Durante i primi secoli della storia romana la maggior parte degli alleati dei romani erano stati i socii italici, che avevano affiancato le legioni di cittadini romani. Con l’espansione della repubblica nuovi regni clienti fornirono truppe ausiliarie, come i numidi che furono fondamentali per vincere Annibale. Alla fine dell’epoca repubblicana i romani facevano affidamento su truppe non regolari fornite da moltissimi regni clienti, specialmente in oriente; Pompeo ad esempio poteva vantare numerose amicizie grazie alle quali poté arruolare numerosi soldati per combattere Cesare. Augusto stabilizzò molti di questi reparti, inquadrandoli negli auxilia, divisi in coorti e alae ausiliarie, ma fu solo Claudio a regolamentare il percorso di carriera per gli ufficiali romani (cavalieri) che le comandavano. A questi si affiancarono dal II secolo d.C. nuove truppe arruolate tra barbari e che operavano tatticamente in quella maniera, i numerii, oltre a nuovi reparti di cavalieri corazzati catafratti e arcieri a cavallo. In ogni caso, nel I-II secolo d.C., gli ausiliari si dimostrarono spesso al livello dei legionari, ed erano anche equipaggiati in modo simile, con corazza ad anelli o squame, un gladio o una spada, un elmo simile a quello dei legionari e uno scudo spesso ovale. Alcuni usavano anche giavellotti, altri componevano unità miste di fanti e cavalieri, mentre altri ancora erano in reparti di truppe da tiro, come arcieri e frombolieri.

«Giuseppe Flavio racconta di un ausiliario che si offrì per primo di scalare la torre Antonia durante l’assedio di Gerusalemme: “[…] tutti restavano paralizzati dalla gravità del pericolo; soltanto un uomo delle coorti ausiliarie, un certo Sabino nativo della Siria, si dimostrò un soldato di straordinario valore per forza e coraggio. Fu lui il primo a levarsi dicendo: “Io ti offro volentieri la mia vita, o Cesare (Tito); sarò il primo a dar la scalata al muro[…] sollevò con la sinistra lo scudo sopra la testa e, sguainata con la destra la spada, si avventò verso le mura: era esattamente l’ora sesta di quel giorno. Non lo seguirono che solo undici uomini, emuli del suo coraggio, ma egli precedeva tutti di molto […] I difensori dall’alto del muro li bersagliarono con giavellotti e tirarono un’infinità di frecce e fecero rotolare giù degli enormi macigni […]; ma Sabino, affrontando i proiettili e ricoperto di dardi, non frenò il suo slancio prima di essere arrivato in cima e di aver sbaragliato i nemici. Infatti, i giudei, sbigottiti dalla sua forza e dal suo coraggio, e anche perché credettero che a dar la scalata fossero stati di più, si diedero alla fuga […] [Sabino] mise un piede in fallo e, urtando contro una roccia, vi cadde sopra […] con un gran colpo. I giudei si voltarono indietro e, avendo visto che era solo e per di più caduto, si diedero a colpirlo da tutte le parti. Quello, levatosi su un ginocchio e riparandosi con lo scudo, dapprincipio si difese e ferì molti di quelli che gli si avvicinavano; ma ben presto per le molte ferite non poté più muovere la destra e alla fine, prima di spirare, fu sepolto sotto un nugolo di dardi[…] Degli altri undici, tre che erano già arrivati in cima furono colpiti e uccisi a colpi di pietra, mentre gli altri otto vennero tirati giù feriti e ricondotti nell’accampamento. Quest’azione si svolse il terzo giorno del mese di Panemo (giugno).»

GIUSEPPE FLAVIO, GUERRA GIUDAICA, VI, I, 53-67

Gli ausiliari e l’esercito romano

La valenza degli ausiliari viene rimarcata anche da altre fonti; famosi sono i batavi, reclutati tra i barbari dell’attuale Olanda, che avevano stretto un accordo di pace fornendo in cambio reclute ai romani (alcuni di questi andavano a formare anche la guardia dell’imperatore, i germani corporis custodes). Agricola, pochi anni dopo, fece affidamento sugli ausiliari per vincere la battaglia del monte Graupio:

