I barbari avevano cominciato a premere lungo i confini del Reno e del Danubio per la prima volta al tempo di Marco Aurelio, pressati da altre popolazioni germaniche orientali e settentrionali. I catti avevano invaso la Germania nel 162 ma erano stati respinti; nel 166 i marcomanni attraversarono il Danubio. Una coalizione di popolazioni barbari composta da quadi, marcomanni, sarmati, iazigi e altri attaccarono la Pannonia alla ricerca di terre e sicurezze. La frontiera all’epoca era insicura per via delle numerose vexillationes inviate in oriente per la guerra partica e la peste antonina. 

Dopo una lunghissima serie di scontri l’imperatore riuscì a respingere gli invasori, fregiandosi del titolo di Sarmaticus Germanicus. Tra gli episodi più famosi della guerra ci fu il miracolo della pioggia, in cui la legio XII Fulminata (che secondo Eusebio si sarebbe convertita dopo al cristianesimo), circondata dai quadi in territorio nemico, si salvò grazie a un temporale.  La raffigurazione del miracolo è ancora presente sulla colonna di Marco Aurelio, fatta erigere dal figlio Commodo.  La guerra infine fu vinta dai romani ma la morte dell’imperatore a causa della peste nel marzo 180 fu seguita dalla ritirata voluta da Commodo. Marco Aurelio morì il 17 marzo del 180, gravemente malato. Commodo decise di abbandonare le conquiste del padre oltre il Danubio e di ritornare a Roma. Era stato nominato Cesare e aveva ricevuto la tribunicia potestas nel 177. Strinse la pace con i barbari, contro i consigli dei collaboratori paterni, e fermò le persecuzioni contro i cristiani che c’erano state sotto il padre.

Gli ausiliari nell’esercito

Durante i primi secoli della storia romana la maggior parte degli alleati dei romani erano stati i socii italici, che avevano affiancato le legioni di cittadini romani. Con l’espansione della repubblica nuovi regni clienti fornirono truppe ausiliarie, come i numidi che furono fondamentali per vincere Annibale. Alla fine dell’epoca repubblicana i romani facevano affidamento su truppe non regolari fornite da moltissimi regni clienti, specialmente in oriente; Pompeo ad esempio poteva vantare numerose amicizie grazie alle quali poté arruolare numerosi soldati per combattere Cesare. Augusto stabilizzò molti di questi reparti, inquadrandoli negli auxilia, divisi in coorti e alae ausiliarie, ma fu solo Claudio a regolamentare il percorso di carriera per gli ufficiali romani (cavalieri) che le comandavano.

A questi si affiancarono dal II secolo d.C. nuove truppe arruolate tra barbari e che operavano tatticamente in quella maniera, i numerii, oltre a nuovi reparti di cavalieri corazzati catafratti e arcieri a cavallo. In ogni caso, nel I-II secolo d.C., gli ausiliari si dimostrarono spesso al livello dei legionari, ed erano anche equipaggiati in modo simile, con corazza ad anelli o squame, un gladio o una spada, un elmo simile a quello dei legionari e uno scudo spesso ovale. Alcuni usavano anche giavellotti, altri componevano unità miste di fanti e cavalieri, mentre altri ancora erano in reparti di truppe da tiro, come arcieri e frombolieri. La valenza degli ausiliari viene rimarcata anche da altre fonti; famosi sono i batavi, reclutati tra i barbari dell’attuale Olanda, che avevano stretto un accordo di pace fornendo in cambio reclute ai romani (alcuni di questi andavano a formare anche la guardia dell’imperatore, i germani corporis custodes).

Durante il principato, fino a Caracalla (che nel 212 concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero), gli ausiliari romani, reclutati in larga parte tra i peregrini (gli abitanti delle province conquistate da Roma che non erano cittadini romani), ricevevano al congedo, dopo 25 anni di servizio, la cittadinanza romana. Il documento che la attestava era un diploma militare, una tavoletta di bronzo, composta di due parti, sigillate. All’esterno della tavola frontale era scritto che il soldato aveva ottenuto la cittadinanza (emerita o honesta missio), in quella posteriore c’erano i sigilli con i nomi dei 7 testimoni. All’interno, per evitare contraffazioni, entrambe le tavole riportavano il testo della tavola frontale.

