«Dopo la morte dei due Gordiani il senato, in grande trepidazione e vieppiù temendo Massimino, proclamò Augusti Pupieno (o Massimo) e Clodio Balbino, ambedue ex consoli, scegliendoli fra i venti commissari che aveva nominato per la difesa dello Stato. Allora il popolo e i soldati chiesero che fosse conferito il titolo di Cesare al giovanissimo Gordiano, che aveva a quel tempo undici anni – a quanto affermano i più –, o, come vogliono alcuni, tredici, o ancora, come sostiene Giunio Cordo, sedici (ché egli asserisce che morì a ventun anni); e questi, trascinato in senato, e di lì poi presentato in una pubblica assemblea, fu rivestito con gli abiti imperiali e proclamato Cesare.»

(Historia Augusta, I tre Gordiani, 22, 1-3)

Gordiano III, figlio di Gordiano e nipote di Gordiano, governatore d’Africa che si era ribellato sotto Massimino, divenne imperatore dopo la morte del padre e del nonno, dopo che anche Pupieno e Balbino, odiati dai pretoriani vennero scannati da quest’ultimi dopo neanche tre mesi di regno. Gordiano, che era loro Cesare, fu quindi acclamato imperatore a soli tredici anni. Dunque ancora una volta, dopo Eliogabalo e Alessandro, un imperatore bambino.

Gordiano III

Timesiteo protettore di Gordiano

Gordiano fu ben accetto da tutti, nonostante la giovane età, ma scoppiò una nuova rivolta in Africa da parte del proconsole Sabiniano, che tuttavia non si propagò e venne repressa. Subito dopo, nel 241, Gordiano sposò la figlia di Timesiteo [chiamato Misiteo dall’Historia Augusta], cavaliere romano di grande esperienza, che nominò prefetto al pretorio e divenne sostanzialmente tutore del giovane imperatore:

«Dopo che dunque si era posto fine alle preoccupazioni per la situazione in Africa, sotto il consolato – che era già il secondo –di Gordiano, e quello di Pompeiano, scoppiò la guerra coi Persiani. Fu allora che il giovane Gordiano, prima di partire per la guerra, sposò la figlia di Misiteo, uomo di grande dottrina che egli, in grazia della sua eloquenza, considerò degno di entrare a far parte della sua famiglia, e nominò subito prefetto. Dopo di che il suo impero non appariva più con l’aspetto di qualcosa di puerile e indegno di stima, giacché poteva contare sui consigli del suo eccellente suocero, mentre egli, dal canto suo, dimostrava, conformemente ai suoi buoni sentimenti, anche un certo grado di buon senso, e non lasciava mettere in vendita se stesso dagli eunuchi e dai servi di corte, che approfittavano vuoi della inesperienza vuoi della connivenza della madre.»

(Historia Augusta, I tre Gordiani, 23, 5-7)

La guerra persiana e la fine

Poco dopo Gordiano iniziò la guerra con i persiani, che Alessandro non era riuscito a sconfiggere:

«Durante l’impero di Gordiano vi fu un terremoto di tale violenza, che intere città con i loro abitanti sparirono sprofondando nelle voragini. A motivo di ciò furono celebrati grandiosi sacrifici per tutta la città e in tutto il mondo. Cordo riferisce che, dopo che furono consultati i libri Sibillini e vennero celebrati tutti i riti che vi apparivano prescritti, si riuscì a far cessare quel cataclisma universale. Cessato che fu il terremoto, sotto il consolato di Pretestato e Attico, Gordiano, dopo aver aperto il tempio di Giano bifronte – il che indicava che era stata dichiarata una guerra – partì contro i Persiani con un grande esercito e una tale quantità d’oro da poter debellare facilmente il nemico o con i suoi soldati o con le truppe ausiliarie. Marciò attraverso la Mesia e, nel corso della spedizione, annientò, mise in fuga, ricacciò e respinse lontano tutti i nemici che si trovavano nella Tracia. Di là, attraversando la Siria, giunse ad Antiochia, ormai occupata dai Persiani. Ivi combatté con essi numerose battaglie, nelle quali risultò vincitore, e, spodestato Sapore – il re di Persia succeduto ad Artaserse –, riconquistò Antiochia, Carre e Nisibi, che si trovavano tutte in mano ai Persiani.»

