Negli ultimi giorni di dicembre, tra il 17 e il 23 dicembre, i romani usavano celebrare i Saturnalia: la festa in onore di Saturno; la festa, celebrata attorno al solstizio d’inverno (che oggi cade il 21 o 22 dicembre, mentre 2000 anni fa, per via della precessione degli equinozi, doveva cadere proprio nel giorno centrale della settimana di feste), faceva parte della tradizione romana da sempre. In questo periodo festivo, che dava il via alla rinascita primaverile, i romani usavano banchettare, scambiarsi regali e andare a vedere spettacoli gladiatori e corse di quadrighe: insomma era un periodo di rilassatezza (perfino gli schiavi venivano trattati più umanamente e in quei giorni potevano quasi comportarsi da liberi).

Pertanto già qui si vedono alcune somiglianze col nostro Natale: i banchetti continui (un convivium publicum dopo il sacrificio nel tempio di Saturno e altri privati in seguito), i giochi tra amici (oltre ai gladiatori e le corse si giocava per esempio a dadi e altri giochi usualmente proibiti), lo scambio di regali. Insomma, i Saturnali, nati come festa della rinascita delle messi, erano una festa dell’abbondanza che preparavano (e propiziavano) all’avvento del nuovo anno; lo stesso Saturno era accostato alla leggendaria età dell’oro, quando gli uomini vivevano felici e in abbondanza e uguaglianza.

Dal mitraismo al Sol Invictus

Mitra era una divinità di origine orientale, indo-iraniana, il cui culto si è diffuso prima in Persia e poi nelle province orientali dell’impero romano e conseguentemente in tutto l’impero a partire dal I secolo a.C. Inizialmente legato allo Zoroastrismo persiano, Mitra è poi diventato una divinità a sé stante, di grandissima fortuna. Il primo contatto con le province orientali sotto l’influenza romana avvenne prima con i pirati cilici sconfitti da Pompeo nel 67 a.C. e poi divenne evidente con l’erezione della statua colossale di Mitra da parte di re Antioco I di Commagene.

Il mitraismo era una religione misterica e quindi non pubblica: l’accesso a questa religione era decisamente più complesso che non ad altre. Il luogo di incontro era il mitreo, situato in una cavità naturale o artificiale, priva di finestre e piuttosto piccolo in confronto a un qualsiasi tempio antico. Al centro del culto c’era Mitra, raffigurato sempre col suo cappello frigio, che affrontava il dio Sole e lo sconfiggeva. I due venivano a patti e Mitra riceveva la corona raggiata.

Altra grande impresa della divinità era la cattura del toro e la sua uccisione, dopo il tentativo di fuga dell’animale. Dal toro morto nascevano tutte le piante benefiche; ma il Dio del male inviava un serpente per contrastare la vita. Alla fine il toro ascendeva alla Luna dando vita agli animali. Mitra e il Sole suggellavano con un pasto, l’agape, la vittoria.

Egli è quindi un Dio creatore, legato alle pratiche di resurrezione. Il culto fu particolarmente diffuso tra i soldati romani in tutto l’impero (se ne trovano tracce perfino sul vallo di Adriano). Tale adorazione era decisamente in voga in quanto Mitra era una divinità eroica, da assimilare a sua volta a Giove e Marte, e al tempo stesso una divinità che tendeva verso un monoteismo di fatto che ormai permeava la società romana nel III secolo. Ed è il III secolo appunto che vede l’esplosione del mitraismo; Mitra si confuse sempre più con Apollo, fondendosi: i romani crearono una nuova divinità, squisitamente romana, il Sol Invictus.

Già all’inizio del III secolo Eliogabalo aveva portato dalla Siria, da cui proveniva, e qui precisamente da Emesa, la divinità solare El-Gabal, che egli venerava. I romani avevano accolto molto tiepidamente questo nuovo culto, se non proprio sbeffeggiando il giovane imperatore, il cui unico motivo per cui era diventato tale era la parentela con i Severi. Nel corso del secolo il mitraismo prese sempre più piede mentre il culto solare rimase in secondo piano.

