Il pilum era il giavellotto usato dai legionari prima del corpo a corpo. Lanciato a breve distanza, aveva lo scopo di trafiggere l’uomo che si difendeva dietro lo scudo. Se questo non avveniva, era comunque impossibile continuare a combattere con il pilum incastrato, e se si provava a toglierlo si piegava o spezzava:

«I Romani, lanciando dall’alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l’ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli; questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto.»

Cesare, De bello Gallico, I, 25

Un’arma devastante

Sebbene il racconto di Cesare ci dica che lo scopo era quello di piegarsi, Plutarco nella vita di Mario descrive come, per evitare che i barbari riutilizzassero i pila non andati a segno, avesse fatto inserire uno dei due rivetti che tenevano fisso il ferro in legno per far sì che dopo il lancio si spezzasse e diventasse inutilizzabile. Però l’accorgimento di Mario sembrerebbe circostanziato e non reiterato nel tempo, poiché non trova conferme in altri fonti, anzi tutti i pila utilizzati in battaglia e ritrovati hanno la punta piegata. Anche in questo caso non si direbbe un accorgimento quello di far piegare la punta quanto una conseguenza del peso della lancia conficcata nello scudo.

«Camillo portò i suoi soldati giù nella pianura e li schierò a battaglia in gran numero con grande fiducia, e come i barbari li videro, non più timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano. Per cominciare, ciò mandò in frantumi la fiducia dei Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per primi. Poi i  velites attaccarono, costringendo i Galli ad entrare in azione, prima che avessero preso posizione con lo schieramento abituale, al contrario schierandosi per tribù, e quindi costretti a combattere a caso e nel disordine più totale. Quando infine Camillo condusse i suoi soldati all’attacco, il nemico sollevò le proprie spade in alto e si precipitò all’attacco. Ma i Romani lanciarono i giavellotti contro di loro, ricevendo i colpi [dei Galli] sulle parti dello scudo che erano protette dal ferro, che ora ricopriva gli spigoli, fatti di metallo dolce e temperato debolmente, tanto che le loro spade si piegarono in due; mentre i loro scudi furono perforati e appesantiti dai giavellotti [romani]. I Galli allora abbandonarono effettivamente le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico, tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le mani. Ma i Romani, vedendoli così disarmati, cominciarono misero subito mano alle spade, e ci fu una grande strage dei Galli che si trovavano in prima linea, mentre gli altri fuggirono ovunque nella pianura; le cime delle colline e dei luoghi più elevati erano stati occupati in precedenza da Camillo, e i Galli sapevano che il loro accampamento poteva essere facilmente preso, dal momento che, nella loro arroganza, avevano trascurato di fortificarlo. Questa battaglia, dicono, fu combattuta tredici anni dopo la presa di Roma, e produsse nei Romani una sensazione di fiducia verso i Galli. Essi avevano potentemente temuto questi barbari, che li avevano conquistati in un primo momento, più che altro credevano che ciò fosse accaduto in conseguenza di una straordinaria disgrazia, piuttosto che al valore dei loro conquistatori.»

(Plutarco, Vita di Camillo, 41, 3-6.)

Stando al racconto di Plutarco, quindi, i romani avrebbero adottato quest’arma dopo la disfatta dell’Allia e il sacco di Roma a opera di Brenno. L’arma sarebbe dunque nata in ambito etrusco e poi adottata dai romani specificatamente per arrestare i celti. L’arma sarebbe stata talmente buona da diventare iconica del legionario romano; tuttavia altri hanno collocato la prima apparizione agli scontri con i sanniti, avvenuti alcuni decenni dopo e mutuata da loro insieme alle loro tattiche belliche, come l’adozione del manipolo e l’abbandono della falange. Quel che è certo è che nel IV secolo a.C. il modo di combattere romano muta profondamente, per influssi celtici e sanniti; i romani d’ora in poi si dimostreranno maestri nell’adattarsi al nemico e carpirne i segreti e le strategie vincenti, come faranno poi con Pirro, stando a Frontino, quando copiarono l’idea dell’accampamento fortificato e la perfezionarono.

Il pilum era composto da un’asta in legno lunga mediamente 150-190 cm, con una lunga punta in ferro e una punta piramidale. Questo tipo di estremità consentiva di penetrare a fondo lo scudo e di uccidere il nemico o perlomeno di rendere inutilizzabile lo scudo:

«… e poiché incastrano la parte di ferro del pilum fino a metà dell’asta [di legno] stessa, fissandolo poi con numerosi ribattini, la congiunzione risulta così ferma e la sua funzionalità è assicurata, che usandolo, prima che si allenti l’incastro, si spezza il ferro, malgrado nel punto di congiunzione con l’asta di legno abbia una grandezza di un dito e mezzo. Tale e tanta è la cura con cui i Romani mettono insieme i due pezzi.»

