Dopo la fine della repubblica e l’instaurazione del PrincipatoAugusto si dotò di nove coorti di pretoriani, distribuite però in varie città d’Italia. A Roma stavano le soli coorte urbane e i vigiles, creati dall’imperatore. Fu Tiberio il primo a stabilire in modo permanente delle truppe a lui fedele nei pressi dell’Urbe, accorpando le nove coorti di pretoriani e stabilendole nei castra praetoria.

Tuttavia la vera guardia privata del corpo dell’imperatore era formata da barbari, i germani corporis custodes, che affiancavano i pretoriani. Tra loro specialmente batavi, una tribù che viveva negli attuali Paesi Bassi e che aveva stretto un patto di fedeltà con Roma. Svetonio narra che Caligola per primo reclutò alcuni traci:

«Mal sopportava la madre che disapprovava e rimproverava con molta severità quanto egli facesse o dicesse, e in un primo tempo cercò di renderla impopolare, mostrando per finta l’intenzione di abdicare al comando e di ritirarsi a Rodi, poi la privò di tutti gli onori, di ogni potere, le tolse la scorta personale di soldati germanici e la fece allontanare dalla sua presenza e poi anche dalla reggia.»

SVETONIO, NERONE, 34

Nerone sdoppiò perfino la guardia, assegnandone una parte alla madre Agrippina. Di sicuro la convivenza di questi barbari con la popolazione romana non era sempre facile: Tacito racconta come gli ausiliari batavi di Vitellio, al loro ingresso a Roma, non seppero contenere la folla e usarono le loro lunghe lance, uccidendo alcuni cittadini. La guardia venne poi sciolta da Traiano e riformata come corpo ufficiale e non più privato in equites singulares, con elementi tratti tra i migliori reparti ausiliari.

Quest’ultimi erano alloggiati in un castra nel luogo dove oggi sorge la basilica di San Giovanni. Proprio l’accampamento, ormai inutile dopo lo scioglimento anche dei pretoriani dopo Costantino, funse da fondamenta per una delle prime basiliche di #Roma.⠀

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Un corpo d’élite?

pretoriani erano un corpo scelto, nato sotto la repubblica e arruolato saltuariamente dal comandante di turno tra i soldati che componevano le legioni che lo seguivano, specialmente a partire dal III secolo a.C. Cesare utilizzò la legio Decima come sua fedele, alla stregua di guardia pretoriana, mentre Augusto le diede la sua struttura definitiva di nove coorti. Tiberio le spostò, dietro consiglio del prefetto al pretorio Seiano, nei nuovi castra praetoria tra il Viminale e l’Esquilino. Le coorti erano comandate da due prefetti al pretorio e ogni coorte aveva al comando un tribuno (mentre nelle legioni un tribuno comandava forse due coorti). Il numero di nove coorti era significativo poiché significava poco meno di una legione, dando l’apparenza che non ci fossero truppe in Italia. Sotto la dinastia giulio-claudia la prefettura al pretorio divenne l’apice della carriera equestre, divenendo poi nei secoli una delle figure più importanti in assoluto.

«In tutta Italia Tiberio dispose qua e là distaccamenti militari più numerosi di prima. A Roma costituì una caserma in cui venissero alloggiate le coorti pretoriane, che fino a quel momento non avevano sede fissa ed erano sparse qua e là in diversi alloggiamenti.»

SVETONIO, TIBERIO, 37

La guardia pretoriana inoltre, in onore di Tiberio, ottenne il simbolo dello scorpione (suo segno zodiacale). La loro paga era superiore a quella della legione, avevano una ferma di soli 16 anni (contro i 20 dei legionari) e, perlomeno nei primi due secoli dopo Cristo, raramente si allontanavano da Roma (mentre nel III secolo divennero truppe che seguivano l’imperatore). La paga era stata fissata da Augusto a 750 denari annui, il triplo delle legioni. Con Domiziano era arrivata a 1.000, per salire a 1.500 con Settimio Severo e 2.500 con Caracalla, senza contare i numerosi donativi che ricevevano saltuariamente e all’elezione di un nuovo principe (emblematica è la vendita della porpora a Didio Giuliano):

«Non c’era rimedio se non entrare nell’esercito a condizioni ben chiare: che ciascuno prendesse un denario al giorno, che il servizio avesse termine dopo sedici anni e non si fosse tenuti sotto le armi ancora, ma esser pagati sùbito, al campo. Le coorti dei pretoriani percepivano due denari a testa e dopo sedici anni se ne tornavano a casa; affrontavano forse pericoli più gravi? lunge da lui denigrare le milizie urbane, ma erano loro a vivere accanto a genti feroci e dalle tende si scorgeva il nemico.»

