Antonino Pio spirò a settantacinque anni: venne ricordato come imperatore giusto e buono e la sua epoca come quella d’oro dell’impero. Marco Aurelio assunse tutti i poteri e anche il pontificato massimo nonostante si mostrasse titubante e molto rispettoso del senato. Sebbene Marco fosse l’unico imperatore, volle che il senato desse il titolo di Augustus anche a Lucio Vero: per la prima volta c’era una vera e propria collaborazione di due imperatori, anche se Marco Aurelio aveva un’influenza e un’autorità nettamente maggiore. L’unico titolo che aveva soltanto Marco era il pontificato massimo, per il resto ci si comportava come una vera e propria diarchia: anche i documenti ufficiali riportavano i nomi dei due imperatori. Marco inizialmente si dedicò alla cura dello stato, comportandosi nella maniera più giusta possibile. Il regno dell’imperatore filosofo sarebbe stato però devastato da due minacce gravissime: la peste antonina e la guerra, prima contro i parti e poi contro i quadi e i marcomanni.

Una guerra difficile

Nello stesso periodo in cui Lucio Vero tornava trionfante dall’oriente, dove aveva vinto i parti insieme ad Avidio Cassio (ma portando indietro la peste antonina), quadi e marcomanni si affacciarono sulla frontiera danubiana, cominciando a provocare disordini; stavolta Marco decise di intervenire personalmente e – forse non fidandosi del fratellastro – portare con sè Lucio. Poco dopo, nel 169, mentre Vero tornava da Aquileia a Roma, morì; le cause della sua morte non furono chiarite se non che subì a forse un colpo apoplettico. Gli storici antichi favoleggiavano su un presunto mandante per il suo presunto omicidio, ovvero di Faustina minore, con cui avrebbe avuto una relazione, vendicandosi del fatto che Vero avrebbe rivelato alla moglie Lucilla della sua relazione con la madre, moglie di Marco Aurelio. Altri dicevano addirittura che fosse stato Marco ad avvelenarlo; in ogni caso i suoi resti furono posti nel mausoleo di Adriano, insieme a quelli del padre Lucio Elio Cesare:

«Quando scoppiò la guerra germanica – poiché Marco non intendeva mandarvi Lucio senza accompagnarlo, e neppure, per via della sua dissolutezza, lasciarlo a Roma – i due principi partirono entrambi e giunsero ad Aquileia, compiendo poi la traversata delle Alpi, contro i desideri di Lucio, che in quella città non aveva fatto altro che scarrozzare e banchettare, mentre Marco si era occupato della preparazione di tutti i piani strategici. Di questa guerra – talune cose furono opera degli inviati dei barbari che richiedevano la pace, talune altre dei nostri generali – abbiamo già ampiamente trattato nel corso della vita di Marco. Conclusa poi la guerra in Pannonia, ritornarono tra le insistenze di Vero ad Aquileia, e poiché questi sentiva la nostalgia dei divertimenti della capitale, si affrettarono a rientrare a Roma. Ma non lontano da Altino, mentre era in carrozza, Lucio fu colto all’improvviso da un colpo apoplettico: depostolo fuori dal veicolo, gli praticarono un salasso e lo trasportarono ad Altino, dove morì, dopo essere rimasto in vita tre giorni privo di parola.»

«Infine i due imperatori partirono in tenuta da guerra, mentre i Vittuali e i Marcomanni provocavano disordini ovunque, e anche altri popoli, che erano fuggiti sotto la pressione dei barbari provenienti dal nord, erano in procinto di entrare in guerra se non fossero stati accolti entro i confini dell’impero. Né questa partenza e la successiva marcia fino ad Aquileia mancarono di rivestire una notevole importanza strategica. Infatti la maggior parte dei re si ritirarono con i loro popoli, e uccisero i promotori della ribellione. I Quadi poi, che avevano perduto il loro re, affermarono che non avrebbero riconosciuto il successore designato, prima che la sua elezione avesse ricevuto il beneplacito dei nostri imperatori. Lucio tuttavia, sebbene la maggior parte dei ribelli mandassero dei messi ai legati imperiali a chiedere il perdono per la loro insurrezione, non era entusiasta della spedizione; e in effetti egli, prendendo a motivo la morte del prefetto del pretorio Furio Vittorino, assieme al quale era andata perduta una parte dell’esercito, esprimeva l’opinione che si dovesse ritornare; Marco invece, ritenendo che i barbari stessero simulando – sia quanto alla loro presunta fuga, sia in tutto il loro modo di comportarsi, volto a dar l’impressione che la situazione militare fosse ormai priva di pericoli – allo scopo di liberarsi dalla pressione schiacciante di un tale spiegamento di forze, giudicava che fosse necessario continuare a controllarli da vicino. Infine, valicate le Alpi, avanzarono ulteriormente, e presero tutte le misure atte alla difesa dell’Italia e dell’Illirico. Si decise però, per le insistenze dell’interessato, che Lucio, previo l’invio di una lettera di comunicazione al senato, ritornasse a Roma. E per via, dopo che si erano messi in viaggio, Lucio morì per un colpo apoplettico mentre sedeva in carrozza col fratello.»

