Il Colosseo venne edificato da Vespasiano con il bottino della guerra giudaica, sopra il precedente laghetto della domus aurea. Grazie a un’epigrafe riutilizzata successivamente è stato possibile trovare sotto di essa l’iscrizione originaria di dedica in cui si diceva che il progetto era stato finanziato proprio in questo modo.

“Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma / cum cadet Colyseus cadet et Roma / cum cadet Roma cadet et mundus.”

“Finché esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma / quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma / quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo.”

Venerabile Beda, profezia

I gladiatori

L’amore dei romani per i gladiatori (il cui nome deriva dalla parola gladius, la spada romana: “portatori di gladio”) divenne viscerale fin dal II secolo a.C., tanto che il poeta Terenzio nel 160 a.C. si vide il pubblico abbandonare la sua commedia Hecyra (“La Suocera”) perché si era sparsa la voce che nei pressi si teneva uno scontro di gladiatori. L’importanza di questi “giochi” (munera) è testimoniata anche dalle molte testimonianze di autori contemporanei nel corso dei secoli, come Cicerone, Orazio, Tito Livio, Seneca, Marziale, Tertulliano e Agostino d’Ippona, a denotare la trasversalità e la continuità di questa usanza. Celebre è anche la ribellione del gladiatore Spartaco, che fu tra gli episodi più traumatici del I secolo a.C. per la repubblica romana e di sicuro la più grande rivolta schiavista di epoca romana.

Gli spettacoli si dividevano in ludi scaenici (teatrali) e ludi circenses (corse di carri), dedicati alle divinità, in date prestabilite; i giochi gladiatori invece erano munera, che in latino significa dovere: era uno spettacolo dovuto da un magistrato o da un privato (editor) al popolo e non in onore degli dei. I gladiatori, che erano schiavi (anche cittadini liberi si potevano dare per un certo periodo in schiavitù), prigionieri di guerra, condannati etc. si addestravano nelle scuole gladiatorie in tutto l’impero, gestite dai lanistae, la cui professione veniva considerata altamente infamante. Sotto Adriano si vietò anche di vendere schiavi a un lanista a meno che non si fossero macchiati di qualche reato.

Comunque si poteva riacquisire la libertà tramite la donazione da parte di un magistrato o dell’imperatore del rudis, la spada di legno. Tuttavia combattere nell’arena era infamante e ai liberati non veniva riconosciuta la cittadinanza romana, ma l’infamia, che vietava di ricoprire cariche politiche, di ereditare beni e di comparire come testimone. Fin dal 19 d.C. venne vietato ai senatori di combattere nell’anfiteatro (con la nascita dell’impero molti riversavano i loro sogni di gloria nell’arena).

Di solito i gladiatori si esibivano a coppia; il loro spettacolo era il momento culminante della giornata nell’anfiteatro: alla mattina c’erano le venationes (i combattimenti tra cacciatori e belve), a mezzogiorno le esecuzioni capitali (in questo caso l’arena fungeva da piazza pubblica) e poi nel pomeriggio i combattimenti tra gladiatori. Le condanne a morte potevano essere molto fantasiose, con ad esempio un condannato che interpretava Icaro, con delle ali di cera e veniva lanciato dal punto più alto del Colosseo; si poteva anche essere condannati a combattere come gladiatori.

Avvenivano anche distribuzioni di cibo per gli spettatori che passavano dunque l’intera giornata nell’anfiteatro, distribuiti in settori differenti a seconda del censo, della classe sociale e del sesso: nel Colosseo sedevano nei posti migliori, più in basso e vicini all’arena, l’imperatore, poi i senatori, le vestali, i cavalieri e via via salendo diminuiva il rango sociale, fino ad arrivare alle donne e agli schiavi.

Dunque, giunti al pomeriggio entravano in scena i gladiatori: di solito il numero di coppie, in base ai dati archeologici ed epigrafici, era compreso tra 6 e 12, ma in alcuni casi, come i giochi trionfali di Traiano, si giungeva ad ingaggiarne molti di più. Anche la durata dei munera era variabile: alcuni si concludevano in giornata, altri andavano avanti per settimane. I combattimenti in gruppo (gregatim) in genere riguardavano i condannati a morte.

