Dopo gli ultimi anni di Domiziano, in cui prevalse il suo assolutismo e despotismo, il senato – complice nell’assassinio del principe – decise di affidare l’impero a un anziano membro dell’assemblea, Marco Cocceio Nerva, instaurando un periodo d’oro per Roma, il II secolo d.C., caratterizzato dal principio dell’adozione e da cinque buoni imperatori, tra il 96 e 180 d.C. Era nato a Narnia (Narni), l’8 novembre del 30 d.C. Aveva ricoperto il consolato nel 71 e 90 d.C. Diventato Imperator Nerva Caesar Augustus, il 18 settembre del 96, ricorderà sulle monete l’appoggio avuto dal senato, con la formula providentia senatus.

Nerva

I suoi primi provvedimenti videro la realizzazione di magazzini per il grano, la riparazione degli acquedotti e degli interventi fiscali: l’esenzione del pagamento della vicesima hereditatium, la ventesima sulla successione, la riduzione della tassa sul cursus publicus, la soppressione di quella del fiscus iudaicus. Infine donò terre ai poveri per 60 milioni di sesterzi, e quando finì i soldi, vendette i suoi beni privati:

«Proibì egli che gli si facessero statue d’oro e d’argento e i beni tutti, che trovò ancora presso il fisco imperiale, restituì a coloro, ai quali erano stati tolti senza cagione da Domiziano. Ai cittadini romani […] diede delle terre dal valore di 60 milioni di sesterzi, e ad alcuni dell’ordine senatorio commise la cura di comperare e di dividere quei campi. E siccome di pecunia aveva bisogno, gran numero vendette di vesti, e molti vasi d’argento e d’oro, e tutta l’altra suppellettile non solo delle sue cose private, ma ancora delle principesche, e molti poderi inoltre e molte case, o piuttosto tutto quello che aveva, ad eccezione del necessario.»

Cassio Dione, Storia Romana, 68, 2

Il problema di Nerva era che non era particolarmente amato dai soldati, ed era anziano. Crasso Frugi Liciniano, parente di Pisone, che Galba aveva adottato nell’anno dei quattro imperatori, tentò di prendere il potere, ma venne esiliato a Taranto. Ancora peggio, per tenere a bada i pretoriani nominò prefetto Casperio Eliano, fedelissimo di Domiziano, e rimosse i due prefetti che avevano preso parte alla congiura, Petronio Secondo e Norbano. La prima cosa che fece Casperio fu di ucciderli; e Nerva fu costretto a ringraziarlo pubblicamente. L’imperatore si decise dunque ad adottare un comandante di comprovato valore: nell’ottobre del 97 associò alla porpora Marco Ulpio Traiano, governatore della Germania Superior:

«Per la buona sorte del senato, del popolo romano e di me stesso adotto Marco Ulpio Nerva Traiano!»

Cassio Dione, Storia Romana, 68, 3

Poco dopo, morì, il 27 gennaio del 98. Le sue ceneri furono poste nel Mausoleo di Augusto.

Traiano

Traiano era nato a Italica, il 18 settembre del 53 d.C. Dopo aver seguito il padre governatore di Siria, divenne console nel 91. Governatore della Germania Superiore quando Nerva lo adottò, gli successe già il 28 gennaio del 98. Il passaggio di potere non fu traumatico e avvenne senza problemi. Decise però subito di espandere il corpo dei frumentarii, che da addetti al rifornimento del grano, divennero delle spie; introdusse anche una nuova guardia armata a cavallo, gli equites singulares, che sostituivano i germani corporis custodes usati dai Giulio-Claudi; tuttavia la provenienza etnica di queste truppe, per quanto regolamentate, era pur sempre germanica e pannonica in larga parte, reclutati fra le migliori truppe ausiliarie.

