Il 28 febbraio del 509 a.C., poco dopo essere entrato in carica, moriva il primo console di Roma, Lucio Giunio Bruto, durante la battaglia della Selva Arsia, combattendo contro il re fuggitivo Tarquinio il Superbo. Quest’ultimo, insieme al lucumone di Chiusi Porsenna giunse nei pressi di Roma con l’esercito, per riprendersi ciò che considerava suo, già nel 508 a.C. I romani, in difficoltà, furono salvati da Orazio Coclite che da solo fermò l’avanzata nemica sul ponte Sublicio, mentre i romani lo abbattevano per impedire ai nemici di attraversare il Tevere:

«Trattenuti dal senso dell’onore due restarono con lui: si trattava di Spurio Larcio e Tito Erminio, entrambi nobili per la nascita e per le imprese compiute. Fu con loro che egli sostenne per qualche tempo la prima pericolosissima ondata di Etruschi e le fasi più accese dello scontro. Poi, quando rimase in piedi solo un pezzo di ponte e quelli che lo stavano demolendo gli urlavano di ripiegare, costrinse anche loro a mettersi in salvo.»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI, II, 10

Secondo Polibio Orazio sarebbe poi morto affogato a causa del peso dell’armatura, mentre secondo Livio si sarebbe salvato a nuoto.  Fu allora che un giovane nobile, Gaio Muzio Cordo decise di proporre al senato di uccidere Porsenna, che glielo concesse. Armato di pugnale arrivò nell’accampamento e attese la distribuzione della paga ai soldati. Quando però cercò di ucciderlo, sbagliò persona. Allora si diede alla fuga ma venne arrestato e portato davanti al tribunale del re. Lì però non si mostrò spaventato, anzi: disse che molti altri romani come lui sarebbero arrivati a tentare di ucciderlo, senza tregua, al che Porsenna minacciò di bruciarlo vivo.

Muzio reagì in modo inaspettato, terrorizzando il lucumone; mise infatti la mano destra sul fuoco e la fece bruciare senza fiatare, come giuramento e mostrando la dedizione imperterrita dei romani. Porsenna, rimasto sconvolto, liberò il giovane, che replicò ancora come fossero trecento coloro i quali avevano giurato di ucciderlo e che sarebbero riusciti nell’impresa. Rientrato a Roma, Muzio ottenne il cognomen di Scevola (il mancino), mentre Porsenna trattò la fine delle ostilità.

La supremazia di Roma

Tarquinio e suo figlio Sesto Tarquinio, fuggiti a Tusculum, governata dal dittatore Ottavio Mamilio (genero del Superbo) non si persero però d’animo e continuarono a meditare di riprendersi la città. Mamilio continuò ad aizzare i latini contro i romani, paventando il pericolo che rappresentavano quest’ultimi:

«Al timore di una nuova guerra latina si aggiungeva la notizia, abbastanza certa, che trenta città si erano strette in giuramento sotto l’impulso di Ottavio Mamilio. […] fu così che nella città scossa da molteplici ansietà si affacciò per la prima volta l’idea di creare un dittatore.»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI, II, 18

Nel 499 Mamilio prese l’iniziativa, durante il consolato di Tito Ebuzio Helva e Gaio Veturio Gemino Cicurino, ponendo sotto assedio Fidene e conquistando Crustumerio. Preneste defezionò dagli alleati, di cui faceva parte Roma (guardata con sospetto dai suoi stessi alleati per i molti simpatizzanti dei Tarquini ancora presenti in città), andando a fare parte della nuova Lega Latina, formata nella Selva Ferentina nel 498 a.C. da trenta città che volevano annullare il potere romano. I latini presero già nel 497 Corbium.

Entrambe le fazioni cercarono di accaparrarsi nuovi alleati tra etruschi, volsci, ernici e rutuli. Nel 496 a.C. la lega latina e una parte di romani che sostenevano i Tarquini si preparono a combattere con i quiriti. L’esercito latino ammontava a circa 40.000 uomini e 3.000 cavalieri, mentre Roma poteva mettere in campo 24.000 fanti (divisi in 4 legioni) e 3.000 cavalieri.I consoli Aulo Postumio Albo Regillense e Tito Verginio Tricosto Celiomontano si trovarono ad affrontare tra i nemici anche Tarquinio il Superbo e Sesto Tarquinio. Verginio decise di nominare Aulo Postumio dittatore per provvedere con più risolutezza alla guerra; metà dell’esercito fu posto tra Roma e Tuscolo, con una legione al comando di Postumio e l’altra di Verginio, mentre due stavano di riserva a Roma, sotto il comando di Tito Ebuzio Helva, nominato magister equitum e di Aulo Sempronio Atratino.