Una copia, anch’essa in bronzo, era inviata a Roma e conservata in Campidoglio e dopo i lavori intrapresi da Domiziano, alle spalle del tempio del divo Augusto, che era collocato probabilmente nella zona della Chiesa di Santa Maria della Consolazione. I diplomi, di cui ne sono stati trovati centinaia, erano sigillati poiché una volta giunto al luogo dove intendeva passare il “pensionamento” il soldato lo consegnava all’archivio cittadino o provinciale, dove veniva aperto e in questo modo si verificava che non fosse un falso. Dopo la Constitutio Antoniniana di Caracalla, che dava a tutti la cittadinanza, questi diplomi spariscono per i soldati comuni, e se ne ritrova ancora qualcuno nel III secolo per dei reparti speciali, come i pretoriani.

Dallo schiavismo al colonato

Nel corso del III secolo d.C. l’impero romano subisce una profonda crisi, che coinvolge ogni aspetto della società: esercito, politica, demografia, religione. I primi sintomi di un maggiore peso dell’esercito si hanno già nella tarda età antonina e specialmente sotto i Severi: Marco Aurelio è costretto ad arruolare due nuove legioni (ed è il primo a fare uso di vessilazioni, ossia distaccamenti, di legioni, per non sguarnire eccessivamente il confine) per affrontare le sue campagne contro quadi e marcomanni, mentre Settimio Severo, conscio dell’importanza dell’esercito, scioglie le coorti pretorie, riformandole con legionari pannonici e raddoppiandone gli effettivi (rendendole truppe che effettivamente accompagnavano l’imperatore in guerra) e arruolando tre nuove legioni partiche, che affida a prefetti equestri e non a legati di rango senatorio. Infine Severo aumenta la paga dei soldati e concede a quest’ultimi di sposarsi in servizio.

Gli stessi rapporti schiavistici vengono messi in discussione: finita la fase espansiva e limitandosi i romani a spedizioni punitive e tentativi vani di conquista della Persia, vista anche la carenza di uomini dovuta alle continue guerre e pestilenze, si comincia a preferire di insediare i barbari sconfitti (e quelli datisi volontariamente ai romani) in qualità di laeti, ovvero liberi, all’interno dell’impero, sia per coltivare le terre sia per fare i soldati. Essi, una volta arruolati, sarebbero infine stati assimilati a tutti gli effetti nel corpo civico, che si sarebbe rafforzato di nuovi romani e – ancora più importante – nuovi contribuenti.

Quando l’impero si riprese a partire da Aureliano, cominciarono ad aumentare le spedizioni oltre il limes per catturare barbari. Dopo aver sedato una rivolta in Egitto e firmato la pace con i persiani, Probo tornò in occidente, dove Proculo in Gallia e Bonoso in Germania avevano reclamato la porpora. Assediati, Proculo venne consegnato dai suoi a Probo, mentre Bonoso si suicidò. Quest’ultimo era stato una delle migliori spie di Aureliano, pare infatti che reggesse in modo straordinario il vino e venisse inviato a bere con uomini di cui cercava di carpire informazioni. Messo in sicurezza il confine renano, catturò molti barbari, destinandone più di diecimila all’esercito e insediandone molti altri nell’impero:

“Arruolò inoltre sedicimila reclute, che distribuì tutte per le varie province, dislocandole a gruppi di cinquanta o sessanta fra i vari reparti e i presidi di confine, affermando che, quando Roma si giova dell’apporto di ausiliari barbari, di questo si deve sentire l’effetto, ma non bisogna che si veda. Sistemate dunque le cose in Gallia, inviò al senato questa lettera: «Ringrazio, o senatori, gli dèi immortali, poiché hanno confermato il vostro giudizio nei miei confronti. La Germania è stata sottomessa in tutta la sua estensione, nove re di diversi popoli si sono prostrati supplici ai miei, anzi ai vostri piedi. Ormai tutti i barbari arano per voi, vi fanno da schiavi, e combattono contro le genti dell’interno. Decretate dunque, secondo la vostra tradizione, solenni funzioni di ringraziamento. Abbiamo infatti ucciso quattrocentomila nemici, sono stati messi a nostra disposizione sedicimila armati, settanta delle città più illustri sono state affrancate dalla schiavitù nemica e tutta la Gallia è stata completamente liberata. Le corone d’oro che mi sono state offerte da tutte le città della Gallia, le ho dedicate, o senatori, alle Clemenze Vostre. Consacratele con le vostre mani a Giove Ottimo Massimo e a tutti gli altri dèi e dee immortali. Il bottino è stato tutto ricuperato, e ne è stato fatto anche dell’altro, e più abbondante di quello che era stato in precedenza carpito. Le terre di Gallia vengono arate dai buoi dei barbari e le pariglie germaniche offrono prigioniere il collo ai nostri agricoltori, i greggi di varie popolazioni pascolano per il nutrimento della nostra gente, i loro cavalli ormai vengono fatti riprodurre per rifornire la nostra cavalleria, i granai sono pieni di frumento barbarico. Che cosa si può chiedere di più? Lasciamo loro soltanto il suolo, tutti i loro beni sono nelle nostre mani. Avremmo voluto, o senatori, nominare un nuovo governatore della Germania, ma abbiamo rimandato la cosa a quando la situazione sarà più conforme alle nostre attese. Riteniamo che ciò possa risultare utile allorché la provvidenza degli dèi avrà favorito ancora di più i nostri eserciti».”