«Dunque, una volta uccisi Macrino e suo figlio Diadumeno che, associato all’impero con parità di poteri, aveva ricevuto anche il nome di Antonino, il titolo di imperatore fu conferito a Vario Eliogabalo, grazie alle voci che lo facevano figlio di Bassiano. Di fatto egli era un sacerdote di Eliogabalo, una divinità ora identificata con Giove, ora col Sole, e si era attribuito il nome di Antonino sia quale prova della sua presunta discendenza, sia perché sapeva bene che quel nome era tanto caro alla gente che, in grazia di esso, anche un fratricida come Bassiano godeva ancora simpatie. In un primo tempo ebbe dunque il nome di Vario, successivamente quello di Eliogabalo, dal fatto che era sacerdote del dio Eliogabalo, a cui, dopo averne importato il culto dalla Siria, costruì a Roma un tempio nel luogo in cui in precedenza sorgeva quello in onore dell’Orco. Infine, quando salì al potere, prese il nome di Antonino, e fu l’ultimo imperatore romano a portare tale nome.»

HISTORIA AUGUSTA, ELIOGABALO, 1, 4-7

L’imperatore, appena quattordicenne, fece ritorno a Roma, considerandosi più sacerdote che imperatore:

«Ma non appena entrò in Roma, trascurando gli affari delle province, si preoccupò di consacrare il culto del dio Eliogabalo, facendogli erigere un tempio sul colle Palatino, nei pressi del palazzo imperiale, con l’intenzione di trasferirvi il simulacro della Gran Madre, il fuoco di Vesta, il Palladio, gli scudi ancili, e tutti gli oggetti sacri ai Romani, per far sì che a Roma non fosse venerata alcuna divinità se non Eliogabalo. Diceva inoltre che in quel tempio dovevano essere trasferiti anche i culti delle religioni dei Giudei e dei Samaritani, nonché i riti dei Cristiani, affinché l’ordine sacerdotale di Eliogabalo divenisse depositario dei misteri di tutti i culti. Poi, quando tenne la prima seduta con il senato, diede ordine che sua madre fosse invitata a parteciparvi. Al suo arrivo, fu invitata a sedersi su uno degli scanni riservati ai consoli, e presenziò personalmente alla redazione del verbale, in altre parole fu testimone della stesura del decreto senatorio; ed egli fu l’unico fra tutti gli imperatori sotto il cui regno una donna, quasi fosse un’Eccellenza, entrò in senato a svolgere mansioni riservate agli uomini. Fece inoltre costruire sul colle Quirinale un «senatino», cioè un senato di donne, proprio dove in passato si riunivano le matrone romane, ma solo in occasione di particolari solennità, od ogniqualvolta una qualche matrona riceveva le insegne riservate alle spose dei consoli, un privilegio che gli antichi imperatori avevano talora concesso alle loro parenti, specialmente a quelle che avevano sposato uomini privi di titoli nobiliari, perché non avessero a perdere il loro rango.»

HISTORIA AUGUSTA, ELIOGABALO, 3, 4-5; 4, 1-3

La divinità di Emesa cadde ben presto nel dimenticatoio, nonostante sempre più spesso apparissero sulle monete romane le corone raggiate tipiche di Apollo a cingere la testa dell’imperatore (sempre negli antoniniani), ormai quasi una divinità impersonificata a tutti gli effetti.

Il Sole Invincibile

« È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei. »

Papa Leone I, 7° sermone tenuto nel Natale del 460 – XXVII-4

Nel 274 Aureliano, vincitore di Zenobia a Palmira, riportò nuovamente in auge il dio siriano e rese ufficiale il culto di questa divinità (già c’erano stati nei secoli precedenti alcune avvisaglie di un culto del Sole e un suo epiteto come Invitto), costruendo templi e istituendo un culto ufficiale. Infine Aureliano creò anche il collegio pontificale del Sole Invincibile (pontifices solis invicti erano i sacerdoti del Sole). In antichità era la normalità adottare per sé il dio che aveva concesso la vittoria (così come lo sarà per Costantino) e inoltre il culto del dio solare ben si adattava a molte divinità greco romane come Apollo e Giove. Come narra Tertulliano molti pagani credevano anche che i cristiani adorassero questo dio.