Historia Augusta, Lucio Vero, 9, 7-11; Marco Aurelio, 14, 1-8

I barbari avevano cominciato a premere lungo i confini del Reno e del Danubio, pressati dal altre popolazioni germaniche orientali e settentrionali. I catti avevano invaso la Germania nel 162 ma erano stati respinti; nel 166 i marcomanni attraversarono il Danubio. Una coalizione di popolazioni barbari composta da quadi, marcomanni, sarmati, iazigi e altri attaccarono la Pannonia alla ricerca di terre e sicurezze. La frontiera all’epoca era insicura per via delle numerose vexillationes inviate in oriente per la guerra partica e la peste antonina. 

«Tale fu il panico suscitato dalla guerra contro i Marcomanni, che Antonino fece venire sacerdoti da ogni parte, celebrò riti di origine straniera, purificò Roma con ogni sorta di sacrifici espiatori; e avendo rinviato la partenza per la guerra poté così celebrare anche i lectisternia secondo il rito romano per sette giorni. Vi fu peraltro una pestilenza di tale virulenza, che per portar via i cadaveri si doveva ricorrere a carrozze e carri. In quell’occasione gli Antonini emanarono leggi severissime sulla sepoltura dei cadaveri e sulla costruzione dei sepolcri, sancendo tra l’altro il divieto che a chicchessia fosse consentito di costruire tombe nel luogo che volesse: divieto che è in vigore tutt’oggi. La pestilenza fece molte migliaia di vittime, molte anche tra i personaggi di alto rango, ai più illustri dei quali Antonino fece erigere statue. E tale era la sua clemenza che volle che i funerali della gente del popolo si facessero a spese dello Stato; e inoltre, quando avvenne che un ciarlatano – il quale, in compagnia di certi suoi complici, cercava l’occasione buona per seminare lo scompiglio in città – si mise, dall’alto di un albero di caprifico, a tener concione nel Campo Marzio, affermando che sarebbe piovuto fuoco dal cielo e sarebbe arrivata la fine del mondo, se egli cadendo giù dall’albero si fosse trasformato in cicogna, e si buttò giù poi effettivamente ad un momento stabilito, liberando nel contempo una cicogna che teneva nascosta sotto la veste, Marco, fattolo portare alla sua presenza, dove confessò l’imbroglio, lo perdonò. Infine i due imperatori partirono in tenuta da guerra, mentre i Vittuali e i Marcomanni provocavano disordini ovunque, e anche altri popoli, che erano fuggiti sotto la pressione dei barbari provenienti dal nord, erano in procinto di entrare in guerra se non fossero stati accolti entro i confini dell’impero.»

Historia Augusta, Marco Aurelio, 13,1 – 14,1

I romani, sconfitti, subirono l’assedio di Aquileia da parte dei barbari: era dall’epoca di Mario che popolazioni barbare non penetravano in Italia. Marco Aurelio fu costretto a misure straordinarie, compreso l’arruolare nuove legioni e reclutare schiavi e gladiatori. Il principe decise di dare in sposa la figlia Lucilla, rimasta vedova di Lucio Vero, il comandante Pompeiano, che però rifiutò l’adozione, costringendo Marco a nominare ufficialmente suo erede e Cesare il figlio Commodo. L’Augusto difese l’Italia e poi passò all’offensiva, con una violenta avanzata anche oltre il Danubio, costringendo l’imperatore filosofo a restare in guerra, lontano da Roma per anni. Nel frattempo, circolata la falsa notizia della grave malattia di Marco Aurelio, Avidio Cassio – divenuto governatore d’Egitto – era stato acclamato imperatore nel 175. Ma Marco stava bene e voleva risolvere la questione pacificamente. Tuttavia il senato dichiarò Avidio hostis publicus e quest’ultimo venne ucciso dai suoi stessi soldati.

