«Ipazia nacque ad Alessandria dove fu allevata ed istruita. Poiché aveva più intelligenza del padre, non fu soddisfatta dalla sua conoscenza delle scienze matematiche e volle dedicarsi anche allo studio della filosofia. La donna era solita indossare il mantello del filosofo ed andare nel centro della città. Commentava pubblicamente Platone, Aristotele, o i lavori di qualche altro filosofo per tutti coloro che desiderassero ascoltarla. Oltre alla sua esperienza nell’insegnare riuscì a elevarsi al vertice della virtù civica. Fu giusta e casta e rimase sempre vergine. Lei era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò di lei, non fu capace di controllarsi e le mostrò apertamente la sua infatuazione. Alcuni narrano che Ipazia lo guarì dalla sua afflizione con l’aiuto della musica. Ma la storia della musica è inventata. In realtà lei raggruppò stracci che erano stati macchiati durante il suo periodo e li mostrò a lui come un segno della sua sporca discesa e disse, “Questo è ciò che tu ami, giovanotto, e non è bello!”. Alla brutta vista fu così colpito dalla vergogna e dallo stupore che esperimentò un cambiamento del cuore ed diventò un uomo migliore.»

(Damascio, Vita Isidori, 102)

Un mondo in cambiamento

Ipazia era figlia del filosofo alessandrino neoplatonico Teone, da cui prese l’amore per la filosofia, che divenne la disciplina che insegnava, insieme alla matematica. Infatti non era sposata, il che gli permise una certa libertà, seppure nel clima sempre più fortemente cristianizzato dell’Egitto tardoromano. Ipazia dunque, atteggiandosi come un filosofo, dispensava le sue conoscenze di matematica e filosofia; non solo le sue conoscenze erano vaste e approfondite, ma le descrizioni concordano nel ritenerla brava a parlare e moderata nelle azioni:

«Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.»

(Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica, VII, 15)

«[Ipazia] era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo.»

(Damascio, Vita Isidori, 102)

Ipazia era pertanto esperta di neoplatonismo, matematica e forse anche astronomia; un suo allievo, Sinesio, narra che Ipazia avrebbe perfezionato le teorie di Ipparco e Tolomeo, costruendo un astrolabio di più precisa fattura. Tuttavia ricostruire il suo pensiero filosofico e matematico, così come quello astronomico, è estremamente arduo, non essendoci pervenuta nessuna sua opera, ma solo testimonianze di altri.

Di sicuro riuscì a conquistare un ruolo di primo piano ad Alessandria, forse tenendo la cattedra di filosofia platonica del padre, basata sugli insegnamenti di Plotino; Ipazia non si accontentava di tramandare, ma era attiva nella ricerca e nella sperimentazione.

Gli insegnamenti della filosofa neoplatonica si svolgevano però in un clima sfavorevole, essendo stati promulgati nel 391-92 gli editti teodosiani (dopo il massacro di Tessalonica a opera dei goti, ordinato da Teodosio, quest’ultimo si era piegato alle richieste pubbliche di perdono di sant’Ambrogio e aveva promulgato leggi ancora più repressive contro il paganesimo, rendendo illegale qualsiasi forma di culto non cristiano e la mera contemplazione di statue pagane). Il vescovo di Alessandria Teofilo aveva chiesto all’imperatore che venissero eliminati gli antichi luoghi di culto pagani, tra cui il Serapeo (uno dei più grandi e sfarzosi templi del mondo antico, dedicato a Serapide), che venne distrutto, mentre il Cesareo (il maestoso tempio di Augusto) si salvò solo perché trasformato in cattedrale.

Quando divenne vescovo Cirillo, nel 412, il clima si fece ancora più aspro, mentre prendeva piede in città un gruppo di predicatori cristiani estremisti, chiamati parabolani. Cirillo perseguitò in ogni modo pagani ed ebrei, nonostante i vani tentativi di opporsi del prefetto di Alessandria Oreste, poiché in base alle legge teodosiane il clero era subordinato alla sola legge ecclesiastica. Non paghi, i parabolani tesero un agguato a Oreste, colpendolo con una pietra in testa, nonostante si professasse cristiano per salvarsi.

L’intervento degli alessandrini salvò Oreste, che si premurò di far arrestare il colpevole, Ammonio, che processò pubblicamente, secondo la legge romana, infischiandosene dei privilegi ecclesiastici; anzi, fu talmente duro nella tortura da ucciderlo. Cirillo, non contento del clima delirante in città, portò il corpo di Ammonio in una chiesa e loro rinominò Thaumasios, l’ “ammirevole”, martirizzandolo (Cirillo dopo la morte sarà nominato santo dalla chiesa ortodossa).

Morte di Ipazia

In questa situazione incandescente si consumò l’omicidio di Ipazia, nel 415, chiamata in causa nel conflitto tra Oreste e Cirillo, rea di fomentare coloro i quali andavano contro i principi cristiani e di rendere impossibile la riconciliazione tra prefetto e vescovo. Anche a lei fu teso un agguato dai parabolani, stavolta mortale:

«Ad Alessandria c’era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni.
Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell’andare ad una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della sua dignità straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più.
Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni di loro, perciò, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un’imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e poi l’assassinarono con delle tegole. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono. Questo affare non portò il minimo obbrobrio a Cirillo, e neanche alla chiesa di Alessandria. E certamente nulla può essere più lontano dallo spirito del cristianesimo che permettere massacri, violenze, ed azioni di quel genere. Questo accadde nel mese di marzo durante la quaresima, nel quarto anno dell’episcopato di Cirillo, sotto il decimo consolato di Onorio ed il sesto di Teodosio.»

(Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica, VII, 15)

«In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici. Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume. Ad eccezione di una volta in circostanze pericolose. E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua. […] Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi. Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno. Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città.»

(Giovanni di Nikiu, Cronaca, vita di Ipazia)

«Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione [il cristianesimo], passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, alcuni partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese perché c’era là una tale folla ed il motivo di tutto il clamore, gli fu detto dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia il filosofo e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo fu così colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse immaginare. Quando Ipazia uscì dalla sua casa, secondo il suo costume, una folla di uomini spietati e feroci che non temono né la punizione divina né la vendetta umana la attaccò e la tagliò a pezzi, commettendo così un atto oltraggioso e disonorevole contro il loro paese d’origine. L’Imperatore si adirò, e l’avrebbe vendicata se non fosse stato subornato da Aedesius. Così l’Imperatore ritirò la punizione sopra la sua testa e la sua famiglia tramite i suoi discendenti pagò il prezzo. La memoria di questi eventi ancora è vivida fra gli alessandrini.»

(Damascio, Vita Isidori, 102)

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