Il più grande anfiteatro

“Roma era deturpata dai segni di crolli e di passati incendi; e Vespasiano permise a chiunque di occupare le aree vuote e di costruirvi sopra se i proprietari non prendevano iniziative. Di persona, avviando la ricostruzione del #Campidoglio, per primo diede mano alla rimozione delle macerie e al trasporto di materiali. Prese inoltre l’iniziativa di restaurare tremila tavole di bronzo, che in blocco erano andate distrutte nell’incendio, dopo averne fatte ricercare ovunque le copie: era la più bella e la più antica raccolta di documenti imperiali, e conteneva le deliberazioni del #Senato e i plebisciti relativi ad alleanze, trattati e privilegi a chiunque concessi, fin quasi dalla fondazione di Roma. Eresse anche nuovi edifìci: il tempio della Pace presso il foro e, sul colle Celio, quello del divino Claudio, che, già iniziato da Agrippina, era stato quasi completamente demolito da #Nerone; inoltre un anfiteatro nel centro della città, come sapeva avere a suo tempo progettato Augusto.”

svetonio, vespasiano, 8-9

Roma non ebbe un anfiteatro stabile non prima dell’età augustea (prima i munera si svolgevano perlopiù nel foro), quando venne realizzato quello di Statilio Tauro, che però era in gran parte in legno e andò completamente distrutto dall’incendio neroniano. I più antichi anfiteatri sono stati edificati tutti in area campana, così come l’origine della gladiatura è da ricondurre alle popolazioni greco-osche e sannite. Dopo l’incendio Vespasiano decise di prosciugare il lago della domus aurea e realizzare nello stesso luogo l’anfiteatro Flavio, con il bottino della guerra giudaica. Fu inaugurato però solo dal figlio Tito e i lavori completati da Domiziano, che aggiunse l’ultimo anello superiore. Furono poi aggiunte delle carrucole con cui si portavano in scena gli animali e delle vele per proteggere gli spettatori dal sole. Infine Adriano, che costruì di fronte il tempio di Venere e Roma, usò i magazzini costruiti sotto l’enorme piattaforma rialzata del tempio per tenere i macchinari. I gladiatori invece si trovavano nel ludus magnus, dal lato opposto ed entravano nell’arena tramite un tunnel sotterraneo, per evitare ogni contatto.

Ancora nel tardo IV secolo ci saranno spettacoli gladiatori, poi soltanto venationes con animali, fino all’epoca del re ostrogoto Atalarico. A causa dell’incuria e dei terremoti, nel 1347 crollò parte del terzo anello, mentre veniva spogliato di tutti i marmi e le statue. Prese il nome di Colosseo a causa della colossale statua di Nerone, trasformata nel dio Sole, che stava di fronte (dal lato del ludus magnus, dove venne spostata da Adriano per costruire il tempio di Venere e Roma).

Naumachie

Le prime naumachie attestate risalgono a Cesare per i suoi quattro trionfi; anche Augusto e Claudio ne fecero alcune. Fu Tito ad utilizzare il Colosseo, appena inaugurato, per delle naumachie. Racconta Marziale (De Spectaculis, 24):

“Se tu sei un tardivo spettatore giunto da lontani paesi, per cui questo giorno è stato il primo dei sacri spettacoli, perché il combattimento navale con le sue navi e le onde simili a quelle del mare non t’ingannino, sappi che qui dianzi era terra. Non lo credi? Resta a guardare finché le onde avranno stancato i combattenti: l’attesa sarà breve, e dirai: «Qui dianzi era mare»”

L’operazione era però particolarmente complessa e venne del tutto abbandonata dopo la costruzione dei meccanismi sotterranei dell’anfiteatro a partire da Domiziano.

Commodo il gladiatore

Pare che ad un certo punto l’imperatore avesse anche deciso di indossare una pelle di leone e una clava, come un novello Ercole. In ogni caso gli arbitri gli riconobbero sempre la vittoria e Commodo chiese sempre ingaggi più alti, come fosse un vero gladiatore. In un’occasione, mentre combatteva nel Colosseo, rincorse e uccise degli struzzi, portandone la testa in mano e mostrandola ai senatori mentre sghignazzava, intendendo che coloro che lo odiavano avrebbero fatto la stessa fine. Racconta Cassio Dione, che si trovava proprio in mezzo a loro, che la sua prontezza di riflessi fu la loro salvezza: staccò alcune foglie dalla sua corona e cominciò a masticarle, consigliando agli altri di fare lo stesso, per mascherare il fatto che stessero ridendo, vedendo un imperatore mezzo nudo nell’arena che rideva da solo mostrando la testa di uno struzzo.

Fine degli spettacoli

Gli spettacoli ebbero grande fortuna per secoli, durante tutta l’età imperiale. Nel Colosseo si svolsero anche delle naumachie, ossia delle battaglie navali, riempendo l’arena d’acqua e mettendo in atto battaglie navali. Con l’avvento del cristianesimo i combattimenti continuarono a svolgersi, specialmente in occidente; ancora sul finire del IV secolo erano piuttosto in voga. Tuttavia con la definitiva spartizione tra impero d’occidente e d’oriente e l’avvento della dinastia teodosiana anche i giochi gladiatori, come altre peculiarità del mondo antico pagano finirono per sparire (come i giochi olimpici). Sotto Valentiniano III (425-455) si ebbe la definitiva condanna dei giochi gladiatori, che non ebbero mai più luogo. Tuttavia continuarono le venationes, ancora dopo la fine dell’impero d’occidente, sia sotto Odoacre sia sotto Teoderico.

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