Il Sol Invictus andava in parte a sovrapporsi pertanto Apollo, Marte e Giove, che univa in una nuova divinità dall’impronta monoteistica. Infatti spesso l’epiteto di Invictus viene spesso accompagnato tanto a Mitra quanto a Giove, dunque da questo punto di vista il Sole Invincibile andava a racchiudere in un’unica forma varie forme care specialmente ai soldati. Aureliano rimase stregato dalla divinità solare in occasione della vittoria di Emesa contro Zenobia nel 272, quando lo avrebbe aiutato a vincere la battaglia, in modo non molto diverso da quanto accaduto per Costantino.

La mossa di Aureliano come nel caso dell’imperatore cristiano aveva anche motivazioni politiche: da un lato “l’Invincibile” si rifaceva a Marte e Mitra, carissimi all’esercito, dall’altro il sole era adorato come Apollo in tutto l’impero romano. Pare che Aureliano stesso avesse indossato una corona fatta di raggi, atta a rappresentare il sole, durante i festeggiamenti per la consacrazione del nuovo tempio a Roma. Il Sole Invitto tra l’altro si inseriva nel calendario delle feste romane legate ai Saturnali, tra il 17 e 23 dicembre, in quanto la principale festività solare era legata al solstizio invernale: il 25 dicembre, circa tre giorni dopo che il Sole era rimasto apparentemente fermo al suo punto più basso, cominciava a risalire in cielo.

Dal Sole Invicibile al Cristianesimo

Dunque questa nuova divinità, derivata sia dal dio El-Gabal di Emesa che dal mitraismo, intendeva ridare unità all’impero: proprio nel III secolo si consumarono le più violente persecuzioni dei cristiani, soprattutto a partire da Decio a metà del secolo (i cristiani venivano visti male perché non sacrificavano all’imperatore ed erano restii a combattere, motivo di grande instabilità in un impero così bisognoso di ordine e soldati). Sotto Diocleziano e Galerio poi si verificherà la più grande persecuzione di cristiani, finché, preso atto dell’inutilità di questi mezzi (e visto la conversione in corso di Costantino) Licinio e Costantino promossero a Milano nel 313 il famoso editto che sanciva la libertà di culto. Lo stesso Costantino doveva essere, almeno fino a Ponte Milvio (e probabilmente anche dopo), un cultore del Sole, in quanto le sue monete lo raffigurano addirittura fino al 318 d.C.

Mitraismo e Sol Invictus convissero per qualche decennio finché nel 308 i tetrarchi a Carnuntum, in Pannonia, decisero di unire le due divinità: una lapide posta al “Dio Sole Invitto Mitra” sanciva l’unicità del culto. Dopo la vittoria di Costantino su Licinio il culto del Sol Invictus e di Mitra venne quasi del tutto assorbito dal cristianesimo: non solo le chiese vennero costruite sopra i mitrei, ma anche alcune usanze del Sole Invincibile come la data di nascita il 25 dicembre e altri atti d’adorazione restarono in uso per ancora molto tempo e la natività (su cui si dibatte se sia stata prima attribuita al 25 dicembre dai cristiani o dai cultori del Sole in quanto la prima attestazione per entrambe le festività al 25 dicembre risale al calendario Cronografo del 354 d.C.).

A mostrare come il Sole Invincibile fosse ancora il principale culto prima del 324, quando Costantino sconfisse Licinio, c’era un editto imperiale che comandava che il settimo giorno della settimana, dedicato al Sole, fosse dedicato al riposo:

«Nel venerabile giorno del Sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la semina delle vigne; sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo.»

Corpus iuris civilis 3.12.2

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Il culto del Sol Invictus
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