Nel corso del tempo il confine sacro della res publica venne esteso dalla città di Roma fino al fiume Rubicone, al tempo di Silla. Era tradizione che solo chi espandesse i confini dello stato potesse ampliarlo. Di conseguenza, essendo un limite invalicabile, nessuno poteva varcarlo in armi pena l’infrangere delle regole umane e divine.

Dopo la fine della repubblica e l’instaurazione del Principato, Augusto si dotò di nove coorti di pretoriani, distribuite però in varie città d’Italia. A Roma stavano le soli coorte urbane e i vigiles, creati dall’imperatore. Fu Tiberio il primo a stabilire in modo permanente delle truppe a lui fedele nei pressi dell’Urbe, accorpando le nove coorti di pretoriani ed stabilendole nei castra praetoria.

I castra praetoria: i pretoriani

«In tutta Italia Tiberio dispose qua e là distaccamenti militari più numerosi di prima. A Roma costituì una caserma in cui venissero alloggiate le coorti pretoriane, che fino a quel momento non avevano sede fissa ed erano sparse qua e là in diversi alloggiamenti.»

Svetonio, tiberio, 37

I pretoriani erano un corpo scelto, nato sotto la repubblica e arruolato saltuariamente dal comandante di turno tra i soldati che componevano le legioni che lo seguivano, specialmente a partire dal III secolo a.C. Cesare utilizzò la legio Decima come sua fedele, alla stregua di guardia pretoriana, mentre Augusto le diede la sua struttura definitiva di nove coorti. Tiberio le spostò, dietro consiglio del prefetto al pretorio Seiano, nei nuovi castra praetoria tra il Viminale e l’Esquilino. Le coorti erano comandate da due prefetti al pretorio e ogni coorte aveva al comando un tribuno (mentre nelle legioni un tribuno comandava forse due coorti). Il numero di nove coorti era significativo poiché significava poco meno di una legione, dando l’apparenza che non ci fossero truppe in Italia. Sotto la dinastia giulio-claudia la prefettura al pretorio divenne l’apice della carriera equestre, divenendo poi nei secoli una delle figure più importanti in assoluto.

I pretoriani inoltre, in onore di Tiberio, ottennero il simbolo dello scorpione (suo segno zodiacale). La loro paga era superiore a quella della legione, avevano una ferma di soli 16 anni (contro i 20 dei legionari) e, perlomeno nei primi due secoli dopo Cristo, raramente si allontanavano da Roma (mentre nel III secolo divennero truppe che seguivano l’imperatore). La paga era stata fissata da Augusto a 750 denari annui, il triplo delle legioni. Con Domiziano era arrivata a 1.000, per salire a 1.500 con Settimio Severo e 2.500 con Caracalla, senza contare i numerosi donativi che ricevevano saltuariamente e all’elezione di un nuovo principe (emblematica è la vendita della porpora a Didio Giuliano):

«Non c’era rimedio se non entrare nell’esercito a condizioni ben chiare: che ciascuno prendesse un denario al giorno, che il servizio avesse termine dopo sedici anni e non si fosse tenuti sotto le armi ancora, ma esser pagati sùbito, al campo. Le coorti dei pretoriani percepivano due denari a testa e dopo sedici anni se ne tornavano a casa; affrontavano forse pericoli più gravi? lunge da lui denigrare le milizie urbane, ma erano loro a vivere accanto a genti feroci e dalle tende si scorgeva il nemico.»

Tacito, Annali, I, 17

Le coorti vennero sciolte e riformate a più riprese: il primo fu Vespasiano nel turbolento anno dei quattro imperatori, seguito poi da Settimio Severo, che le sciolse con infamia per aver venduto la porpora a Didio Giuliano e riformandole (con effettivi doppi, ovvero coorti di 1.000 e non 500 uomini) con elementi pannonici a lui fedeli: infatti a partire dal III secolo declinò anche in questo reparto la componente italica scemò progressivamente fino a scomparire. Anche il numero di coorti variò: Vitellio che le aveva portate a 1.000 uomini, ne aveva formate 10; Vespasiano le riportò a nove di 500 uomini, per poi tornare definitivamente dieci da Domiziano. I pretoriani vennero infine sciolti da Costantino dopo la vittoria di Ponte Milvio, rei di aver appoggiato Massenzio e di aver combattuto per lui all’ultimo sangue.

Le coorti urbane e i vigiles

Augusto decise anche di riorganizzare la città di Roma, dividendola in quattordici quartieri. Ogni due c’era una coorte di vigili, per un totale di 7. Questo era un nuovo corpo organizzato dal princeps per mantenere l’ordine pubblico. Arruolati perlopiù tra liberti, non erano armati. Ogni coorte aveva sette centurie e il loro comandante era un praefectus vigilium:

«Augusto suddivise l’area della città in quartieri e rioni, e stabilì che agli uni sovrintendessero magistrati annuali estratti a sorte, agli altri dei commissari scelti tra la plebe della zona. Contro gli incendi escogitò guardie notturne e vigili; per far fronte alle inondazioni del Tevere, fece allargare e ripulire il letto del fiume, ormai intasato da detriti e ristretto dall’estensione degli edifici.»