(Historia Augusta, I tre Gordiani, 26, 1-6)

L’esercito, guidato da Timesiteo, riuscì a sconfiggere i persiani, guidati da Shapur I; vennero ricacciati da Antiochia, Carre e Nisibis, riportando sostanzialmente il confine ai tempi dei Severi. Ma, poco dopo, Timesiteo morì. Il nuovo prefetto, Marco Giulio Filippo, non era della stessa pasta. Poco dopo una nuova battaglia, avvenuta a Mesiche (che dalle cronache persiane è riportata come una grande vittoria, mentre è omessa dai romani), Gordiano morì. Non sappiamo se a causa delle ferite, o se come supponevano già gli antichi, grazie alla mano di Filippo, che sarebbe diventato il nuovo imperatore:

«Dopo la sua morte, sotto il consolato di Arriano e Papo, fu eletto al suo posto quale prefetto del pretorio Filippo l’Arabo, uomo di umili origini ma superbo, che non seppe frenare se stesso nei limiti della improvvisa ed enorme fortuna in cui si era venuto a trovare, così che subito, servendosi dei soldati, si diede a tramare insidie ai danni di Gordiano, che pure lo aveva assunto ad occupare il posto del suocero; egli agì in questo modo: Misiteo aveva predisposto dovunque, come già dicemmo, una tale quantità di scorte, che l’organizzazione di rifornimenti dei Romani non avrebbe potuto manifestare cedimenti; ma per via degli intrighi di Filippo, in primo luogo le navi che portavano i viveri furono sviate, inoltre i soldati furono condotti in luoghi dove non era possibile rifornirsi di vettovaglie. In questo modo ben presto riuscì a rendere i soldati ostili a Gordiano, giacché essi non si rendevano conto che il giovane era stato tratto in inganno dalle macchinazioni di Filippo. Ma Filippo, in aggiunta a ciò, fece spargere la voce nell’esercito che Gordiano era solo un ragazzo, che non era in grado di reggere l’impero, e che sarebbe stato meglio che ad avere il potere fosse uno capace di guidare i soldati ed esperto negli affari di governo. Corruppe inoltre anche i personaggi più influenti, e alla fine ottenne che tutti richiedessero apertamente lui quale imperatore. Gli amici di Gordiano in un primo tempo si opposero molto tenacemente, ma, quando i soldati presero a soccombere alla fame, fu demandato il potere a Filippo, e i soldati espressero la volontà che Filippo governasse assieme a Gordiano con pari poteri, come una sorta di suo tutore. Una volta dunque assunto il potere, Filippo si comportava con grande arroganza nei confronti di Gordiano, e questi, consapevole di essere imperatore e figlio di imperatori, nonché uomo di nobilissima famiglia, non poteva sopportare l’insolenza di quel plebeo: fu così che egli, alla presenza di generali e soldati, assistito dal prefetto Mecio Gordiano, suo parente, espresse dall’alto della tribuna le sue lamentele, sperando che si potesse così far revocare a Filippo il potere imperiale. Ma a nulla approdò con queste lagnanze, in cui lo accusò di mostrarsi immemore dei suoi benefici e ingrato nei suoi confronti. E sebbene avesse pregato i soldati e apertamente blandito i comandanti, per via degli intrighi di Filippo non trovò appoggio da parte di alcuno. Alla fine, vedendo che ormai era considerato in sott’ordine, chiese che almeno l’autorità imperiale fosse tra di loro egualmente divisa, ma non lo ottenne. Chiese allora di essere considerato quale Cesare, ma non gli fu concesso. Chiese ancora di poter essere prefetto di Filippo, il che pure gli fu negato. Da ultimo pregò che Filippo lo tenesse come suo generale e gli lasciasse la vita. A questa richiesta Filippo, che se ne stava in silenzio, ma operava ogni cosa attraverso i suoi amici, guidandoli con cenni e suggerimenti, stava quasi per acconsentire. Ma poi, considerando fra sé che per l’affetto che il popolo romano, il senato, nonché tutti i popoli dell’Africa e della Siria e dell’intero impero romano, nutrivano nei confronti di Gordiano – ché egli era di nobile famiglia e nipote e figlio di imperatori, e aveva liberato lo Stato da difficili guerre – sarebbe potuto avvenire che, se un giorno o l’altro l’animo dei soldati fosse stato abilmente manovrato, venisse restituito allo stesso Gordiano l’impero, mentre al momento essi erano fortemente adirati contro di lui a causa della fame, comandò che quel postulante gli venisse tolto d’innanzi, e fosse spogliato e ucciso. Dapprima la cosa fu tirata in lungo, ma poi, quando egli diede espressamente l’ordine, vi si dette esecuzione. Così Filippo si impadronì del potere non legalmente, ma in maniera empia.»

(Historia Augusta, I tre Gordiani, 29, 1-6; 30, 1-9)

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