Negli anni seguenti Adrianopoli Teodosio, che era succeduto a Valente, cercò di sconfiggere i goti, ma l’esiguità delle forze di cui disponeva e la mancata fedeltà delle nuove reclute barbare secondo la visione dell’imperatore (in alcuni casi i reparti erano in maggioranza barbarica e l’imperatore temeva per insurrezioni) portò Teodosio a firmare la pace, il 3 ottobre del 382, tra romani e goti. In cambio i goti avrebbero dovuto fornire contingenti all’esercito romano, con condizioni di pace favorevolissime, cosa mai avvenuta in precedenza. Teodosio si ritrova a dover affrontare altre minacce e usurpazioni, come quella di Eugenio, in cui nella battaglia finale del Frigido manda in prima linea i goti, che vengono in larga parte massacrati. Teodosio, che muore l’anno seguente, lascia l’impero ai figli Onorio, in occidente, e Arcadio, in oriente, rispettivamente sotto la tutela di Stilicone e Rufino, entrambi comandanti di origine barbarica.

Mentre in oriente si forma un partito antibarbarico che finisce per far pressioni su Alarico, a capo dei goti, e magister militum per Illyricum, verso occidente e cercare di rimuovere i barbari dalle cariche di comando (ma non come soldati), in occidente, a causa della penuria di uomini, si finisce per reclutare le orde che varcano i confini o i nemici sconfitti: spesso ormai vengono reclutati come interi popoli. Lo stesso Stilicone, nonostante vinca a più riprese con Alarico, non lo sconfigge mai definitivamente, forse perché crede di poter farlo tornare a combattere sotto le armi romane:

« Taccio di re Alarico con i suoi Goti, spesso vinto, spesso circondato, ma sempre lasciato andare. »

Orosio, Storia contro i Pagani, VII,37

Il 31 dicembre del 406 ebbe luogo la più massiccia migrazione di popoli all’interno dell’impero: complice il Reno ghiacciato e la frontiera in grossa parte sguarnita per combattere Alarico e affidata praticamente solo ai franchi, alleati dell’impero e alcuni reparti limitanei, numerosi popoli barbari passarono senza troppe difficoltà il fiume. Con la dipartita di Stilicone (che probabilmente aveva intenzione, insieme ad Alarico, di attaccare Arcadio e insediare in oriente i goti), mal gradito da Onorio, e aiutata dal disastro che si stava compiendo in Gallia (con ulteriori rivolte e i barbari che procedevano verso la Spagna), Alarico poté accampare ulteriori pretese sull’imperatore d’occidente, che vennero tuttavia respinte da Onorio e condussero al sacco di Roma del 410 d.C.

Il tracollo della parte occidentale

Negli anni seguenti i romani faranno sempre più affidamento su truppe barbare, non riuscendo a reclutare altri soldati e mantenerli, oltre a dare loro terre (in qualità di foederati: ad esempio i visigoti riceveranno l’Aquitania), che sottrarranno ancora più introiti alle casse dello stato. Infine, con la perdita dell’Africa a opera dei vandali, attorno al 440, la situazione diventerà ancora più critica e costringerà i romani d’occidente a fare praticamente solo affidamento a truppe barbare. Nonostante i tentativi di resistenza di Flavio Ezio e Maggiorano i romani persero gradualmente terreno; anche il fatto che comandanti barbari tenessero la carica di magister militum, come Ricimero e Gundobado, fece sì che l’autorità imperiale si indebolisse ulteriormente.

