I romani inizialmente non facevano particolare affidamento sulla cavalleria, ma già durante il principato la struttura dei reparti ausiliari venne normalizzata, tra coorti di fanteria (pesante, leggera o arcieri o frombolieri), ali di cavalleria e coorti equitate (miste). Sia le coorti potevano essere quingenarie cioè di circa 500 uomini o miliariae, cioè di circa 800-1.000. Nel primo caso l’ala era formata da 16 turme di 30-32 uomini ciascuna, nel secondo da 24. Le turme erano divise a loro volta in tre decurie di 10 cavalieri ognuna comandata da un decurione. A comandare questi reparti c’erano cavalieri romani in veste di prefetti, la cui carriera venne regolamentata dall’imperatore Claudio.

Dalla repubblica all’impero

In seguito alle guerre sannitiche l’esercito romano era andato strutturandosi nella sua forma classica descritta da Polibio nel II secolo a.C., diviso in base al censo. I meno abbienti e più giovani formavano i veliti, armati alla leggera, con scudo rotondo, giavellotti e spada. Il grosso delle legioni era invece formato dalla fanteria pesante, divisa in hastati, principes triarii. A questi si aggiungevano i cavalieri romani e gli alleati italici, organizzati in modo simile, e di numero generalmente all’incirca equivalente, posizionati sulle ali. I più abbienti, raccolti nelle diciotto centurie più abbienti degli equites durante i comizi centuriati, combattevano a cavallo, e se non potevano permetterselo gli veniva dato un cavallo pubblico, equus publicus. Tuttavia il combattimento a cavallo non era il preferito dai romani:

«Anche le lance non erano di alcuna utilità, principalmente per due motivi: prima di tutto, essendo sottili e fragili, non erano minimamente in grado di raggiungere il bersaglio e prima che la punta provasse a conficcarsi in qualcosa, spesso si spezzava a causa della vibrazione generata dal movimento del cavallo; [in secondo luogo], poiché erano costruite senza il puntale inferiore, potevano colpire di punta solo la prima volta, poi si spezzavano e non erano più utilizzabili.»

Polibio, Storie, VI, 25, 5-6

In generale i romani non amavano combattere a cavallo e ciò si rifletteva nella struttura dell’esercito, fortemente incentrata sulle legioni di cittadini romani. I romani non conoscevano la staffa, arrivata in Europa solo attorno alla fine del VI secolo grazie agli avari, per cui la forza di una carica era molto debole e si preferiva usare i cavalli più per azioni di toccata e fuga e di avvolgimento, essendo i cavalli anche più piccoli di quelli odierni.

Nell’esercito romano imperiale c’erano anche molti reparti ausiliari, regolarizzati a partire dall’epoca di Augusto e la carriera per i comandanti da Claudio. Reclutati tra i peregrini delle province sottomesse, facevano parte degli auxilia, divisi in coorti e ale (reparti più piccoli delle legioni), a loro volta di 500 o 1.000 uomini. Esistevano anche coorti miste, chiamate equitate, di fanti e cavalieri. Oltre a queste nel II secolo nacquero nuove unità, come ale di catafratti, numeri (unità reclutate tra barbari e che combattevano alla maniera barbarica) e perfino su dromedario in oriente: la prima fu l’Ala I Ulpia dromedariorum miliaria, ossia di cavalieri su dromedario che agivano nelle aree desertiche e di stanza in Siria.

La tarda antichità

A partire da Adriano e specialmente dal III-IV secolo i romani cominciano a usare reparti di cavalleria completamente corazzati, sul modello partico / sasanide. Inizialmente hanno il nome di cataphracti, ma successivamente appaiano anche reparti, specialmente in oriente, chiamati clibanarii; sulla Notitia Dignitatum appaiono entrambi indifferentemente. Alcuni hanno supposto una differenza di armatura tra i due, altri una mera differenza linguistica, con catafratti usato in occidente e clibanari in oriente. Questo tipo di cavalleria comincerà a essere usato meno dall’impero d’oriente in seguito alla grave crisi causata dalle conquiste slave e arabe tra VII e VIII secolo, per poi ritornare in auge tra la fine del IX e l’XI, quando la dinastia macedone riconquistò buona parte dei territori persi.