Svetonio, augusto, 30

Molti degli strumenti che avevano i vigili erano infatti adatti più a domare gli incendi, abbattendo spesso gli edifici, come lampade, secchi, scope, siphones (una sorta di idranti in cuoio), asce, ramponi, zappe, seghe, pertiche, scale e corde, centones (coperte bagnate). Oltre ai vigiles stazionavano a Roma anche tre coorti urbane, l’unico corpo che restava sotto il controllo diretto del senato, essendo comandante dal prefetto dell’Urbe. Alla morte di Caligola il senato tuttavia non riuscì a ripristinare la repubblica poiché i pretoriani, maggiori in numero, avevano già acclamato Claudio imperatore:

«Infatti i consoli avevano occupato il foro e il Campidoglio insieme al Senato e alle coorti urbane, con l’intenzione di reinstaurare la libertà repubblicana. Claudio, convocato in Senato dai tribuni della plebe per esprimere il suo parere, rispose che «era impedito da cause di forza maggiore». Il giorno seguente, però, poiché il Senato era troppo lento nel perseguire i suoi intenti, vuoi per stanchezza, vuoi per dissensi interni, e la folla d’intorno chiedeva insistentemente che le venisse dato un governatore unico e faceva proprio il suo nome, [Claudio] consentì che l’esercito, riunito in assemblea, gli prestasse giuramento. Promise a ciascuno quindicimila sesterzi e fu il primo tra i Cesari a comprare la fedeltà dell’esercito.»

Svetonio, claudio, 10

Inizialmente forse anch’esse erano nei castra praetoria, ma successivamente, da Settimio Severo, vennero spostate in una caserma separata nella VII regio Augustea, la Via Lata, attorno l’attuale Piazza di Spagna.

I germani corporis custodes e gli equites singulares

A dispetto di quanto di possa credere, la guardia principale dell’imperatore era formata dai germani corporis custodes, in numero di circa 2.000, reclutati tra i germani e fedeli direttamente alla persona dell’imperatore. Già Cesare aveva cominciato questa moda, che divenne la norma durante l’impero; Nerone sdoppiò perfino questa guardia, donando una parte degli effettivi alla madre, mentre Svetonio narra che Caligola per primo reclutò alcuni traci:

«Mal sopportava la madre che disapprovava e rimproverava con molta severità quanto egli facesse o dicesse, e in un primo tempo cercò di renderla impopolare, mostrando per finta l’intenzione di abdicare al comando e di ritirarsi a Rodi, poi la privò di tutti gli onori, di ogni potere, le tolse la scorta personale di soldati germanici e la fece allontanare dalla sua presenza e poi anche dalla reggia.»

Svetonio, Nerone, 34

Con la fine della dinastia giulio-claudia la guardia fu sciolta, venendo poi riformata all’epoca da Traiano nel corpo regolare degli equites singulares, reclutati tra i migliori cavalieri dei reparti ausiliari. Truppe ufficiali e speciali a tutti gli effetti, nonché guardie dell’imperatore, seguirono l’imperatore ispanico durante le guerre daciche. Stazionavano in due caserme, una sul Celio, rinvenuta a fine Ottocento, mentre la seconda caserma, costruita al tempo di Settimio Severo in Laterano, fu usata da fondamenta per la basilica di San Giovanni in Laterano dopo che Constantino sciolse sia questo corpo che i pretoriani.

Castra peregrina e misenatium

Ultimi ma non ultimi erano i castra peregrina e i castra misenatium. Quest’ultimo ospitava i marinai di stanza a Miseno e distaccati a Roma per azionare il velario del Colosseo. Nei castra peregrina, situati sul Celio, nei pressi della Basilica di Santo Stefano Rotondo, probabilmente ospitavano i servizi segreti dell’impero, ovvero speculatores (esploratori o addetti allo spionaggio) e frumentarii (corrieri o polizia segreta). Quest’ultimi da Adriano erano diventati veri e propri agenti segreti e polizia segreta, che osservavano di nascosto la vita civile per conto dell’imperatore. Erano comandati dal princeps peregrinorum, attestato da evidenze epigrafiche.

Infine recentemente è stato trovato presso lo scavo della stazione Amba Aradam-Ipponio un castrum della prima metà del II secolo, forse di Adriano, provvisto di pavimenti a mosaico e pareti affrescati, oltre tubature in piombo. Non è chiaro ancora l’utilizzo del castrum sebbene l’archeologa Rossella Rea abbia ipotizzato che ospitasse i servizi segreti, quali speculatores e frumentarii.

La legio II Parthica

Infine Settimio Severo reclutò tre nuove legioni, di cui una, la legio II Parthica, venne stanziata vicino Roma, nei castra Albana. Sebbene questa legione spesso seguisse l’imperatore nelle sue campagne, aumentò ulteriormente il peso delle truppe di stanza nei pressi dell’Urbe, che complice il raddoppio degli effettivi dei pretoriani raggiunse al tempo dei Severi numeri mai visti prima di allora: non solo per la prima volta una legione era vicino Roma, ma l’imperatore disponeva di un vero e proprio esercito personale a sua disposizione.

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I soldati dell’Urbe
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