Il principe aumentò le distribuzioni di frumento al popolo; inoltre perfezionò il sistema degli alimenta, creato da Nerva: si trattava di prestiti perpetui al 5% concessi dal fisco imperiale ai proprietari italici; i proventi, riscossi dalle amministrazioni cittadine, erano usati per i bambini poveri. In tal modo si cercava sia di favorire la piccola proprietà italica sia di aumentare la quantità di italici “recrutabili”. Traiano inoltre obbligò i senatori a possedere un terzo delle loro proprietà sul suolo italico, che mantiene ancora un primato politico invidiabile (lo ius italicum era l’apice per un cittadino romano).

L’imperatore ispanico fu anche un costruttore: edificò le sue terme, create da Apollodoro di Damasco (nel 109), sopra la domus aurea, interrata, e diede finalmente a Roma un nuovo enorme porto esagonale, a Porto, a nord di Ostia, superando la soluzione di Claudio, il cui porto si era rapidamente insabbiato. Inoltre Traiano fece costruire un nuovo acquedotto, l’Aqua Traiana e, grazie anche al bottino della guerra dacica, realizzò un nuovo foro, con la Basilica Ulpia, i Mercati Traianei e la famosa Colonna, oltre a due biblioteche, una greca e una latina.

Sotto Traiano si cominciano a palesare anche i primi problemi di convivenza con i cristiani. Plinio il giovane, legato di Bitinia, si ritrovò ad aver a che fare con loro. Scrisse a Traiano per chiedere cosa fare, e l’imperatore rispose con un rescritto imperiale che mostrava moderazione ed equilibrio:

«Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi.»

Plinio il Giovane, Epistularum libri decem, X, 97

Traiano viene anche ricordato come uomo buono: rispettò gli altri e non si comportò come tiranno. Pare che a chi gli domandasse perché tenesse aperte le porte del palazzo imperiale, ricevendo chiunque, avesse esclamato di voler trattare gli altri semplicemente come si sarebbe aspettato di essere trattato se fosse stato al loro posto. Traiano è ricordato però principalmente come conquistatore: nel corso di due guerre, nel 101-102 e 105-106 sottomise i daci di Decebalo, vendicando le sconfitte subite ai tempi di Domiziano. Le gesta di Traiano sono raccontate sulla famosa Colonna, sulla cui cima era presente una statua dell’imperatore. Dopo duri combattimenti i romani sottomisero totalmente la Dacia, trasformandola in provincia. Era ricchissima d’oro, che affluirà nelle casse romane e garantirà cinquant’anni di prosperità economica.

«Dopo aver trascorso del tempo a Roma, [Traiano] mosse contro i Daci, avendo riflettuto sui loro recenti comportamenti, poiché era contrariato a causa del tributo a loro versato annualmente ed aveva notato che era aumentata non solo la loro forza militare, ma anche la loro insolenza.»

«Decebalo, venuto a sapere dell’arrivo di Traiano, ebbe paura, poiché egli sapeva che in precedenza aveva sconfitto non i Romani ma Domiziano, mentre ora si sarebbe trovato a combattere sia contro i Romani, sia contro Traiano.»

«Mentre Traiano era giunto, nel corso della campagna militare contro i Daci, nei pressi di Tapae, dove si erano accampati i barbari, gli venne portato un grosso fungo sul quale era stato inciso in latino, che i Buri e gli altri alleati invitavano Traiano a tornare indietro e rimanere in pace.»

Cassio Dione, LVIII, 6, 1-2; 8,1

Qualche anno dopo Traiano, dopo aver annesso anche l’Arabia e l’Armenia, nel 114, ricevendo il titolo dal senato di optimus princeps, attaccò i parti, conquistando Ctesifonte nel 115:

«[Traiano] Marciava a piedi insieme alle truppe del suo esercito, e si curava dello schieramento e la disposizione delle truppe durante tutta la campagna, conducendoli a volte in un solo ordine e a volte in un altro; ed attraversò tutti i fiumi che loro attraversavano. A volte anche fece anche sì che i suoi esploratori mettessero in circolazione notizie false, in modo che i soldati potessero fare pratica allo stesso tempo di manovre militari e diventare coraggiosi e pronti ad ogni eventuale pericolo. Dopo che aveva catturato Nisibis e Batnae gli fu conferito il nome di Parthicus; ma era molto più orgoglioso del titolo di Optimus rispetto a tutto il resto, in quanto esso si riferiva più al suo carattere rispetto alle sue armi.»