Uno degli ultimi imperatori fu Giulio Nepote, che era figlio di un magister militum dei tempi di Avito e nipote del Marcellino già comandante in Dalmazia; era anche imparentato con Leone, imperatore d’oriente, avendo sposato una nipote della moglie. Nel 468 divenne governatore della Dalmazia come suo zio; venne spedito poi da Leone a reclamare il trono di Glicerio, che non piaceva all’imperatore d’oriente, riuscendoci, nel 474. Infatti l’imperatore si arrese poco dopo lo sbarco di Nepote a Ostia. Quest’ultimo fu acclamato Augusto nel giugno del 474. Nepote, sebbene avesse riportato la Dalmazia all’occidente, nulla poté con i visigoti, a cui dovette cedere l’Alvernia; Sidonio Apollinare, famoso panegirista, originario del luogo, fu anche incarcerato. Anche la Spagna era ormai persa. L’imperatore si mostrò nel complesso incapace ad affrontare la situazione e fu così che Oreste, comandante dell’esercito imperiale, marciò su Ravenna per deporlo, mettendo sul trono il figlio Romolo Augustolo, il 28 agosto del 475. Nel frattempo Giulio Nepote, dopo che il 28 ottobre Oreste era entrato a Ravenna, si rifugiava in Dalmazia, dove suo zio era stato governatore e aveva molti contatti. Sarebbe poi morto lì nel 480.

Di fatto il potere era retto dal padre Oreste, nativo della Pannonia, che aveva prestato inizialmente servizio sotto Attila. Il senato tuttavia non riconobbe mai il nuovo imperatore, né lo fece l’imperatore d’oriente Zenone. Ma neanche un anno dopo le truppe barbare, sotto il comando di Odoacre, chiesero terre in Italia, così come era accaduto in Gallia un paio d’anni prima. Al rifiuto di Oreste, Odoacre si ribellò, e lo assediò a Ticinum (Pavia), uccidendolo poi nei pressi di Piacenza. Entrato poi a Ravenna, Romolo si arrese. Pare che Odoacre, ammirando la sua “giovinezza e bellezza”, gli salvò la vita, dandogli una rendita di 6.000 solidi l’anno e mandandolo in esilio nel Castellum Lucullanum, dove ora sorge Castel dell’Ovo, a Napoli. Si era conclusa la storia dell’impero romano d’occidente.

Le origini di Odoacre sono oscure; era forse figlio del principe sciro Edicone, personaggio al seguito di Attila. Tuttavia Eugippo, biografo di San Severino, parla di una sua forte povertà in gioventù, che si sarebbe recato dal santo, vestito di sole pelli, e invitato in Italia. Entrò dunque in servizio nell’esercito imperiale in Italia. L’origine, scira, rugia, o forse unna, è oscura tanto quanto la sua carriera: sotto Glicerio, nel 473-4, era comes domesticorum, capo della guardia imperiale.

Odoacre, acclamato rex gentium (di tutti i popoli), diversamente dai suoi predecessori, decise di non nominare un nuovo imperatore, ma di inviare le insegne imperiali a Costantinopoli, riconoscendo Zenone come unico imperatore romano, chiedendo per se il rango di patricius e magister militum. Zenone rispose freddamente, dicendo che il vero imperatore era Giulio Nepote, in Dalmazia, ma privatamente inviava lettere riconoscendolo patrizio. Quando Giulio Nepote morì nel 480, Odoacre rimase unico padrone del grosso della ex diocesi Italiciana. Odoacre comprò la Sicilia orientale dai vandali (poi prese anche la restante), mentre faceva la guerra nel Norico. Nonostante la fede ariana, come quasi tutti i barbari del tempo, mantenne buoni rapporti con la Chiesa di Roma e con il senato.

Zenone tuttavia aveva altri piani e problemi: gli ostrogoti, guidati da Teoderico, minacciavano i Balcani e Costantinopoli. Fu pertanto ben lieto di inviarli in Italia contro Odoacre, per metterli gli uni contro gli altri. L’invasione iniziò nel 489, e solo dopo diversi anni di guerra e battaglie, che videro quasi sempre vittorioso il re ostrogoto, Odoacre si rinchiuse a Ravenna. Dietro intercessione del vescovo Giovanni, i due vennero a patti, accettando di dividere il governo. Ma, durante un banchetto, per festeggiare, nel marzo del 493, Teoderico lo fece assassinare, restando unico padrone dell’Italia.

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La deposizione di Romolo Augustolo

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