In origine Romolo creò la prima legione di circa 4.000 soldati. All’epoca il principale modo di combattere in voga nel Mediterraneo centrale di cultura greco-etrusca era quello della falange, da poco inventato in Eubea e poi diffuso in tutto l’ecumene greco. Essendo un esercito censitario i più ricchi e anziani avevano l’equipaggiamento più pesante e stavano nei reparti più arretrati, essendo dunque i più protetti. Dopo la sconfitta contro i galli all’Allia e la presa di Roma vennero adottate nuove armi e tattiche, complici anche le guerre sannitiche e gli scontri su terreni più impervi. L’esercito della media repubblica era diviso in legioni, formate da manipoli di veliteshastatiprincipes triarii, oltre a turmae di cavalieri romani. La divisione era data dal censo e dall’età, con i veliti, più giovani e poveri, che usavano perlopiù giavellotti, mentre hastati e principes formavano il grosso della legione di fanteria pesante, armati di pilum, gladio, corazza e scudo ovale. Dietro di loro i più anziani triari, e ai fianchi gli alleati e i cavalieri romani.

Il manipolo

Gli hastati, come indica il nome, dovevano essere dotati in principio delle hastae, le lunghe lance in dotazione ai triarii, ma che già nel III secolo a.C. dovettero abbandonarle a favore del pilum. Completava l’equipaggiamento lo scutum ovale, l’elmo (specialmente Montefortino) e la spada, sostituita dalla seconda guerra punica dal gladio ispaniense, oltre a una placca di metallo che fungeva da corazza, e uno schiniere per la gamba sinistra, posizionata più avanti in combattimento. Gli hastati indossavano generalmente un pettorale di bronzo, principes e triarii una cotta di maglia. Secondo Polibio il discrimine per possederne una era di avere un patrimonio di 10.000 dracme (circa 10.000 denari), più di quanto un legionario di Augusto percepiva in tutta la sua carriera (225 denari annui, per venticinque anni).

principes, più abbienti e anziani, formavano la seconda linea, e potevano generalmente contare su alcuni equipaggiamenti migliori, come cotte di maglia (loricae hamatae), che fornivano migliore protezione. L’equipaggiamento offensivo era analogo a quello degli hastati. Infine, l’ultima linea era formata dai triarii (tanto che per i romani dire “arrivare ai triarii” significava giungere a una situazione disperata), raramente usati in battaglia e solo se le cose volgevano al peggio. Erano equipaggiati come i principes, ma erano dotati di una lunga lancia al posto del pilum, e pare attendessero lo scontro in ginocchio.  I più abbienti, raccolti nelle diciotto centurie più abbienti degli equites durante i comizi centuriati, combattevano a cavallo, e se non potevano permetterselo gli veniva dato un cavallo pubblico, equus publicus.

L’esercito veniva schierato su tre linee disposte a scacchiera, con i velites davanti gli hastati, e dietro di questi i principi; in ultima e terza fila i triarii, con centurie grandi generalmente la metà, mentre ai fianchi si disponevano i cavalieri e le coorti e ali ausiliarie dei socii. L’idea tattica alla base della legione manipolare era che quando una linea si stancava subentrava la successiva, con hastati e principes ad alternarsi, mentre i triarii subentravano solo in caso di assoluta necessità:

«Quando l’esercito aveva assunto questo schieramento, gli hastati iniziavano primi fra tutti il combattimento. Se gli hastati non erano in grado di battere il nemico, retrocedevano a passo lento e i principes li accoglievano negli intervalli tra loro. […] i triarii si mettevano sotto i vessilli, con la gamba sinistra distesa e gli scudi appoggiati sulla spalla e le aste conficcate in terra, con la punta rivolta verso l’alto, quasi fossero una palizzata… Qualora anche i principes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla prima linea fino ai triarii. Da qui l’espressione in latino “Res ad Triarios rediit” (“essere ridotti ai Triarii”), quando si è in difficoltà.»