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 23, 1-2

La vittoria era totale e i romani erano arrivati fino al Golfo; i parti, ormai disperati, fomentarono una sollevazione ebraica nell’oriente romano: gli ebrei in Cirenaica, Egitto, Palestina, si ribellarono ai romani. Non solo la sollevazione ebraica, cui Traiano faceva fatica a far fronte, ma si salvò anche miracolosamente a un violento terremoto che colpì Antiochia, dove soggiornava. L’imperatore morirà poco tempo dopo, a Selinunte di Cilicia (che sarà poi rinominata Traianopoli in età Severiana), l’8 agosto del 117 d.C. In punto di morte l’imperatrice Plotina pare convinse, o costrinse, l’imperatore ispanico ad adottare un parente di Traiano, Adriano (la nonna era la zia di Traiano), firmando anche una lettera, in cui l’imperatore adottava in punto di morte il cugino, che sarà acclamato imperatore solo l’11 di agosto.

Traiano sarà ricordato come il modello del principe ideale, tanto apprezzato sia in vita che in morte, che Dante lo pose nel Paradiso, sebbene fosse pagano. L’optimus princeps sarebbe stato tanto importante per la storia di Roma che ai suoi successori sarà augurato di essere “felicior Augusto, melior Traiano”, ossia “più felice di Augusto, migliore di Traiano”.

«Sarei certamente arrivato fino in India, se fossi ancora giovane.»

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 29

Adriano

Il padre di Adriano morì quando aveva solo dieci anni; gli fu dato quindi come tutore proprio il futuro imperatore Traiano. Nel 100 Adriano sposò Vibia Sabina, pronipote dell’imperatore. Poi seguì tutto il cursus honorum: tribuno militare, questore, tribuno della plebe, pretore, legato di legione, console, e infine governatore di Siria proprio nel 117, quando Traiano morì. Alla morte dell’imperatore ispanico Adriano non era dunque solo uno dei parenti più prossimi e papabili, ma si trovava anche non lontano. Fu Plotina, moglie di Traiano, che volle adottare Adriano; Cassio Dione affermava un secolo dopo che il padre, governatore proprio di Cilicia (Traiano morì a Selinunte), Marco Cassio Aproniano, gli riferì che Plotina imitò la voce di Traiano morente, affermando di adottare Adriano, che dunque l’imperatore non avrebbe voluto come suo successore. Inoltre Plotina firmò una lettera, falsificando la firma di Traiano, in cui diceva di adottare Adriano. Ma chi avrebbe voluto Traiano? Di sicuro non aveva lasciato disposizioni né tenuto in considerazione la faccenda. Che volesse rimettere al senato, dopo la sua morte, la decisione? Sarebbe stato realmente un optimus princeps. Nonostante tutto l’11 agosto del 117 Adriano fu acclamato imperatore. La politica del princeps fu subito quella di abbandonare le province che non potevano essere mantenute, seguendo i consigli di Augusto:

«Ottenuto il potere, subito si orientò secondo la primitiva politica imperiale adoperandosi per il mantenimento della pace in tutto il mondo. Infatti i popoli che Traiano aveva sottomesso stavano sollevandosi: i Mauri compivano atti provocatori, i Sarmati erano all’offensiva, i Britanni non era ormai più possibile tenerli sottomessi all’autorità di Roma, l’Egitto era in preda alle ribellioni, la Libia e la Palestina, infine, erano animate da spiriti ribelli. Per questo egli abbandonò tutti i territori al di là dei Tigri e dell’Eufrate seguendo, come diceva, l’esempio di Catone, che proclamò che la Macedonia dovesse essere indipendente, dal momento che non era possibile difenderla. E poiché vedeva che quel Partamasiri che Traiano aveva creato re dei Parti aveva scarsa autorità su quel popolo, lo mise a capo di popolazioni limitrofe.»