TACITO, ANNALI, I, 17

Il reclutamento resterà a lungo in gran parte fatto in Italia, sebbene già al tempo di Marco Aurelio è noto un prefetto, Tito Flavio Costante, di chiare origini batave: la sua lapide infatti riporta una dedica alla dea germanica Vagdavercustis. Il corpo venne sciolto a più riprese: Vitellio raddoppiò gli effettivi per coorte portandole a un totale di 10, come una legione, Vespasiano ripristinò i numeri precedenti (Domiziano riportò le coorti a 10), ma la più famosa epurazione fu quella voluta da Settimio Severo, per aver appoggiato Didio Giuliano, reo di aver fatto loro un cospicuo donativo e rappresentato dall’imperatore africano (e dalla storiografia da allora in poi) come “compratore” della porpora imperiale all’asta, dimenticando che pochi anni prima Marco Aurelio aveva donato alla sua elezione 20.000 sesterzi contro i 30.000 di Giuliano (ma nel frattempo c’era stata anche una forte svalutazione economica):

«Giunto a Roma, Severo ordinò che i pretoriani gli andassero incontro indossando solo la tunica. E così inermi li convocò presso il palco, dopo aver dislocato tutt’intorno soldati armati. Poi, entrato in Roma, sempre armato e scortato da soldati armati, salì al Campidoglio. Di là, con lo stesso apparato, si recò a Palazzo, preceduto dalle insegne che aveva tolto ai pretoriani, tenute con le punte non erette, ma rivolte verso il basso. Quindi, per tutta la città, i soldati si installarono nei templi, nei portici, nei palazzi del Palatino come se fossero alberghi, e l’ingresso di Severo risultò quindi odioso e spaventevole, ché i soldati facevano razzia di tutto senza pagare, minacciando di mettere a sacco l’intera città. Il giorno successivo si recò in senato, scortato non solo da soldati, ma anche da una schiera di amici armati. In quel consesso diede ragione della sua iniziativa di assumere il potere, e addusse a giustificazione il fatto che Giuliano aveva mandato per farlo uccidere dei sicari noti per aver già ucciso dei generali. Fece inoltre promulgare un decreto senatorio in base al quale non fosse consentito all’imperatore mettere a morte un senatore, senza aver consultato il senato stesso. Ma mentre si trovava ancora nella curia, i soldati tumultuando richiesero al senato diecimila sesterzi a testa, appellandosi all’esempio di quelli che avevano scortato in Roma Ottaviano Augusto, e avevano ricevuto appunto tale somma. E, dopo aver tentato di metterli a tacere senza riuscirvi, Severo poté tuttavia farli ritirare placandoli con la concessione di un donativo. Poi rese all’immagine di Pertinace onori funebri di rango censorio, e lo consacrò dio, decretandogli un flamine e una confraternita di sacerdoti Elviani – quelli che prima erano stati i Marciani. Volle pur egli essere chiamato Pertinace, anche se in seguito decise di deporre questo nome, considerandolo di cattivo augurio. Quindi pagò tutti i debiti degli amici.»

HISTORIA AUGUSTA, SETTIMIO SEVERO, 6,11 -7,9

Apogeo e fine

Nel corso del III secolo i pretoriani, non più un corpo di privilegiati italici quasi sempre a Roma ma formato dai migliori soldati danubiani, diventano un corpo d’élite al seguito dell’imperatore nelle sue numerose campagne in difesa dell’impero. Il loro peso diventa sempre maggiore, tanto da essere in grado di assassinare imperatori e porre individui di loro gradimento sul trono imperiale, talvolta anche prefetti al pretorio in persona (come nel caso di Filippo l’Arabo).

Con la tetrarchia si tentò di ridurre il peso dei militari suddividendo cariche civili e militari e dando nuovi compiti civili al prefetto al pretorio (ora aumentato in numero, addetto a seguire le varie diocesi), ma la fine si ebbe solo con Costantino (anche per vendetta contro i pretoriani che avevano difeso strenuamente Massenzio; quest’ultimo si presentava come l’erede del Principato antico, mentre Costantino poi virerà verso oriente edificando Costantinopoli, abbracciando il cristianesimo e imponendo una certa orientalizzazione e grecizzazione dello stato) e la stabilizzazione di nuovi reparti tardoantichi.

Vennero infatti istituite le scholae palatinae. Altri corpi, in parte già sorti nel III secolo, si andarono ad affiancare nella difesa dell’imperatore e formano reparti speciali, come i domestici (tanto da avere un comes domesticorum a comandarli, una delle più importanti cariche tardoantiche) e le scholae (come il candidatus, in realtà contrariamente al nome che ricorda il bianco dalla tunica tipicamente rossa e gli excubitores).

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Le coorti pretoriane – La guardia dell’imperatore
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