Nei primi anni di Giustiniano scoppiò una violenta rivolta nell’ippodromo di Costantinopoli, che per poco non causò la fine del suo impero. La rivolta di Nika, ossia “vinci” (il grido di incoraggiamento rivolto agli aurighi), ebbe luogo tra l’11 e il 18 gennaio del 532.

Le fazioni si uniscono

«Debbo dire di altro fatto di Giustiniano, il quale non so indicare se dalla viziosa sua natura, o da timore e spavento nascesse. Questo fatto ebbe il suo principio da quella sedizione popolare, che si chiamò Nika, cioè Vinci. Piacque sì fortemente a Giustiniano favorire la fazione di quelli, che diconsi Veneti, che costoro potevano impunemente trucidare in pien meriggio, e in mezzo alla città, i loro avversari; e non solamente non temendo per ciò le pene dovute a tali delitti, ma standosi anzi sicuri di ottenere onori: d’onde venne che furonvi molti omicidii. A costoro era fatto lecito entrare violentemente nelle altrui case, rapire i tesori in esse nascosti, vendere alle persone la loro stessa salvezza e vita e se alcun magistrato cercasse frenarli, egli per quel fatto chiamava sopra il suo capo la sua rovina. E così accadde a certo personaggio, il quale era stato magistrato in Oriente: chi avendo voluto castigare, facendo loro dare la frusta, alcuni di coloro, che a queste novità applicavansi, onde meglio in appresso si conducessero, fu per tutta la città strascinato e frustato egli medesimo gravissimamente. Callinico poi prefetto della Cilicia, perché due Cilici, Paolo e Faustino di nome, entrambi omicidi, i quali lui avevano assaltato e tentato d’uccidere, punì a tenor delle leggi, fu pubblicamente crocifisso; e s’ebbe un tale supplizio in mercede della sua buona coscienza, e di avere osservata la legge. Da queste cose nacque che quelli, i quali erano dell’altra fazione, fuggironsi dai loro domicili, né trovarono ricovero presso alcuno. Così che cacciati da tutti come malfattori, incominciarono poi a darsi alla strada, ad assaltare i viandanti e a derubarli, e ad assassinarli: a segno tale che tutti i luoghi furono pieni di morti immature, di latrocini e di simili misfatti. Altre volte Giustiniano mutata affezione e parte, uccise gli uomini che prima aveva favoriti, e diede in potere delle leggi anche coloro, ai quali aveva per lo innanzi all’uso dei Barbari permesso di commettere nelle città ogni empio delitto. Ma per esporre in particolare queste cose né ho tempo conveniente, né forza; e quanto ne dissi potrà bastare per vedere tutti gli altri suoi misfatti.»

evagrio, storia ecclesiastica, iv, 31

L’11 gennaio, al grido di Nika! Nika!, il pubblico del circo, che era situato affianco al palazzo imperiale, diede il via alla ribellione. Negli anni precedenti c’erano stati vari avvenimenti che avevano minato la solidità imperiale: i terremoti del 526 e 528 che avevano distrutto Antiochia e Laodicea, la mancanza di denaro (cui seguivano le vessazioni del prefetto al pretorio Giovanni di Cappadocia):

«[Giovanni di Cappadocia]…, ignorantissimo affatto delle arti liberali e privo d’ogni cultura dello spirito, non avea riportato dalle scuole altro profitto che quello di malamente scrivere; la gagliardia però del corpo, il più robusto di quanti mai a nostra saputa esistessero, la scaltrezza nel cogliere gli avvantaggi dei’tempi, e l’attitudine agli scabrosi maneggi supplivano in lui il difetto della dottrina. Questi pregj tuttavia non bastavano a far dimenticare gli enormissimi suoi vizj; imperciocché iniquo e malfacente di natura, senza timore alcuno del Nume o risguardo per gli uomini, riputava un vero niente la costoro vita e la rovina della città. Divenuto in cotal guisa possessore di molte ricchezze, e nato fatto per ammassarne comunque e profonderle, contaminò sua vita d’ogni maniera di stravizzi, scudo intemperantissimo in ispecie nel bere e nel mangiare al che poscia con provocato recere soccorreva; tale si era perfettamente Giovanni.»