«Frattanto abbandonò molte province conquistate da Traiano e, contrariamente ai voti di tutti, distrusse il teatro che il predecessore aveva costruito nel Campo Marzio. E questi provvedimenti apparivano ancor più odiosi, in quanto Adriano tutto ciò che vedeva risultare impopolare, voleva farlo passare come esecuzione di ordini comunicatigli in segreto da Traiano.»

Historia Augusta, Adriano, 5, 1-4; 9, 1-2

Adriano invitò Lucio Salvio Giuliano, consolare e giurista, a raccogliere gli editti dei pretori, formando un primo corpus legislativo romano. Furono promulgate leggi che toglievano potere ai padroni nei confronti degli schiavi, che non potevano più condannare senza un processo, né vendere liberamente come gladiatori. Ciò, unito ai dubbi di molti senatori sulla successione (restii alle politiche meno espansionistiche), portò ad alcuni complotti, che Adriano risolse mandando a morte quattro consolari, tra cui Lusio Quieto, consolare e comandante della cavalleria maura sotto Traiano e uno dei fautori delle sue vittorie militari, già nel 118, condannati in absentia. Adriano cercò di togliersi di dosso l’immagine di imperatore anti-senatorio, senza tuttavia riuscirci del tutto; promise anche non avrebbe mai più reso alcun danno a un senatore, ma nel 137 fece uccidere il cognato Lucio Giulio Urso Serviano e il nipote Fusco, rei di aver ordito una congiura nei confronti del principe adottato, Lucio Elio Cesare. Inoltre il rapporto col senato venne incrinato dalla divisione in quattro zone dell’Italia, affidata a quattro consolari, che ne amministravano la giustizia, sottraendola di fatto ai senatori.

Aveva una grande passione per la poesia e la letteratura, [9] ed era espertissimo di aritmetica, geometria, pittura. Dava inoltre apertamente saggio della sua perizia nell’arte di suonare e cantare. Nei piaceri sensuali non conosceva misura: e molti componimenti in versi scrisse sulle persone oggetto dei suoi amori. [10] Aveva poi una grande perizia nel campo delle armi e una profonda competenza nell’ambito della strategia militare: e sapeva pure maneggiare le armi da gladiatore. [11] Era ad un tempo serio e gioviale, affabile e contegnoso, sfrenato e controllato, avaro e generoso, schietto e simulatore, crudele e mite, e sempre in ogni cosa mutevole.

Historia Augusta, Adriano, 14, 8-11

Adriano amava particolarmente la cultura greca, tanto da farsi nominare arconte di Atene, città cui diede anche alcuni monumenti come l’arco e il foro. Ma soprattutto amava Antinoo, che portò con sè nei suoi viaggi, e che trovò la morte tragicamente in Egitto, annegato nel Nilo. Gli avrebbe poi dedicato una città, Antinoopoli. Durante i suoi viaggi, dal 121, al 132, che ricoprirono la grossa parte del suo principato, ispezionò gli accampamenti e le esercitazioni militari nei confini di ogni angolo d’impero, dalla Germania alla Britannia, dall’Africa all’Egitto, al Danubio. Fece edificare anche un vallo di 80 miglia in Britannia per regolare la frontiera. Ultimo, ma non ultimo, Adriano si dedicò a completare a restaurare edifici, non solo ad Atene e nell’impero, ma anche a Roma, tra cui il Pantheon, opera di Apollodoro di Damasco, e costruito originariamente da Agrippa.

Completata la splendida villa Adriana, costruita a Tivoli, pochi km a est di Roma, vi spese molto tempo nei suoi ultimi anni. Tuttavia nuovi problemi si profilavano all’orizzonte: una terza rivolta giudaica. La guerra, svoltasi tra il 132 e 135, aveva alla sua origine l’avversione per alcune pratiche ebraiche come la circoncisione, che non era conciliabile con gli ideali di bellezza greci. A capo della rivolta c’era Simone Bar Kochba, cioè “il figlio della Stella”, (ovvero il “Messia“, mentre i suoi oppositori lo chiamavano “bar Koziba“, cioè “il figlio della menzogna”). La guerra fu durissima, la legio XXII Deitoraiana sparì (e anche la IX Hispana, che stazionava in Britannia, ma non si sa se ci siano collegamenti con la guerra giudaica). L’ultima battaglia, nei pressi di Gerusalemme, in cui perse la vita Simone, fu un massacro; il Talmud ricorda che i romani uccisero moltissimi giudei e che i cavalli annegavano nel sangue, che arrivava fino alle narici. Cinquanta fortezze rase al suolo, quasi 1.000 villaggi distrutti e centinaia di miglia di morti, sono i dati riportati. Gerusalemme fu distrutta e ricostruita come Colonia Elia Capitolina, con un cardo e un decumano e un tempio di Giove, e iniziò la diaspora del popolo ebraico.

