Durante i primi secoli della storia romana la maggior parte degli alleati dei romani erano stati i socii italici, che avevano affiancato le legioni di cittadini romani. Con l’espansione della repubblica nuovi regni clienti fornirono truppe ausiliarie, come i numidi che furono fondamentali per vincere Annibale. Alla fine dell’epoca repubblicana i romani facevano affidamento su truppe non regolari fornite da moltissimi regni clienti, specialmente in oriente; Pompeo ad esempio poteva vantare numerose amicizie grazie alle quali poté arruolare numerosi soldati per combattere Cesare.

Augusto stabilizzò molti di questi reparti, inquadrandoli negli auxilia, divisi in coorti e alae ausiliarie, ma fu solo Claudio a regolamentare il percorso di carriera per gli ufficiali romani (cavalieri) che le comandavano. A questi si affiancarono dal II secolo d.C. nuove truppe arruolate tra barbari e che operavano tatticamente in quella maniera, i numerii, oltre a nuovi reparti di cavalieri corazzati catafratti e arcieri a cavallo. In ogni caso, nel I-II secolo d.C., gli ausiliari si dimostrarono spesso al livello dei legionari, ed erano anche equipaggiati in modo simile, con corazza ad anelli o squame, un gladio o una spada, un elmo simile a quello dei legionari e uno scudo spesso ovale. Alcuni usavano anche giavellotti, altri componevano unità miste di fanti e cavalieri, mentre altri ancora erano in reparti di truppe da tiro, come arcieri e frombolieri.

La prima cavalleria pesante

I romani inizialmente non facevano particolare affidamento sulla cavalleria, ma già durante il principato la struttura dei reparti ausiliari venne normalizzata, tra coorti di fanteria (pesante, leggera o arcieri o frombolieri), ali di cavalleria e coorti equitate (miste). Sia le coorti potevano essere quingenarie cioè di circa 500 uomini o miliariae, cioè di circa 800-1.000. Nel primo caso l’ala era formata da 16 turme di 30-32 uomini ciascuna, nel secondo da 24. Le turme erano divise a loro volta in tre decurie di 10 cavalieri ognuna comandata da un decurione. A comandare questi reparti c’erano cavalieri romani in veste di prefetti, la cui carriera venne regolamentata dall’imperatore Claudio. In generale i romani non amavano combattere a cavallo e ciò si rifletteva nella struttura dell’esercito, fortemente incentrata sulle legioni di cittadini romani. I romani non conoscevano la staffa, arrivata in Europa solo attorno alla fine del VI secolo grazie agli avari, per cui la forza di una carica era molto debole e si preferiva usare i cavalli più per azioni di toccata e fuga e di avvolgimento, essendo i cavalli anche più piccoli di quelli odierni.

A partire da Adriano e specialmente dal III-IV secolo i romani cominciano a usare reparti di cavalleria completamente corazzati, sul modello partico / sasanide. Inizialmente hanno il nome di cataphracti, ma successivamente appaiano anche reparti, specialmente in oriente, chiamati clibanarii; sulla Notitia Dignitatum appaiono entrambi indifferentemente. Alcuni hanno supposto una differenza di armatura tra i due, altri una mera differenza linguistica, con catafratti usato in occidente e clibanari in oriente. Questo tipo di cavalleria comincerà a essere usato meno dall’impero d’oriente in seguito alla grave crisi causata dalle conquiste slave e arabe tra VII e VIII secolo, per poi ritornare in auge tra la fine del IX e l’XI, quando la dinastia macedone riconquistò buona parte dei territori persi.

E’ possibile che esistesse un nesso tra i catafratti, i clibanari e la lorica segmentata. Riguardo il nome antico di quest’ultima (segmentata è un termine moderno) le fonti tacciono e si possono fare solo ipotesi. La più accreditata la vorrebbe legata al termine clibanarius, che indicava un soldato particolarmente corazzato, legandolo anche a un passo di Ammiano Marcellino in cui parla di soldati clibanarii che seguivano l’imperatore Giuliano. Il termine tra l’altro in greco e poi nell’impero bizantino (klibanon) indicava appunto le armature lamellate che usavano i cavalieri catafratti. Probabilmente la parola greca, da cui deriva quella latina, viene da “kribanos” (teglia da forno per il pane). Non solo, sappiamo grazie alla Notitia Dignitatum, che esistevano fabbriche dedicate alla produzione di armature dette clibanariae, diverse dalle altre.