Nel corso dei secoli l’impero romano si adattò a combattere popolazioni nomadi e a cavallo creando nuovi reparti di cavalleria, arruolando mauri (cavalleria leggera), illiri, catafratti e anche arcieri a cavallo. Già nel III secolo l’esercito romano era molto più composito ed adatto ad affrontare ogni tipo di nemico. Allo stesso tempo però i romani avevano sempre più bisogno di uomini (nell’impero ce ne erano troppi pochi) per cui furono costretti inizialmente a far stabilire barbari, poi a fare spedizioni punitive per prenderli oltre confine (specialmente a partire dall’epoca dei tetrarchi). In ogni caso la fanteria perse progressivamente importanza e l’esercito si rese molto più flessibile e organizzato in reparti più piccoli che potessero intervenire all’occorrenza, andando a formare il primo comitatus, prima informale sotto i Severi, che stabilirono la II Parthica ad Albano e raddoppiarono gli effettivi dei pretoriani con elementi a loro fedeli, poi stabile a partire da Gallieno, che accorpò anche molti reparti di cavalleria illirica e maura, affidati ad un magister equitum e pronti per accorrere rapidamente dove necessario.

L’esercito tardoantico mantiene, secondo gli studiosi, più o meno lo stesso numero di soldati dell’epoca dei Severi (inizio III secolo d.C.), ossia circa 425-600.000 soldati, divisi però in modo differente. Le antiche legioni vengono riorganizzate in reparti più piccoli, le antiche vexillationes, di circa 1.000 soldati, e formano le legioni comitatensi e palatine di movimento, mentre altre legioni restano nei grandi castra di frontiera e diventano stanziali, originando i limitanei, che mantengono forse la dimensione della legione originaria. A questi si aggiungono innumerevoli reparti ausiliari reclutati anche e soprattutto tra barbari (così come le legioni), reparti di cavalleria di ogni tipo e popolazioni barbariche accolte come foederati (alleati dell’impero). Ma sarà solo il disastro di Adrianopoli nel 378 a scombussolare la struttura dell’esercito.

Nel tardo impero romano, complice la crisi e i barbari, sempre più proprietari terrieri si dotarono di truppe private, i cosiddetti bucellarii (lett. “mangiatori di pane duro”, le bucellae), prefigurando la futura evoluzione militare feudale fatta di nobili che si dotavano di truppe a loro fedeli. Erano spesso armati a cavallo, con arco, lance e spade, come il classico soldato bizantino che formava il nerbo degli eserciti nel VI-VII secolo, mutuato in parte dalla concezione unna.

Nel caso dell’impero romano però continuavano a esistere reparti regolari, ma i bucellarii era spesso meglio equipaggiati, più preparati ad affrontare le minacce e capaci di servire sul territorio contro le scorrerie nemiche. Al tempo stesso potevano divenire una minaccia per lo stato centrale poiché un grande latifondista poteva opporsi alle richieste dell’imperatore o dei suoi funzionari. Queste truppe furono comunque usate a lungo alla stregua di mercenari anche dagli imperatori romani: si stima che Belisario ne utilizzò circa 7.000 nella campagna vandalica. La fine della proprietà terriera latifondista di enormi dimensioni anche in oriente in seguito alle conquiste arabe portarono al tramonto dei bucellarii, che si trasformarono in un semplice corpo militare; anzi, con l’istituzione dei temi furono raggruppati e inviati a formarne uno, il Boukellariōn, che forniva questo tipo di truppe all’impero bizantino.



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La cavalleria romana
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