fine degli anni ’10 del VI secolo, con la salita al potere in oriente di Giustino, che cercò di superare il monofisismo del predecessore Anastasio e per questo fece tornare nelle sue grazie anche la Chiesa occidentale; ancora peggio, Giustino cominciò a perseguitare monofisiti e ariani (e i goti lo erano), cercando di stabilire il primato del credo niceno. In seguito a delle dispute teologiche, nel 524, parte del senato di Roma cospirò per sostenere un papa diverso da quello voluto da Teoderico. Il re, molto anziano, reagì duramente, e credendo in una congiura più ampia contro i goti. Ne pagò le conseguenze tra gli altri Boezio, che venne condannato a morte. Il regno di Teoderico si inasprì e il re si fece più sospettoso. Nel 526, ormai vecchio, morì l’ultimo re barbaro in grado di sintetizzare le istanze romane e barbare in Italia. A succedergli fu il nipote Atalarico, figlio della figlia Amalasunta, che la madre allevò nel culto della cultura romana, non senza le ire dell’aristocrazia ostrogota.

La restaurazione

Giustiniano trovò quindi il casus belli per dichiarare guerra agli ostrogoti, dopo che Amalasunta fu assassinata dal marito Teodato per impadronirsi del trono. Secondo la Storia segreta ad ordire l’assassinio di Amalasunta sarebbe stata addirittura  l’imperatrice Teodora. L’imperatore affidò il comando ancora a Belisario, console nel 535, mentre Mundo invadeva la Dalmazia. Belisario sbarcò in Sicilia, conquistandola in breve tempo, mentre contemporaneamente Mundo riuscì a conquistare la Dalmazia. Nel 536 Belisario attraversò lo stretto di Messina, sottomise senza trovare opposizione l’Italia meridionale (già Cassiodoro narrava che sotto Teodorico ci fossero pochissimi goti a sud di Roma e addirittura nessuno in intere regioni) e si diresse a Roma, che conquistò.

Nel frattempo i Goti, insoddisfatti della passività di Teodato, lo uccisero per eleggere re Vitige, che assediò Roma. In quell’occasione furono tagliati gli acquedotti di Roma, che non furono mai più ripristinati. La disunione dell’esercito imperiale, diviso in una fazione fedele a Belisario e l’altra a Narsete, portò alla riconquista gota di Milano, in seguito alla quale Giustiniano richiamò Narsete a Costantinopoli. Senza più Narsete ad ostacolarlo, Belisario poté riprendere la riconquista dell’Italia, impadronendosi con l’inganno della capitale dei Goti Ravenna e facendo prigioniero il re Vitige, che portò con sé a Costantinopoli.

Dopo aver stabilito una nuova pace a oriente con i persiani, Belisario fece ritorno in Italia, dove gli ostrogoti si erano organizzati sotto il re Totila (“l’immortale”), avevano recuperato terreno. Totila aveva anche intrapreso una politica di rottura totale con il senato di Roma. Lo scarso numero di truppe fornitegli da Giustiniano e le tattiche spregiudicate del re goto gli impedì di contrastare efficacemente Totila.

Nonostante le difficoltà, Belisario riuscì a riconquistare Roma, riuscendo a resistere a un tentativo di assedio della città da parte di Totila. Infine, Giustiniano, su richiesta della moglie di Belisario, lo richiamò a Costantinopoli, dove lo accolse con grandi onori. Dopo la partenza di Belisario dall’Italia, Totila riconquistò Roma e altre città, giungendo a invadere persino la Sicilia e la Sardegna. Giustiniano, a questo punto, mandò in Italia Narsete per cercare di concludere una volta per tutte la guerra gotica. L’eunuco riuscì a sconfiggere definitivamente i goti nella battaglia di Gualdo Tadino (Tagina) nel 552, dove Totila morì in battaglia. Sconfisse poi anche il suo successore Teia, e riuscì a conquistare tutta l’Italia nel 553.

La conquista non si rivelò però salda, dal momento che la parte settentrionale della penisola venne invasa dai franchi e alamanni mentre alcune fortezze gote ancora resistevano. Narsete riuscì infine a piegare la resistenza dei barbari e cacciare gli invasori soltanto nel 562. Nel 565 sarebbe morto Giustiniano, lasciando un’Italia distrutta da 20 anni di guerra e prosciugata di uomini e risorse (il senato era stato totalmente decimato), incapace di reggere l’urto della migrazione longobarda nel 568.

Con la Pragmatica Sanzione del 554 la legislazione imperiale fu estesa all’Italia. La massima autorità civile era in teoria il prefetto del pretorio risiedente a Ravenna ma nei fatti l’autorità civile fu sempre limitata fin dal principio da quella militare. Fu infatti lo strategos autokrator (magister militum) Narsete ad assumere il governo effettivo dell’Italia. L’Imperatore, mostrando soddisfazione per la fine di Totila, annullò tutti i provvedimenti di quel re goto, confermando però le leggi dei suoi predecessori: questi provvedimenti erano volti ad annullare le politiche estreme e antisenatoriali di Totila, e restaurare l’ordine preesistente alla guerra.

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Gli ostrogoti in Italia
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