«et incedebat hinc inde ordo geminus armatorum clipeatus atque cristatus corusco lumine radians nitidis loricis indutus, sparsique cataphracti equites quos clibanarios dictitant, [personati] thoracum muniti tegminibus et limbis ferreis cincti ut Praxitelis manu polita crederes simulacra non viros quos laminarum circuli tenues apti corporis flexibus ambiebant per omnia membra diducti ut quocumque artus necessitas commovisset vestitus congrueret iunctura cohaerenter aptata»

«Marciava dall’una e dall’altra parte una doppia schiera di soldati rivestiti di lucide corazze, con scudi ed elmi adorni di creste risplendenti di luce corrusca. Venivano in ordine sparso i corazzieri a cavallo, chiamati di solito clibanari, i quali erano forniti di visiere e rivestiti di piastre sul torace. Fasce di ferro avvolgevano le loro membra tanto che si sarebbero creduti statue scolpite da Prassitele, non uomini. Erano coperti da sottili lamine di ferro disposte per tutte le membra ed adatte ai movimenti del corpo, di modo che qualsiasi movimento fossero costretti a compiere, la corazzatura si piegasse per effetto delle giunture ben connesse.»

AMMIANO MARCELLINO, XVI, X, 8

Nel corso dei secoli l’impero romano si adattò a combattere popolazioni nomadi e a cavallo creando nuovi reparti di cavalleria, arruolando mauri (cavalleria leggera), illiri, catafratti e anche arcieri a cavallo. Già nel III secolo l’esercito romano era molto più composito ed adatto ad affrontare ogni tipo di nemico. Allo stesso tempo però i romani avevano sempre più bisogno di uomini (nell’impero ce ne erano troppi pochi) per cui furono costretti inizialmente a far stabilire barbari, poi a fare spedizioni punitive per prenderli oltre confine (specialmente a partire dall’epoca dei tetrarchi). In ogni caso la fanteria perse progressivamente importanza e l’esercito si rese molto più flessibile e organizzato in reparti più piccoli che potessero intervenire all’occorrenza, andando a formare il primo comitatus, prima informale sotto i Severi, che stabilirono la II Parthica ad Albano e raddoppiarono gli effettivi dei pretoriani con elementi a loro fedeli, poi stabile a partire da Gallieno, che accorpò anche molti reparti di cavalleria illirica e maura, affidati ad un magister equitum e pronti per accorrere rapidamente dove necessario.

L’episodio di Aureliano

Grazie alla vittoria di Emesa nel 272 d.C. Aureliano stroncò la ribellione di Zenobia. Tra i suoi soldati ce n’erano alcuni dotati di mazze ferrate per arrestare i temibili catafratti: « Quando i due eserciti si scontrarono, la cavalleria romana ritenne meglio ritirarsi un poco, per evitare che i soldati senza accorgersi fossero accerchiati da un gran numero superiore di cavalieri palmireni, che cavalcavano intorno a loro. Poiché i cavalieri palmireni si davano all’inseguimento dei romani che si ritiravano e in questo modo rompevano il loro schieramento, si verificò il contrario di quello che volevano i cavalieri romani: [questi ultimi] infatti erano in pratica inseguiti [dai palmireni], risultando molto inferiori ai nemici. E poiché cadevano in moltissimi, avvenne allora che tutta la battaglia ricadesse sulla fanteria romana, la quale, vedendo che i Palmireni avevano sconvolto i loro ranghi per lanciarsi all’inseguimento dei cavalieri romani, ripiegarono e li attaccarono mentre erano disordinati. Per questo motivo ci fu una grande strage. Alcuni assalivano con le armi tradizionali. Quelli provenienti dalla Palestina, colpivano invece con bastoni e mazze i loro avversari palmireni, i quali indossavano corazze di ferro e di bronzo. Questo fu in parte la ragione principale della vittoria romana. I nemici rimasero sbalorditi per l’insolito assalto delle mazze. » (ZOSIMO, STORIA NUOVA, I, 53,1-2)

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I catafratti
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