T. Livio, Ab Urbe Condita Libri VIII, 8, 9-12

I triarii raramente combattevano, entrando nello scontro solo in soluzioni disperate. Durante la seconda guerra punica i romani, scontrandosi con Annibale, appresero nuove tattiche e sperimentarono anche nuovi modi di usare i triarii: Scipione ad esempio li utilizzò spesso ai fianchi dello schieramento, per proteggerlo dalla cavalleria o per effettuare manovre avvolgenti, come a Zama, dove i triarii tennero i fianchi finché non tornò la cavalleria numidica. Nel complesso l’esercito manipolare si dimostrò inizialmente incapace, durante la seconda guerra punica, di adattarsi alle tattiche più evolute di Annibale, per poi prendere spunto e adattarsi. Da lì in poi i comandanti romani saranno in grado di giocare con i manipoli, muovendoli in modo creativo sul campo di battaglia, uscendo dal tradizionale schema di alternanza delle linee e scontro frontale, passando invece per accerchiamenti e manovre più complesse; ad esempio a Cinocefale, nel 197 a.C., i manipoli romani, muovendosi in modo più libero, riuscirono ad avere la meglio sulla terribile falange macedone di Filippo V.

La riforma di Mario

Dopo l’elezione al consolato del 107 a.C., Gaio Mario, che aveva intenzione di porre fine alla Guerra Giugurtina, decise di arruolare anche i capite censi, ossia i proletari che non disponevano di proprietà, poiché il grosso dell’esercito precedentemente in Africa al comando di Metello era impegnato altrove, al comando dell’altro console Lucio Cassio Longino, per affrontare la minaccia dei germani che stavano migrando dal nord, in particolare i cimbri. La “riforma” era l’epilogo di una serie di avvenimenti che avevano visto i soldati romani distanti per molto tempo dalle loro terre nel corso del II secolo a.C., quando Roma si espanse in tutto il Mediterraneo. Già Tiberio Gracco e Gaio Gracco avevano provato a ridistribuire le terre ai contadini romani, togliendole ai latifondisti (che se appropriavano, favoriti dai lunghi periodi di lontananza), venendo fortemente ostacolati – e infine uccisi – dall’aristocrazia senatoria, che formava in larga parte i latifondisti che volevano colpire.

La soluzione di Mario risolveva in modo opposto il problema, sostanzialmente permettendo a chiunque di arruolarsi e di sostituire dei contadini-soldati che combattevano per difendere le loro proprietà e la res publica con dei soldati volontari professionisti, che combattevano per il soldo, il bottino e il loro comandante.L’esercito così riformato vedeva una ferma di sedici anni (estesa poi a vent’anni e sotto Augusto a venticinque, di cui gli ultimi cinque come veterani); al congedo si riceveva anche un’appezzamento di terreno, che permetteva – paradossalmente – proprio di trasformare in proprietari terrieri coloro i quali inizialmente non lo erano. I veterani venivano inoltre spesso insediati in blocco in un territorio, diventando anche da congedati “clienti” politici dei generali che li avevano arruolati.

Il nuovo esercito mariano, tardo-repubblicano, era composto dunque di volontari, soldati professionisti, il cui equipaggiamento non era più personale, spesso tramandato di padre in figlio, ma fornito dallo stato o da chi arruolava le legioni. Ciò comportò il decadimento di ogni precedente distinzione tra hastatiprincipes e triarii, tutti equiparati tra loro, con la cotta di maglia, il pilum, il gladio e il grande scudo ovale. Inoltre i veliti non furono più arruolati, sostituiti da truppe alleate, mentre i cavalieri erano raggruppati in alae, con gli alleati che comunque formavano il grosso delle forze a cavallo. Anche i manipoli vennero meno, non essendo più necessaria la distinzione precedente, e furono sostituiti dalle coorti, che già erano state sperimentate dai romani nel secolo precedente, a partire da Scipione. La distinzione tra hastati, principes e triarii rimase formale e divenne un modo per distinguere i reparti più anziani e veterani; il centurione primipilo (il primo centurione, al comando della prima centuria del primo manipolo della prima coorte), prese il nome da primus pilus, poiché i comandanti delle centurie dei trarii erano chiamati anche pilus prior (il primipilo) e pilus posterior.

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