Il padre di Adriano morì quando aveva solo dieci anni; gli fu dato quindi come tutore proprio il futuro imperatore Traiano. Nel 100 Adriano sposò Vibia Sabina, pronipote dell’imperatore. Poi seguì tutto il cursus honorum: tribuno militare, questore, tribuno della plebe, pretore, legato di legione, console, e infine governatore di Siria proprio nel 117, quando Traiano morì. Alla morte dell’imperatore ispanico Adriano non era dunque solo uno dei parenti più prossimi e papabili, ma si trovava anche non lontano. Fu Plotina, moglie di Traiano, che volle adottare Adriano; Cassio Dione affermava un secolo dopo che il padre, governatore proprio di Cilicia (Traiano morì a Selinunte), Marco Cassio Aproniano, gli riferì che Plotina imitò la voce di Traiano morente, affermando di adottare Adriano, che dunque l’imperatore non avrebbe voluto come suo successore.

L’aiuto di un’imperatrice

Inoltre Plotina firmò una lettera, falsificando la firma di Traiano, in cui diceva di adottare Adriano. Ma chi avrebbe voluto Traiano? Di sicuro non aveva lasciato disposizioni né tenuto in considerazione la faccenda. Che volesse rimettere al senato, dopo la sua morte, la decisione? Sarebbe stato realmente un optimus princeps.

«Poté avvalersi pure del favore di Plotina, grazie all’interessamento della quale egli fu inoltre nominato legato al tempo della spedizione contro i Parti […] Designato console per la seconda volta grazie all’appoggio di Plotina, ottenne con ciò il sicuro preannunzio dell’adozione. Una voce molto diffusa diceva che, all’epoca in cui era di casa a corte, egli avrebbe corrotto i liberti di Traiano, e avrebbe circuito i giovani favoriti dell’imperatore, in molte occasioni anche abusando di loro. Il 9 di agosto, mentre era governatore in Siria, ricevette la lettera che gli comunicava ufficialmente l’adozione, e questa data volle che fosse celebrata quale anniversario di quell’avvenimento. L’11 dello stesso mese ricevette la notizia della morte di Traiano, e questo giorno stabilì che dovesse essere solennizzato come anniversario della sua accessione al trono. Era invero opinione diffusa che Traiano avesse avuto in animo di lasciare come successore non Adriano, ma Nerazio Prisco, avendo in questo l’approvazione di molti suoi amici, tanto che un giorno ebbe a dire a Prisco: «Affido a te le province, nel caso mi dovesse succedere una qualche disgrazia». Molti poi dicono che la reale intenzione di Traiano fosse – sull’esempio di Alessandro il Macedone – di morire senza nominare un successore, altri soggiungono che egli si sarebbe proposto di inviare al senato un messaggio ufficiale per richiedere che, se gli fosse accaduto qualcosa, fosse tale consesso a dare un principe allo Stato romano, aggiungendo soltanto i nomi tra i quali lo stesso senato avrebbe scelto il migliore. Né manca un’altra versione – che fu messa in giro da taluni – secondo la quale Adriano avrebbe ricevuto l’adozione quando Traiano era già morto, in grazia di un’abile manovra di Plotina, consistente nella sostituzione di un’altra persona fatta parlare con voce flebile in luogo di Traiano.»

Historia Augusta, Adriano, 4, 1-10

Nonostante tutto l’11 agosto del 117 Adriano fu acclamato imperatore. La politica del princeps fu subito quella di abbandonare le province che non potevano essere mantenute, seguendo i consigli di Augusto:

«Ottenuto il potere, subito si orientò secondo la primitiva politica imperiale adoperandosi per il mantenimento della pace in tutto il mondo. Infatti i popoli che Traiano aveva sottomesso stavano sollevandosi: i Mauri compivano atti provocatori, i Sarmati erano all’offensiva, i Britanni non era ormai più possibile tenerli sottomessi all’autorità di Roma, l’Egitto era in preda alle ribellioni, la Libia e la Palestina, infine, erano animate da spiriti ribelli. Per questo egli abbandonò tutti i territori al di là dei Tigri e dell’Eufrate seguendo, come diceva, l’esempio di Catone, che proclamò che la Macedonia dovesse essere indipendente, dal momento che non era possibile difenderla. E poiché vedeva che quel Partamasiri che Traiano aveva creato re dei Parti aveva scarsa autorità su quel popolo, lo mise a capo di popolazioni limitrofe.»

«Frattanto abbandonò molte province conquistate da Traiano e, contrariamente ai voti di tutti, distrusse il teatro che il predecessore aveva costruito nel Campo Marzio. E questi provvedimenti apparivano ancor più odiosi, in quanto Adriano tutto ciò che vedeva risultare impopolare, voleva farlo passare come esecuzione di ordini comunicatigli in segreto da Traiano.»