Ormai per Adriano, che aveva aumentato gli alimenta e condonato moltissimi debiti, e che soffriva di terribili dolori (idropisia), era tempo di scegliere un successore. La prima scelta fu Lucio Ceionio Commodo, che assunse il nome di Lucio Elio Cesare, ma morì improvvisamente nel gennaio del 138. Le condizioni di Adriano peggioravano e si risolse ad adottare un senatore di famiglia illustra, Tito Aurelio Fulvio Boionio Antonino, che prese il nome di Elio Adriano Antonino, a patto che quest’ultimo adottasse il nipote Marco Annio Vero, che prese il nome di Marco Aurelio Antonino, e il figlio di Elio Cesare, Lucio Vero. Il progetto di Adriano era concluso e si sarebbe compiuto: Marco Aurelio e Lucio Vero sarebbero succeduti ad Antonino, detto il Pio. Infine, giunse la morte per Adriano, il 10 luglio del 138. Sarebbe stato poi portato nel Mausoleo che si era fatto costruire in riva al Tevere, oggi Castel Sant’Angelo.

Antonino Pio

Antonino successe ad Adriano, che morì il 10 luglio del 138. Il nuovo imperatore era nato il 19 settembre dell’86, e aveva quindi cinquantadue anni quando ottenne la porpora. Il nome con cui sarebbe passato alla storia fu quello di Pio, anche se già gli antichi si domandavano per quale motivo. Le principali motivazioni addotte erano che aveva aiutato Adriano, che faceva molta fatica a camminare, sorreggendolo, o perché tra i primi atti salvò coloro i quali erano stati condannati a morte dal predecessore, o forse perché aveva voluto far divinizzare Adriano, contro il parere del senato, o forse semplicemente perché era clemente di natura:

«Il senato lo soprannominò Pio, o perché alla presenza dei senatori riuniti aveva sorretto col proprio braccio il suocero ormai malfermo per l’età (ciò che per la verità non costituisce un indizio di grande «pietà», dal momento che sarebbe più empio chi non si prestasse a un tale atto, di quanto non sia pio uno che con ciò adempie semplicemente ad un dovere), o perché aveva salvato la vita a coloro che Adriano, in preda agli attacchi deliranti del male, aveva ordinato di uccidere, o perché, dopo la morte di Adriano, gli aveva decretato, contro il parere di tutti, innumerevoli e straordinarie onoranze, o perché, quando Adriano voleva uccidersi, sottoponendolo ad una sorveglianza assidua e scrupolosa, aveva fatto sì che non potesse mettere in atto quel proposito, o perché egli era effettivamente molto clemente per natura, sì che, nel corso del suo regno, non compì mai alcuna azione crudele. Prestava denaro al quattro per cento, cioè col minimo di interesse, onde potere sovvenire, col proprio patrimonio, alle necessità di un gran numero di persone.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 2, 3-8
Antonino Pio

Adriano aveva adottato Antonino il 25 febbraio del 138, pochi mesi prima di morire. Il mese precedente era morto Elio Cesare, candidato alla successione e associato ad Adriano già dal 136, a poco più di trent’anni. Adriano, adottando il senatore Antonino, volle anche che quest’ultimo adottasse suo nipote, appena diciassettenne, Marco Arrio Vero, che assunse il nome di Marco Aurelio Antonino, e il figlio di Elio Cesare, Lucio Vero. Forse Adriano voleva che il suo successore fosse Marco Aurelio, ma la giovane età di quest’ultimo lo spinse verso questo compromesso. Antonino fu veramente Pio; le fonti antiche non fanno altro che rimarcarlo. Sembra che andasse ripetendo la massima di Scipione, ossia che preferiva salvare un cittadino piuttosto che uccidere mille nemici:

