Dopo quattordici anni di principato, all’età di sessantaquattro anni, nell’ottobre del 54 d.C., Claudio morì. L’ipotesi più probabile è che dietro ci fosse la mano di Agrippina, volenterosa di vedere il proprio figlio Nerone come princeps:

«È opinione unanime che egli sia stato ucciso col veleno ma dove e per mano di chi, questo non si sa per certo: alcuni raccontano che fu avvelenato in Campidoglio dall’eunuco assaggiatore Aloto, mentre era a banchetto con i sacerdoti; altri invece sostengono che ciò avvenne durante un pranzo in famiglia, per mano della stessa Agrippina, che gli aveva imbandito un fungo avvelenato, poiché egli era assai ghiotto di quel cibo. Anche riguardo a quel che successe subito dopo, c’è discordanza: molti dicono che, appena ebbe assimilato il veleno, si ammutolì e, straziato dai dolori per tutta la notte, morì all’alba; altri sostengono che, dopo uno stato di torpore iniziale, abbia poi vomitato tutto il cibo che gli era tornato su, e quindi gli fu propinato dell’altro veleno, versato forse in una minestra di farro, con la scusa di farlo riprendere con del cibo, poiché era esausto, oppure in un clistere somministratogli col pretesto di aiutarlo in tal modo a smaltire l’indigestione.»

SVETONIO, CLAUDIO, 44

Agrippina minore, madre di Nerone, era sorella di Caligola e nipote di Claudio. Abile manipolatrice, nel 49 d.C. sposò Claudio dopo l’eliminazione di Messalina e affidò il giovane Nerone a Seneca, mentre fu imposto il fidanzamento tra Nerone e Ottavia, figlia di Claudio. Poco dopo l’elevazione alla porpora di Nerone Agrippina si premurò di eliminare anche Britannico. Nerone a 17 anni era il più giovane imperatore romano ed era accerchiato da tre figure pesantissime: la madre Agrippina, Seneca e il prefetto al pretorio Burro. Da parte sua Nerone amava profondamente l’arte e la musica.

«Ma poi, conquistato da Agrippina, figlia di suo fratello Germanico, che lo sedusse usando pretestuosamente baci ed effusioni a lei consentite dal legame di parentela, subornò alcuni, affinché proponessero nella successiva seduta del Senato di costringerlo a sposarla, come se ciò fosse importantissimo per la Ragion di Stato e di dare a tutti la licenza di contrarre matrimoni di tal genere, fino a quel momento ritenuti incestuosi. E il giorno dopo celebrò le nozze ma non si trovò nessuno che seguì il suo esempio, tranne un liberto e un centurione primipilo ed egli stesso partecipò con Agrippina alla celebrazione di quelle nozze.»

SVETONIO, CLAUDIO, 26

Un principe d’oro

Acclamato imperatore sulla scalinata del Palazzo, fu portato in lettiga al Castro e da lì, dopo un breve discorso tenuto ai soldati, si recò alla Curia. Se ne allontanò ch’era già sera, dopo aver rifiutato, di tutti i grandissimi onori conferitigli, solo il titolo di «padre della patria», a causa della giovane età. 9. Quindi esordì con l’ostentazione della sua pietà filiale, elogiando e divinizzando Claudio, dopo averlo celebrato con un solenne funerale. Rese poi grandissimi onori alla memoria del padre Domizio e affidò alla madre la suprema gestione di tutti gli affari pubblici e privati. Persino, nel primo giorno del suo principato, diede come parola d’ordine al tribuno di guardia: «Ottima madre» e, in seguito, spesso andò in giro in pubblico insieme a lei, nella stessa lettiga.

SVETONIO, nerone, 9

La parte iniziale del principato di Nerone è ricordato in modo entusiasta dai contemporanei: è il quinquennium Neronis, il quinquennio del buon principe, sullo stile augusteo, con l’aiuto anche di Seneca.

Per dare prova ancor più evidente della sua indole virtuosa, dichiarò che avrebbe comandato secondo gli intenti di Augusto e non trascurò alcuna occasione per dimostrare la propria liberalità, clemenza e anche disponibilità. Abolì o diminuì le tasse più onerose. Ridusse a un quarto la ricompensa prevista per coloro che denunciavano i trasgressori della legge Papia; fece distribuire al popolo quattrocento sesterzi a testa e fece assegnare ai senatori più nobili, ma decaduti, stipendi annui, ad alcuni fino a cinquecentomila sesterzi. Stabilì poi una distribuzione mensile di frumento gratuita per le coorti pretoriane. E invitato a firmare l’esecuzione della pena di morte di un condannato, com’era prassi, disse: «Come vorrei non sapere scrivere!». In quella fase salutava i cittadini d’ogni rango, ricordandone il nome a memoria. Al Senato che voleva rendergli grazie, rispose: «Quando lo avrò meritato». Fece assistere anche la plebe alle sue esercitazioni militari e spesso declamò in pubblico; recitò anche poesie, non solo nell’ambito della sua corte, ma anche a teatro, con tale godimento di tutti che per tale recitazione si decretò una festa di ringraziamento e alcuni di quei versi furono scritti in lettere d’oro e dedicati a Giove Capitolino.

SVETONIO, NERONE, 10

Coadiuvato dal prefetto al pretorio Burro e dalla magistrale tutela di Seneca Nerone si comportò come un buon principe: una politica favorevole al senato e un occhio di riguardo alla cultura greca, passione che poi sarebbe degenerata in maniera irrefrenabile e inaccettabile per il popolo romano. L’inizio della relazione con Poppea, che lo spinse poi a ripudiare la moglie Ottavia e allontanare la madre Agrippina, segnò l’inizio della sua spirale discendente. Il primo a venir eliminato fu il fratellastro Britannico nel 55, poi la madre Agrippina nel 59 e infine anche Ottavia venne fatta assassinare. Mandato via anche Seneca nel 58 (sarebbe stato poi costretto a suicidarsi insieme a Petronio e Lucano nel 65 dopo la scoperta della congiura dei Pisoni) e morto Burro in circostanze mai chiarite, sostituito con Tigellino, iniziò a manifestarsi tutto il suo amore per l’arte e la cultura greca a scapito del suo ruolo di imperatore. Fu proprio l’omicidio della madre che segnò l’inizio della sua politica demagogica a favore più del popolo che del senato, con grandi distribuzioni di frumento e denaro. Non solo, Nerone svalutò la moneta, dando più peso a quella argentea, creando un’economia ancora più favorevole al popolo piuttosto che ai grandi patrimoni dei senatori:

Ogni giorno venivano distribuite al popolo offerte d’ogni genere: ogni giorno uccelli, mille per ogni specie, per lo più commestibili, tessere frumentarie, vesti, oro, argento, pietre preziose, perle, quadri, schiavi, giumenti e ancora, animali domestici, da ultimo, navi, isole, poderi. […] Nei giochi gladiatori che diede in un anfiteatro di legno costruito in un anno nel Campo Marzio, non fece morire nessuno, neanche quelli condannati.

SVETONIO, NERONE, 11-12

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Il Quinquennium Neronis
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