Historia Augusta, Adriano, 5, 1-4; 9, 1-2

Adriano e il senato

«Indirizzando al senato una lettera accuratamente riguardosa, chiese e, col consenso generale, ottenne, che fossero concessi onori divini a Traiano, facendo sì che i senatori, di loro stessa iniziativa, decretassero per Traiano anche molte onoranze che Adriano non aveva richiesto. Sempre scrivendo al senato, si scusò del fatto che non aveva lasciato ad esso la prerogativa di sancire la sua accessione al trono, spiegando che era stato acclamato imperatore dai soldati senza il minimo indugio, perché lo Stato non poteva rimanere senza un capo. Avendogli poi il senato decretato il trionfo, che spettava a Traiano, egli lo rifiutò, e sul carro trionfale fece trasportare l’immagine di Traiano, affinché quell’ottimo principe non venisse privato, neppure dopo la morte, degli onori del trionfo. Rifiutò l’appellativo di «padre della patria» che gli era stato offerto sin dal primo momento, e un’altra volta successivamente, ricordando che Augusto non aveva ricevuto se non dopo molti anni questo titolo.»

«Vietò che i servi fossero messi a morte dai padroni e ordinò che, ove lo meritassero, fossero condannati dai giudici. Proibì di vendere schiavi o ancelle a lenoni o maestri di gladiatori senza produrne giustificato motivo. Ordinò che coloro che avevano dissipato le proprie sostanze, se legalmente responsabili, venissero frustati nell’anfiteatro e poi lasciati andare. Soppresse le case di pena a lavori forzati sia per gli schiavi che per i liberi. Nei bagni costituì due sezioni distinte per i due sessi. Stabilì che, se un padrone veniva ucciso in casa sua, non fossero sottoposti ad interrogatorio tutti i servi, ma quelli che, per essersi trovati nelle vicinanze, potevano essersi accorti del fatto.»

Historia Augusta, Adriano, 6, 1-4; 18, 7-11

Adriano invitò Lucio Salvio Giuliano, consolare e giurista, a raccogliere gli editti dei pretori, formando un primo corpus legislativo romano. Le iniziative che toglievano potere ai padroni nei confronti degli schiavi, che non potevano più condannare senza un processo, né vendere liberamente come gladiatori, uniti ai dubbi di molti senatori sulla successione (restii alle politiche meno espansionistiche), portò ad alcuni complotti, che Adriano risolse mandando a morte quattro consolari, tra cui Lusio Quieto, consolare e comandante della cavalleria maura sotto Traiano e uno dei fautori delle sue vittorie militari, già nel 118, condannati in absentia:

«Riuscì a sfuggire ad un complotto che Nigrino – che pure Adriano aveva designato come proprio successore – aveva ordito, con la complicità di Lusio e di molti altri, per assassinarlo mentre stava compiendo un sacrifìcio. A motivo di esso, per ordine del senato ma contro il volere di Adriano (come dice egli stesso nella sua Autobiografia), furono soppressi Palma a Terracina, Celso a Baia, Nigrino a Faenza e Lusio mentre si trovava in viaggio. Allora Adriano, per cancellare la pessima fama che si era fatto per aver permesso che in una sola volta fossero messi a morte quattro consolari, si recò immediatamente a Roma, dopo aver affidato il governo della Dacia a Turbone, insignito – perché fosse accresciuta la sua autorità – del rango proprio della prefettura d’Egitto; e, onde far tacere le voci negative che circolavano su di lui, appena arrivato concesse al popolo un congiario doppio, dopo che già, quando era ancora lontano, aveva fatto distribuire a ciascun cittadino tre aurei. Volle anche scusarsi in senato di quanto era avvenuto, e giurò che mai avrebbe in futuro punito un senatore se non dopo un voto espresso dal senato stesso.»

Historia Augusta, Adriano, 7, 1-4

Adriano cercò di togliersi di dosso l’immagine di imperatore anti-senatorio, senza tuttavia riuscirci del tutto; promise anche non avrebbe mai più reso alcun danno a un senatore, ma nel 137 fece uccidere il cognato Lucio Giulio Urso Serviano e il nipote Fusco, rei di aver ordito una congiura nei confronti del principe adottato, Lucio Elio Cesare. Inoltre il rapporto col senato venne incrinato dalla divisione in quattro zone dell’Italia, affidata a quattro consolari, che ne amministravano la giustizia, sottraendola di fatto ai senatori.

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La successione di Traiano
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