La battaglia

I latini, vista la scarsità dei nemici cominciarono a prepararsi all’attacco insieme ai volsci di Anzio, mentre Postumio temendo che altri volsci si unissero al nemico fece arrivare da Roma le forze rimanenti, che dispose tra la montagna e il lago Regillo (forse l’attuale zona di Monte Porzio Catone o Monte Compatri, nei Castelli Romani). Al centro dello schieramento della Lega Latina si pose Tito Tarquinio, figlio maggiore del Superbo, a sinistra suo fratello Sesto Tarquinio e a destra Mamilio. Tra i romani Tito Ebuzio comandava i legionari di fronte a Mamilio, Virginio quelli di fronte a Sesto Tarquinio e Postumio il centro dello schieramento. Lo scontro fu durissimo; i romani erano inferiori in numero, ma resistettero. Dopo uno scontro incerto il console Aulo Postumio guidò la carica della cavalleria romana:

«Mentre già i Romani in quella parte del fronte ripiegavano, Marco Valerio, fratello di Publicola, scorto il giovane Tarquinio che fieramente si metteva in mostra nella prima fila degli esuli, stimolato anche dalla gloria familiare, affinché alla sua gente, cui era toccato l’onore di aver cacciato i re, spettasse pure quello di averli uccisi, piantò gli sproni nel cavallo e mosse all’attacco di Tarquinio con la lancia in resta. Tarquinio di fronte all’assalto del nemico si ritirò fra le file dei suoi. Valerio mentre audacemente si gettava contro le linee dei fuorusciti fu assalito di fianco da un soldato nemico e trafitto, e proseguendo il cavallo la sua corsa senza rallentare neppure dopo la ferita del cavaliere, il Romano morente scivolò a terra sotto il peso delle armi. Quando il dittatore Postumio vide che era caduto un tale eroe, che gli esuli imbaldanziti avanzavano rapidamente, mentre i suoi demoralizzati cedevano, diede ordine alla sua coorte, composta di uomini scelti che egli teneva intorno a sé per difesa personale, di trattare come nemici quelli dei Romani che vedessero fuggire. Così spinti dalla nuova paura i Romani dalla fuga si volsero contro il nemico, e lo schieramento di battaglia fu ricostituito. Allora la coorte del dittatore iniziò per prima il combattimento; fresca di forze e di ardore assalì i fuorusciti stanchi facendone strage. A questo punto si accese un nuovo duello fra i capi: il condottiero dei Latini, quando vide la coorte degli esuli quasi sopraffatta dal dittatore romano, trascinò con sé in prima linea alcuni manipoli della riserva. Il legato Tito Erminio, avendoli visti avanzare in schiera serrata, e riconosciuto fra questi Mamilio che spiccava per la veste e per le armi, affrontò il capitano nemico con molto maggior impeto che il maestro della cavalleria poco prima, tanto che con un solo colpo uccise Mamilio trapassandogli il fianco, e colpito a sua volta da uno spiedo mentre stava spogliando il corpo del nemico, dopo essere stato riportato come vincitore negli accampamenti spirò fra le prime cure. Allora il dittatore corse presso i cavalieri, scongiurandoli di smontare da cavallo e di combattere a piedi, poiché la fanteria ormai era spossata. Obbedirono all’ordine: balzano giù da cavallo, volano nelle prime file e protendono i loro piccoli scudi davanti alle insegne. Subito i fanti riprendono animo, quando vedono i giovani della nobiltà dividere con loro il pericolo combattendo nello stesso modo. Allora finalmente i Latini furono ricacciati, e il loro esercito battuto cominciò a ripiegare. I cavalli furono ricondotti presso i cavalieri, perché potessero inseguire il nemico; la fanteria veniva dietro. A questo punto si dice che il dittatore, non trascurando alcun aiuto divino o umano, abbia fatto voto di consacrare un tempio a Castore, ed abbia promesso ricompense ai soldati che entrassero per primo e per secondo nel campo nemico; e così grande fu l’ardore dei Romani, che con lo stesso assalto con cui avevano sbaragliato il nemico conquistarono gli accampamenti. Così si svolse la battaglia del lago Regillo. Il dittatore e il maestro della cavalleria ritornarono in città con gli onori del trionfo.»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI, II, 20

L’intervento della cavalleria romana capovolse le sorti dello scontro, che vide i latini infine darsi alla fuga. Marco Valerio Voluso Massimo, fratello di Valerio Publicola, primo console di Roma con Lucio Bruto, si lanciò contro il giovane Tito Tarquinio ma venne ucciso. Tarquinio il Superbo attaccò Postumio ma fu ferito e portato in salvo dai suoi. Mamilio, ferito, ritornò a combattere. Ma Tito Erminio lo vide e lo uccise, ma ferito a sua volta, tornò tra i romani, dove spirò mentre veniva curato. Si sparse la voce che tra i romani, a guidare il contrattacco, fossero apparsi i Dioscuri Castore e Polluce, su due cavalli bianchi, forse un racconto in parte figlio del fatto che erano stati proprio i nobili romani che avevano capovolto la battaglia. Sarebbero stati poi Castore e Polluce a tornare di corsa a Roma ad annunciare la vittoria. Vinta la Lega Latina, Postumio ed Ebuzio rientrarono trionfanti a Roma. Il dittatore decise dunque di innalzare un tempio ai Dioscuri in segno di riconoscimento, nei pressi della fonte Giuturna (nel Foro, vicino al tempio delle Vestali).

Nel 493 a.C. il console Spurio Cassio Vecellino stipulò un accordo di pace, il Foedus Cassianum, che stabiliva un patto di alleanza tra pari con i latini (anche per placare l’insurrezione della plebe nel 494, con la secessione). Tale atto fu particolarmente lungimirante poiché quando i latini insorsero nel 340 a.C. e i romani vinsero la guerra latina (340 a.C.) la Lega fu sciolta e le città divennero parte della res publica romana: ogni città strinse un particolare patto con Roma, a cui riconosceva il primato politico.

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La battaglia del Lago Regillo
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