«Una grande eccitazione accolse la perorazione di Calgaco; e fremiti, canti, clamori confusi, come sempre fanno i barbari. Già i più eccitati correvano avanti facendo intuire gli schieramenti, tra bagliori di armi. Nel tempo stesso l’esercito romano si stava organizzando per la battaglia, quando Agricola prese a parlare, pensando di dover ancor di più accendere l’animo dei soldati, peraltro già entusiasti e a stento trattenuti dentro le fortificazioni: «È il settimo anno, miei commilitoni, da quando col vostro valore e, secondo gli auspici dell’impero romano, con la nostra leale azione, avete cominciato a riportare vittorie in Britannia. In tante spedizioni, in tante battaglie spesso abbiamo dovuto impegnarci a fondo contro il nemico o sopportare grandi fatiche quasi contro la natura stessa: mai però ho dovuto lamentarmi dei soldati, o i soldati di me. Abbiamo ormai superato io i limiti raggiunti dai miei predecessori, voi dagli eserciti precedenti: la parte estrema della Britannia noi non la presidiamo con le parole o facendoci forti delle dicerie, ma con accampamenti ben muniti. Noi la Britannia l’abbiamo scoperta e sottomessa. Spesso, mentre eravamo in marcia e le paludi, le montagne, i fiumi vi affaticavano, ho sentito le parole dei più valorosi tra voi: “Quando ci sarà dato il nemico? E quando una battaglia?”. Eccoli qua, stanati dai loro covili ed ecco l’occasione che il vostro valore e i vostri desideri attendevano. Vinciamo e tutto ci sarà facile, perdiamo e avremo tutto contro. Abbiamo fatto tanta strada, superato foreste, guadato fiumi: bello e glorioso perché stavamo avanzando. Le stesse cose che oggi ci sono favorevoli, sarebbero di enorme pericolo per uomini in rotta. Noi non abbiamo la stessa conoscenza dei luoghi o ugual abbondanza di salmerie, ma solo il nostro braccio, le nostre armi e la consapevolezza che tutto risiede in loro. Dal canto mio, da molto tempo so bene che mai reca salvezza a un esercito o a un comandante girare le spalle al nemico. Dunque una morte onorevole è preferibile a una vita di vergogna; e salvezza e onore abitano nello stesso luogo. Del resto non c’è nulla di inglorioso nel cadere vicino all’estremo confine delle terre e della natura. Se contrapposti a voi ci fossero popoli o eserciti sconosciuti, vi esorterei ricorrendo a esempi di altri eserciti; ma qui basta ripensare a successi già conseguiti, basta interrogare i vostri occhi. Eccoli qua, quelli che voi avete sbaragliato, praticamente con un grido, l’anno scorso dopo che avevano aggredito un’unica legione e con un agguato notturno. Questi sono, di tutti i Britanni, i più veloci a scappare e, grazie a ciò, quelli che più a lungo sono riusciti a sopravvivere. Quando voi entrate in qualche bosco o in qualche regione montuosa, gli animali più imponenti vi vengono contro per travolgervi, ma quelli pavidi e impotenti scappano al solo calpestio dell’esercito in marcia: esattamente allo stesso modo i più valorosi dei Britanni sono già caduti e questi che restano sono gli ignavi e i paurosi. Finalmente li incontrate, ma non perché vi abbiano atteso: siete stati voi che li avete sorpresi. La disperazione e lo stordimento della paura estrema li hanno inchiodati qui, sulle loro stesse orme, perché voi riportiate una vittoria bella e memorabile. Basta con le campagne militari: chiudete con una grande giornata cinquantanni di guerra. E provate alla repubblica che i ritardi della guerra e i motivi delle rivolte non sono mai stati colpa dell’esercito». Agricola stava ancora parlando e già era evidente l’ardore dei soldati. 

TACITO, AGRICOLA, 33-38

Nella colonna di Traiano legionari e ausiliari appaiono ben distinti sia visivamente (i primi con scutum rettangolare e lorica segmentata, i secondi con lorica hamata e scudo ovale) sia tatticamente. I legionari infatti sembrano occuparsi principalmente di opere di ingegneria, mentre gli ausiliari combattono in prima linea, e mostrano alcune pratiche barbare che ne denotano l’origine (come le teste degli sconfitti che mostrano a Traiano). I legionari sembrano intervenire principalmente in occasioni di difficoltà e durante gli assedi, confermando la descrizione di pochi decenni prima di Giuseppe Flavio che li descrive come delle vere e proprie macchine da guerra da cui sarebbe più saggio fuggire che affrontare.