«Nessuno ebbe a godere di tanto prestigio presso i popoli stranieri, in quanto amò sempre la pace, al punto da ripetere spesso il detto di Scipione, in cui affermava che preferiva salvare un solo cittadino che uccidere mille nemici. Il senato propose che i mesi di Settembre e Ottobre prendessero il nome di Antonino e Faustino, ma Antonino rifiutò.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 9, 10 – 10, 1

Antonino terminò alcuni edifici iniziati da Adriano, come il suo Mausoleo e il Pantheon, oltre al Graecostadis, la piazza tra la Curia e i rostri, in cui venivano accolte le delegazioni straniere, oltre al restauro del ponte Sublicio, il più antico di Roma, e anche del Faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo. Inoltre fece restaurare terme, acquedotti, e molti altri edifici. L’imperatore, a differenza di Adriano, non si mosse mai da Roma, preferendo gestire gli affari dell’impero dall’Urbe, dove arrivavano delegazioni e diplomatici stranieri, oltre alla corrispondenza di governatori e comandanti imperiali. Fece uso, inoltre, come Adriano, di un consilium principis, fatto di alcuni importanti funzionari, con cui si consultava prima del senato (quello che poi sarà nell’impero tardoantico il sacrum concistorum, in cui partecipavano i ministri imperiali).

In Britannia poi fece erigere un nuovo vallo, più a nord di quello di Adriano, nel punto più stretto dell’isola, che tuttavia venne abbandonato poco dopo. Ci furono anche alcune rivolte in Mauretania, Egitto e Dacia, ma il suo principato è ricordato come così felice che queste questioni passano spesso in secondo piano. Antonino era già avanti negli anni quando diventò imperatore, ma comunque governò più di vent’anni, negli ultimi anni con l’assistenza di Marco Aurelio. Morì a settantacinque anni; anche nella morte fu “Pio”:

«Morì a settantacinque, ma fu rimpianto come se fosse morto giovane. La sua morte – a quanto si racconta – avvenne in queste circostanze: in seguito a un’indigestione di cacio alpino fatta durante una cena, la notte ebbe una crisi di vomito, e il giorno seguente fu colto dalla febbre. Il terzo giorno, vedendo che le sue condizioni si aggravavano, affidò a Marco Antonino, alla presenza dei prefetti, lo Stato e sua figlia, e ordinò che fosse trasferita da lui la statua d’oro della Fortuna, che era d’uso dovesse stare nella stanza dell’imperatore; poi comunicò al tribuno la parola d’ordine: «equanimità»; e così, girato su di un fianco come per dormire, spirò a Lorio.»

Historia Augusta, Antonino Pio, 12, 4-6

Marco Aurelio

Marco Annio Vero, nato il 26 aprile del 121 d.C., fu predestinato a essere imperatore già vent’anni prima del suo principato, nel 138 d.C., quando, su indicazione di Adriano, fu adottato dal futuro imperatore Antonino Pio, prendendo così il nome di Marco Aurelio Antonino. Marco Aurelio era legato inoltre a Antonino come figlio del fratello della moglie Faustina. Adriano volle però che venisse adottato allo stesso modo Lucio Ceionio Commodo Vero, figlio di Lucio Elio Vero; infatti Lucio Elio Vero era stata la prima scelta di Adriano, ma morì improvvisamente pochi mesi prima dell’imperatore.