Procopio, La Guerra Persiana, I,24

A questi problemi finanziari si aggiungevano le questioni teologiche, con l’impero che cercava di dare una dottrina cristiana condivisa, ricomponendo le questioni d’attrito con i monofisiti, che riconoscevano la sola natura divina di Cristo. Infine, ma non ultimo, Triboniano, quaestor sacri palatii e redattore del Corpus Iuris Civilis, vendeva le cause al miglior offerente, causando il malcontento. Giustiniano doveva poi vedersela con le due fazioni dei verdi e degli azzurri, rivali acerrimi nell’ippodromo. Cercando di essere imparziale (i verdi rappresentavano il partito aristocratico, gli azzurri il popolo), decise di mandare a morte alcuni estremisti di entrambe le fazioni, inimicandosele tutte e due.

Fu così che l’11 gennaio, entrato l’imperatore nel Circo per seguire le corse, anziché sfidarsi, verdi e azzurri si coalizzarono e al grido di Nika! Nika! si lanciarono contro i soldati di guardia, lanciando poi la propria ira verso gli edifici, come il senato, la prefettura e la Basilica di Santa Sofia, liberando perfino i prigioneri dalle carceri.

Repressione

Giustiniano dovette fuggire insieme alla moglie Teodora e fu proprio quest’ultima a farlo desistere dall’abbandonare Costantinopoli: infatti dopo che l’imperatore si era presentato di nuovo nell’ippodromo il 18 gennaio, dopo una settimana di violenze e saccheggi, per fare ammenda, il popolo si era ringalluzzito ancora di più, vedendolo debole. La folla iniziò a chiamarlo asino e lo costrinse a fuggire nuovamente, issando sul palco imperiale un tale Ipazio, nipote dell’imperatore Anastasio. Fu allora che Teodora disse di preferire la morte e e convinse Giustiniano a combattere, dicendogli che il “potere è uno splendido sudario”. L’imperatore diede allora l’ordine a Belisario a comando dei goti e Mundo a capo degli Eruli di sprangare le vie di fuga del Circo e poi fare irruzione. Il piano riuscì e si trasformò in una carneficina, ma il trono fu salvo. Racconta Procopio:

«Quando Ipazio raggiunse l’Ippodromo, […] si mise sul trono imperiale da cui l’imperatore solitamente osserva le gare ippiche ed atletiche. Mundo uscì dal Palazzo tramite la porta che […] è chiamata la Chiocciola. Belisario nel frattempo cominciò inizialmente ad andare diritto verso Ipazio stesso ed il trono imperiale, quando, però, raggiunse l’edificio contiguo in cui […] risiede un corpo di guardia, cominciò a gridare ai soldati comandando loro di aprirgli la porta il più rapidamente possibile, affinché potesse andare contro il tiranno. Ma […] finsero di non sentire e così lo lasciarono fuori. Pertanto Belisario ritornò dall’imperatore e dichiarò che […] i soldati che custodivano il Palazzo […] erano in rivolta contro di lui. L’imperatore quindi gli comandò d’andare alla cosiddetta Porta di Bronzo ed ai propilei che si trovano là. Così Belisario, […] attraversando luoghi coperti dalle rovine e costruzioni semi-bruciate, arrivò all’Ippodromo. Quando raggiunse il Portico degli Azzurri […], decise per prima cosa d’avanzare contro Ipazio stesso; ma poiché c’era una porticina là che era stata chiusa ed era custodita dai soldati di Ipazio che erano all’interno, temette che la folla piombasse su di lui mentre stava lottando in uno spazio stretto, e dopo avere distrutto sia lui sia tutti i suoi uomini, procedesse con minor difficoltà e più sicurezza contro l’imperatore. Decise, quindi, di andare contro la […] gran folla che s’era ammassata in gran disordine: […] avendo comandato agli altri di fare lo stesso, gridando si scagliò contro di quelli. Il popolino, […] alla vista dei soldati corazzati che avevano una gran reputazione di coraggio e d’esperienza in guerra, […] batté in ritirata. […] Mundo […] era desideroso di associarsi alla lotta[…]; […] immediatamente entrò nell’Ippodromo attraverso l’entrata che è chiamata la Porta della Morte. Allora effettivamente i partigiani di Ipazio furono assaliti da entrambi i lati con forza ed annientati. Quando la disfatta fu completa e già c’era stato un grande massacro di popolani, Boraide e Giusto, nipoti dell’imperatore Giustiniano, […] trascinarono Ipazio giù dal trono e, portatolo dentro, lo consegnarono all’imperatore insieme a Pompeo. Quel giorno tra i popolani morirono più di trentamila persone. L’imperatore ordinò che i due prigionieri fossero messi sotto stretta sorveglianza. […] Entrambi furono uccisi il giorno seguente dai soldati che gettarono i loro corpi in mare. […] Questa fu la conclusione dell’insurrezione a Bisanzio.»

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La rivolta di Nika
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