Polibio, Storie, VI, 23, 11

La tattica manipolare prevedeva dunque le legioni schierate in tre linee a scacchiera, con davanti i veliti armati alla leggera, poi gli hastati, i principes e i triarii. Hastati e principes erano dotati del nuovo pilum (come suggerisce il nome gli hastati originariamente dovevano avere solo scudo e lancia). Aprivano la battaglia i veliti che creavano scompiglio, poi subentravano gli hastati, più giovani e prestanti, che lanciavano il pilum e attaccavano corpo a corpo. Venivano poi sostituiti dai principes e se la situazione si metteva veramente male entravano in campo i triarii. Successivamente, alla fine del III secolo a.C., venne anche adottato il gladio come arma da taglio. L’uso del pilum, portato generalmente in numero di due insieme a qualche altro tipo di giavellotto più leggero e missile, non era però scontato; in situazioni particolari o di eccezionale foga come la battaglia di Filippi del 42 a.C., si poteva passare direttamente all’uso del gladio. Racconta Cesare nel momento culmine dell’assedio di Alesia che:

«Riconosciuto Cesare per il colore del suo mantello, che portava come un’insegna durante i combattimenti… i Romani, lasciati i pilum, combattono con la spada. Velocemente appare alle spalle dei Galli la cavalleria romana, mentre altre coorti si avvicinano. I Galli volgono in fuga. La cavalleria romana rincorre i fuggiaschi e ne fa grande strage. Viene ucciso Sedullo, comandante dei Lemovici; l’arverno Vercassivellauno viene catturato durante la fuga; vengono portate a Cesare settantaquattro insegne militari. Di così grande moltitudine pochi riuscirono a raggiungere il campo e salvarsi… Dalla città, avendo visto la strage e la fuga dei compagni e disperando della salvezza, ritirano l’esercito in Alesia. Giunta questa notizia, i Galli del campo esterno si danno alla fuga… Se i legionari non fossero stati sfiniti… tutte le truppe nemiche avrebbero potuto essere distrutte. Verso mezzanotte la cavalleria, mandata all’inseguimento, raggiunse la retroguardia nemica. Un grande numero di Galli fu preso ed ucciso, gli altri si disperdono in fuga verso i loro villaggi.»

Cesare, De bello Gallico, VII, 88

Tatticamente il pilum aveva comunque una gittata molto corta, essendo piuttosto pesante, e veniva lanciato a circa 10-15 metri di distanza dal nemico e subito dopo si estraeva il gladio mentre lo si caricava. Prevedeva perciò un’alta dose di allenamento e coordinazione per essere usato efficacemente e soprattutto portava i romani ad attaccare quasi sempre e stare raramente sulla difensiva. Tuttavia in situazioni particolari come nel caso di Arriano, che all’epoca di Adriano si dovette difendere contro la sola cavalleria catafratta alana, si poteva usare in modo più creativo:

«Al centro la XV Legione tiene l’intero fianco destro estendendosi ben oltre […] dato che i suoi uomini sono molto più numerosi. La parte rimanente del lato sinistro è occupata completamente dalla XII Legione […]. Essi sono schierati con la profondità di otto uomini e in ordine chiuso. I primi quattro ranghi sono legionari, armati di pilum, che ha una punta di ferro lunga e affusolata, Il primo rango li tiene davanti a sé come difesa, così che se il nemico viene vicino a loro, essi conficchino la punta di ferro nei petti dei loro cavalli. Gli […] uomini dietro a questi del terzo e quarto rango scagliano una salva di pila ovunque trovino un bersaglio, ferendo i cavalli e trafiggendo i cavalieri, e quando un pilum è conficcato in uno scudo o in un corsetto corazzato e si piega, a causa della morbidezza del ferro, rendono il cavaliere impacciato. I ranghi successivi sono giavellottieri. Un nono rango dietro di essi è costituito da arcieri appiedati[…]. Le macchine da guerra sono schierate dietro ciascuna ala in modo da tirare al nemico che carica dal più lontano possibile, così pure da dietro l’intera linea di battaglia. L’intera cavalleria è schierata assieme dietro la fanteria, divisa tra ausiliari e otto coorti di cavalleria. Le coorti di cavalleria hanno di fronte a sé la fanteria e gli arcieri come protezione. Le rimanenti sei coorti di cavalleria sono al centro […]. Di queste, gli arcieri a cavallo prendono posizione subito dietro la linea di battaglia per tirare sopra di essa […]. Attorno a Senofonte si pone la guardia di cavalleria e circa 200 uomini della fanteria pesante, le guardie del corpo, e in particolare i centurioni aggregati alla cavalleria della guardia o i comandanti delle guardie del corpo, così pure i decurioni della cavalleria della guardia. Attorno a lui anche un centinaio di giavellottieri leggeri della guardia, in modo che osservando l’intera linea di battaglia, essi possano muoversi e porre rimedio a qualsiasi problema dovesse porsi alla sua attenzione.»

Arriano, Ektaxis kata Alanon, 13-24)

Nel corso del tempo il pilum diventò sempre più pesante: si aggiunse nel I secolo d.C.. una palla di piombo all’attaccatura della parte di ferro per aumentarne il potere di penetrazione. Ma, proprio per affrontare nuovi tipi di nemici, tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., i romani cominciarono ad abbandonarlo per tornare alla lance e nuovi tipi di armi da lancio, come lo spiculum, una sorta di combinazione tra il pilum e le lance germaniche, o le plumbatae, delle piccole punte di freccia lanciate a mano.

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