Congedo e cittadinanza

Fino all’inizio del III secolo d.C. la popolazione dell’impero era divisa grossomodo fra:

  • cittadini romani
  • cittadini latini
  • peregrini
  • dediticii
  • schiavi

A loro volta i cittadini romani nati liberi (ingenui) avevano maggiori diritti degli schiavi affrancati. I peregrini erano gli abitanti liberi delle province: letteralmente il termine indica gli stranieri venuti da fuori, ma nell’accezione romana sono stranieri nella loro stessa terra dopo la conquista di Roma. I dediticii sono la più bassa condizione di libertà, riservata a popolazioni tribali estremamente arretrate e ad alcuni schiavi affrancati: il termine significa “che si è dato” e indicava le popolazioni che si erano concesse ai romani in cambio della vita.

Durante il principato, fino a Caracalla, gli ausiliari romani, reclutati in larga parte tra i peregrini (gli abitanti delle province conquistate da Roma che non erano cittadini romani), ricevevano al congedo, dopo 25 anni di servizio, la cittadinanza romana. Il documento che la attestava era un diploma militare, una tavoletta di bronzo, composta di due parti, sigillate. All’esterno della tavola frontale era scritto che il soldato aveva ottenuto la cittadinanza (emerita honesta missio), in quella posteriore c’erano i sigilli con i nomi dei 7 testimoni. All’interno, per evitare contraffazioni, entrambe le tavole riportavano il testo di quella frontale. Il congedo era chiamato honesta missio se avveniva con onore, un po’ come accade per i militari moderni e garantiva in ogni caso l’acquisizione della cittadinanza.

Una copia, anch’essa in bronzo, era inviata a Roma e conservata in Campidoglio e dopo i lavori intrapresi da Domiziano, alle spalle del tempio del divo Augusto, che era collocato probabilmente nella zona della Chiesa di Santa Maria della Consolazione. I diplomi, di cui ne sono stati trovati centinaia, erano sigillati poiché una volta giunto al luogo dove intendeva passare il “pensionamento” il soldato lo consegnava all’archivio cittadino o provinciale, dove veniva aperto e in questo modo si verificava che non fosse un falso. Dopo la Constitutio Antoniniana di Caracalla, che dava a tutti la cittadinanza, questi diplomi spariscono per i soldati comuni, e se ne ritrova ancora qualcuno nel III secolo per dei reparti speciali, come i pretoriani.

Tacito infine descrive così il servizio militare del suo tempo. il legionario deve praticamente pagarsi tutto, e ben lontani sono, nel I secolo d.C., i tempi dei grossi bottini che integravano la paga. In seguito gli imperatori saranno costretti a sempre più larghi donativi:

«Il servizio militare è, nella sua sostanza, faticoso e non rende nulla: l’anima e il corpo si valutano dieci assi al giorno e con questi si deve pagare gli indumenti, le armi, le tende, oltre a salvarsi dalle sevizie dei centurioni o per comprare qualche esenzione da qualche fatica.»

TACITO, ANNALES, I, 17

Dopo Caracalla

Nel 212 d.C. l’imperatore Caracalla concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’impero, attraverso un famoso editto, la cosiddetta Constitutio Antoniniana (il nome completo dell’imperatore era Marco Aurelio Antonino Caracalla – il padre Settimio Severo si era auto retroattivamente fatto adottare da Marco Aurelio). Per quale motivo venne promulgato questo provvedimento è del tutto ignoto. Si suppone una motivazione fiscale (far pagare anche le tasse riservate ai cittadini romani), demografica (arruolare nuove legioni) o etica (l’imitazione di Alessandro Magno). Quel che è certo è che da allora l’unica distinzione vigente era tra coloro che erano dentro l’impero e che coloro che non ne facevano parte.

Non possediamo il testo dell’editto e la nostra fonte più attendibile, Cassio Dione, solitamente avverso a Caracalla, sorvola ampiamente la questione, parlandone appena. Venne poi rinvenuto un papiro in Egitto, il papiro di Giessen, che casualmente riportava parte del testo, ma era lacunoso per quanto riguardava i dediticii: insomma, non è chiaro se anche loro fossero compresi, anche se gli studiosi propendono per il no. Sicuramente dopo Caracalla si forma una distinzione netta: i romani sono quelli che abitano all’interno dell’impero e i barbari restano (spesso) barbari. La concessione a tutti della cittadinanza aveva paradossalmente costruito un muro con l’esterno; non sappiamo infatti come venissero accolti gli stranieri e se questi potessero diventare romani. Quando arriveranno popolazioni germaniche in massa, queste finiranno per mantenere la loro identità non romana

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