Perciò Adriano decise che a succedergli sarebbe stato Tito Aurelio Fulvo Antonino (da qui il nome di Marco Aurelio Antonino), noto come Antonino Pio per la saggezza e l’epoca d’oro. Seguendo il principio dell’adozione in vigore fin da Nerva, Adriano scelse dunque uno dei più facoltosi e prestigiosi senatori della sua epoca: il nonno era stato prefectus urbis e console due volte, l’altro proconsole d’Asia e due volte consoleAntonino aveva ricoperto il consolato nel 120 e ed era stato proconsole d’Asia, inoltre faceva parte del prestigioso consilium principis (un senato ristretto). Ma Antonino avrebbe dovuto adottare Marco Aurelio e Lucio Vero, che sarebbero infatti diventati imperatori nel 161, alla morte di Antonino, sebbene Marco Aurelio ebbe fin da subito una posizione di primato fra i due. Sposò la figlia di Faustina, Faustina minore, rafforzando così il legame con Antonino, nel 145 d.C. I due erano cugini (la madre Faustina era la zia di Marco Aurelio) e lei divenne Augusta nel 147 d.C.

Marco ebbe un’importante formazione oratoria e filosofica; l’amore per la filosofia sarà una costante, tanto da essere ricordato come l’imperatore filosofo: ossequioso del senato e sempre attento ai problemi morali, fortemente stoico. Ebbe come maestro Frontone, il più grande oratore romano della sua epoca. Il futuro imperatore venne investito dell‘imperium e della tribunicia potestas già diversi anni prima del suo principato. Negli ultimi anni del regno di Antonino affiancò l’anziano imperatore e Marco e Lucio vennero designati consoli per il 161, temendo la fine prossima di Antonino che infatti arrivò proprio in quell’anno.

Antonino Pio spirò a settantacinque anni: venne ricordato come imperatore giusto e buono e la sua epoca come quella d’oro dell’impero. Marco Aurelio assunse tutti i poteri e anche il pontificato massimo nonostante si mostrasse titubante e molto rispettoso del senato. Sebbene Marco fosse l’unico imperatore, volle che il senato desse il titolo di Augustus anche a Lucio Vero: per la prima volta c’era una vera e propria collaborazione di due imperatori, anche se Marco Aurelio aveva un’influenza e un’autorità nettamente maggiore. L’unico titolo che aveva soltanto Marco era il pontificato massimo, per il resto ci si comportava come una vera e propria diarchia: anche i documenti ufficiali riportavano i nomi dei due imperatori. Marco inizialmente si dedicò alla cura dello stato, comportandosi nella maniera più giusta possibile. Il regno dell’imperatore filosofo sarebbe stato però devastato da due minacce gravissime: la peste antonina e la guerra, prima contro i parti e poi contro i quadi e i marcomanni.

I parti avevano attaccato l’Armenia quando Marco era diventato imperatore. Il governatore della CappadociaMarco Sedazio Severiano li aveva attaccati ma era stato sconfitto: urgeva una campagna militare. Marco inviò in oriente Lucio Vero, molto più esperto in affari militari.Lucio, con l’aiuto di Avidio Cassio (legato della legio III gallica), inflisse durissime sconfitte ai parti, prendendo l’Armenia e ottenendo l’appellativo di Armeniaco, e successivamente i romani distrussero completamente l’esercito partico nella battaglia di Doura Europos: i romani dilagarono in Mesopotamia. I parti si ritirarono, mentre Avidio Cassio prendeva Seleucia al Trigri e Ctesifonte, dandole alle fiamme. Lucio venne acclamato Partichus Maximus, e nel 166, con l’invasione dei Medi ottenne il titolo di Medicus.

L’inizio della crisi

Tuttavia, di ritorno dall’oriente, l’esercito portò con sè la terribile peste antonina: flagellerà l’impero riducendo drasticamente la popolazione e di conseguenza il gettito fiscale, con ripercussioni sul lungo periodo disastrose. Scoppiata attorno al 165, durerà un ventennio, portando morte in ogni angolo dell’impero; oggi si credo che in realtà non fosse peste ma addirittura vaiolo: l’impatto su un impero premoderno e preindustriale devono essere stati catastrofici considerando il basso tasso di natalità. Si narra che a far scoppiare la peste, diffusasi per mezzo delle vexillationes (reparti distaccati di legioni) ritornate a casa in tutto l’impero, siano stati i magi caldei a Seleucia come affronto per aver dato fuoco alla città e al loro tempio.