Historia Augusta, Probo, 14,7 – 15,7

Il tardoantico

Il sistema si rese sistematico nel corso del IV secolo, con il sempre maggiore afflusso di barbari, costretti a reclutare la terra e poi arruolati, dopo un breve processo di romanizzazione (infatti molti dei soldati erano figli di altri soldati o reclutati tra i contadini, i più avvezzi alla vita militare); molte unità militari tardoantiche presero il nome da popoli barbarici che si erano sottomessi ai romani ed erano stati insediati all’interno dell’impero romano. Il sistema, che prevedeva dunque la romanizzazione di genti barbare attraverso il servizio nelle armi (ben visibile dal nome di comandanti militari romani dalla chiara origine franca o barbarica), permise ad entrambe le parti di rafforzarsi, finchè nel 378 d.C. il disastro di Adrianopoli ribaltò la situazione.

Per la prima volta, complice il disastro di Adrianopoli, i romani furono costretti a far insediare i barbari all’interno dell’impero dovendo trattare con loro in una condizione di parità. Infatti nel 376 i goti avevano chiesto di attraversare il Danubio e stanziarsi all’interno della Tracia, con il consenso dell’imperatore romano Valente. Tuttavia la situazione era ben presto degenerata e i goti erano finiti per scontrarsi con l’imperatore ad Adrianopoli nell’agosto del 378, infliggendogli una sconfitta devastante. Lo stesso Valente era morto in battaglia:

«I barbari, l’occhio fosco di furore, si davano intanto ad assalire i nostri ormai prostrati per l’improvviso indebolimento del sangue: gli unì cadevano senza nemmeno sapere da dove arrivasse il colpo, gli altri rovesciati dalla sola furia degli assalitori, qualcuno trafitto dai suoi stessi commilitoni. Non c’era tregua per chi resisteva, non misericordia per chi avesse voluto arrendersi. Ogni pista, ogni sentiero spariva sotto un groviglio di moribondi che si contorceva negli spasimi delle ferite. Le masse dei cavalli abbattuti s’aggiunsero a quel carnaio. Una notte senza luna pose fine a un disastro le cui conseguenze pesarono a lungo sui destini dello Stato.»

Ammiano Marcellino, Storie, XXXI, 12-13

Teodosio in particolare sarà fautore di un tentativo di integrazione tra i goti (in particolare quelli che saranno poi i visigoti, più a lungo in contatto con i romani) e popolazione romana, specialmente per usarli con soldati. Fondamentale sarà infatti il contributo goto alla battaglia del Frigido e negli anni seguenti Stilicone continuerà a tentare di riportare i goti sotto il suo comando. E’ proprio in questo contesto, mentre il comandante di originale vandalica tentava di portare il re dei visigoti Alarico dalla sua parte (Alarico era tanto magister militum quanto re del suo popolo) che, sfruttando il Reno ghiacciato, alani, svevi, burgundi e altri popoli attraversavano il fiume. Era il 31 dicembre del 406 d.C.

Contemporaneamente in Britannia il comandante Costantino decise di usurpare la porpora, considerando Onorio troppo debole, e attraversò la Manica; l’esercito romano abbandonò per sempre la Britannia. Costantino III venne infine sconfitto, ma la ancora maggiore debolezza di Onorio, che fece anche uccidere Stilicone, ritenuto troppo filobarbarico, fece sì che Alarico saccheggiasse Roma nel 410 e che i barbari che avevano attraversato il Reno si stanziassero stabilmente in Gallia e Spagna, quando possibile tramite il principio dell’hospitalitas. I visigoti di Alarico, per esempio, saranno infine stanziati in Aquitania e diventeranno uno dei principali regni romano-barbarici.

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I barbari nell’impero romano
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