«[A Marco Aurelio] capitò anche una grande guerra contro la popolazione chiamata dei Quadi e gli capitò la fortuna di vincerli inaspettatamente, o piuttosto la vittoria gli
fu donata dal cielo. Infatti, mentre i Romani erano in pericolo durante la battaglia, il potere divino li salvò in modo del tutto inaspettato. I Quadi li avevano circondati
in un luogo favorevole per loro e i Romani combattevano animosamente con gli scudi legati l’uno all’altro; allora i barbari sospesero la battaglia, pensando di prenderli
facilmente per il caldo e la sete. Quindi, avendo chiuso i passaggi tutto intorno, li circondarono in modo che non potessero prendere acqua da nessuna parte; i barbari
infatti erano molto superiori di numero. I Romani dunque erano in una situazione disastrosa per il caldo e le ferite, per il sole e la sete e così non potevano né combattere né ritirarsi, ma stavano schierati e ai loro posti, bruciati dal sole, quando improvvisamente si raccolsero molte nuvole e cadde una pioggia abbondante non senza interposizione divina. E vi è infatti una storia secondo la quale un certo Arnufis, un mago egiziano che accompagnava Marco Aurelio, avrebbe invocato alcuni demoni e in particolare Ermes, dio dell’aria, con degli incantesimi e in questo modo avrebbe attirato la pioggia.»

Cassio Dione, Storia romana LXXII, 8-9

Dopo una lunghissima serie di scontri l’imperatore riuscì a respingere gli invasori, fregiandosi del titolo di Sarmaticus e Germanicus. Tra gli episodi più famosi della guerra ci fu il miracolo della pioggia, in cui la legio XII Fulminata (che secondo Eusebio si sarebbe convertita dopo al cristianesimo), circondata dai quadi in territorio nemico, si salvò grazie a un temporale.  La raffigurazione del miracolo è ancora presente sulla colonna di Marco Aurelio, fatta erigere dal figlio Commodo.  La guerra infine fu vinta dai romani ma la morte dell’imperatore a causa della peste nel marzo 180 fu seguita dalla ritirata voluta da Commodo. Marco Aurelio morì il 17 marzo del 180, gravemente malato. Si lasciò andare, seguendo la filosofia stoica che tanto amava: si spense dopo alcuni giorni di digiuno, al fronte. Il figlio Commodo, ben più avvezzo a mollezze del padre, decise di firmare una frettolosa pace e tornare a Roma a godersi i giochi gladiatori. Pompeiano cercò di farlo desistere, senza riuscirci:

«Ragazzo e pure Imperatore, è assolutamente ragionevole per voi tornare a rivedere la vostra terra natale. Noi stiamo troppo attanagliati dalla fame per vedere quello che abbiamo lasciato a casa. Ma più importanti e urgenti questioni si trovano qui e si frappongono a quel desiderio. Per il resto della tua vita potremo avere quel godimento delle cose a casa; e per questo motivo, dove si trova l’imperatore si trova anche Roma. Ma lasciare questa guerra incompiuta è sia una disgrazia sia pericoloso. Questo atteggiamento aumenterebbe l’audacia dei barbari; non crederanno che vogliamo tornare a casa nostra, ma piuttosto ci accuseranno di una vile ritirata. Dopo che avrete conquistato tutti questi barbari ed esteso i confini dell’impero fino ai mari del Nord, sarà glorioso poter tornare a casa per festeggiare il tuo trionfo, conducendo come prigionieri i re barbari e i loro governanti. I Romani che ti hanno preceduto sono diventati famosi e hanno guadagnato la gloria in questo modo. Non c’è alcun motivo di temere che qualcuno a casa possa prendere il controllo. I più illustri senatori sono qui con voi; le truppe imperiali sono qui per proteggerti; tutti i fondi provenienti dai depositi imperiali sono qui; e infine, la memoria di tuo padre ha vinto per te la fedeltà eterna e la gratitudine dei tuoi sudditi.»

ERODIANO, STORIA DI ROMA DOPO MARCO AURELIO, I, 6, 4-6

Commodo decise di abbandonare le conquiste del padre oltre il Danubio e di ritornare a Roma. Era stato nominato Cesare e aveva ricevuto la tribunicia potestas nel 177. Strinse la pace con i barbari, contro i consigli dei collaboratori paterni e fermò le persecuzioni contro i cristiani che c’erano state sotto il padre.

«Dopo aver dunque governato circondato dall’affetto di tutti, e considerato e amato dalla gente ora come un fratello, ora come un padre, ora come un figlio, in accordo con l’età di ciascuno, nel diciottesimo anno del suo impero e sessantunesimo della sua vita chiuse i suoi giorni. E nel giorno dei suoi funerali così grande apparve l’amore di cui godeva che nessuno ritenne di doverlo piangere, nella generale certezza che, così come era stato temporaneamente lasciato agli uomini dagli dèi, agli dèi stessi fosse ritornato. Infine, prima ancora della sepoltura, secondo quanto dicono i più, il senato e il popolo – cosa che non era mai avvenuta in passato, né sarebbe più avvenuta in futuro – lo proclamarono dio protettore riunendosi non in luoghi diversi ma in un’unica sede.»

HISTORIA AUGUSTA, MARCO AURELIO, 18,1-3


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