Nel frattempo, lungo il Danubio premevano altre popolazioni: i quadi e i marcomanni.  I barbari avevano cominciato a premere lungo i confini del Reno e del Danubio, pressati dal altre popolazioni germaniche orientali e settentrionali. I catti avevano invaso la Germania nel 162 ma erano stati respinti; nel 166 i marcomanni attraversarono il Danubio. Una coalizione di popolazioni barbari composta da quadi, marcomanni, sarmati, iazigi e altri attaccarono la Pannonia alla ricerca di terre e sicurezze. La frontiera all’epoca era insicura per via delle numerose vexillationes inviate in oriente per la guerra partica e la peste antonina. Lucio morì nel 169 e Marco rimase unico imperatore. Nel frattempo, i romani, sconfitti, subirono l’assedio di Aquileia da parte dei barbari: era dall’epoca di Mario che popolazioni barbare non penetravano in Italia.

Marco Aurelio fu costretto a misure straordinarie, compreso l’arruolare nuove legioni e reclutare schiavi e gladiatori. L’imperatore difese l’Italia e poi passò all’offensiva, con una violenta avanzata anche oltre il Danubio, costringendo l’imperatore filosofo a restare in guerra, lontano da Roma per anni. Nel frattempo, circolata la falsa notizia della grave malattia di Marco Aurelio, Avidio Cassio – divenuto governatore d’Egitto – era stato acclamato imperatore nel 175. Ma Marco stava bene e voleva risolvere la questione pacificamente. Tuttavia il senato dichiarò Avidio hostis publicus e quest’ultimo venne ucciso dai suoi stessi soldati. Nel 177 Marco Aurelio, dopo il rifiuto alla porpora di Claudio Pompeiano, secondo marito della figlia Lucilla (che era vedova di Lucio Vero), aveva violato la tradizione quasi centenaria del principio dell’adozione, associando al trono il figlio Commodo. Infine Marco passò all’offensiva totale, attraversando il Danubio, con il progetto di annettere i territori oltre il fiume, con la costruzione di forti romani oltre il limes. Tuttavia nel 180 si ammalò gravemente, forse colto anch’egli dalla peste antonina.

Marco Aurelio morì il 17 marzo del 180, gravemente malato. Si lasciò andare, seguendo la filosofia stoica che tanto amava: si spense dopo alcuni giorni di digiuno, al fronte. Il figlio Commodo, ben più avvezzo a mollezze del padre, decise di firmare una frettolosa pace e tornare a Roma a godersi i giochi gladiatori. Pompeiano cercò di farlo desistere, senza riuscirci:

«Ragazzo e pure Imperatore, è assolutamente ragionevole per voi tornare a rivedere la vostra terra natale. Noi stiamo troppo attanagliati dalla fame per vedere quello che abbiamo lasciato a casa. Ma più importanti e urgenti questioni si trovano qui e si frappongono a quel desiderio. Per il resto della tua vita potremo avere quel godimento delle cose a casa; e per questo motivo, dove si trova l’imperatore si trova anche Roma. Ma lasciare questa guerra incompiuta è sia una disgrazia sia pericoloso. Questo atteggiamento aumenterebbe l’audacia dei barbari; non crederanno che vogliamo tornare a casa nostra, ma piuttosto ci accuseranno di una vile ritirata. Dopo che avrete conquistato tutti questi barbari ed esteso i confini dell’impero fino ai mari del Nord, sarà glorioso poter tornare a casa per festeggiare il tuo trionfo, conducendo come prigionieri i re barbari e i loro governanti. I Romani che ti hanno preceduto sono diventati famosi e hanno guadagnato la gloria in questo modo. Non c’è alcun motivo di temere che qualcuno a casa possa prendere il controllo. I più illustri senatori sono qui con voi; le truppe imperiali sono qui per proteggerti; tutti i fondi provenienti dai depositi imperiali sono qui; e infine, la memoria di tuo padre ha vinto per te la fedeltà eterna e la gratitudine dei tuoi sudditi.»

Erodiano, Storia di Roma dopo Marco Aurelio, I, 6, 4-6

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I “Cinque buoni imperatori”
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