La notte tra il 18 e il 19 luglio del 64 d.C. scoppiò il grande incendio di Roma: nel corso di circa una settimana bruciarono 10 dei 14 quartieri dell’Urbe. Già circolavano voci, come detto da Tacito, sulle presunte responsabilità di Nerone. Per questo il principe decise di incolpare quella che ai suoi occhi era una fervente setta ebraica, i cristiani.

«Furono condannati a morte i cristiani, gente dedita al culto di una nuova e malefica credenza religiosa.»

«Ma né l’aiuto degli uomini, né le largizioni del principe, né le cerimonie espiatorie offerte ai numi valevano a dissipare l’opinione infamante che l’incendio fosse stato comandato. Nerone allora per far tacere queste voci fece passare per colpevoli e li sottomise a torture raffinate coloro che per i loro delitti il popolo detestava e chiamava Cristiani. Erano chiamati così dal nome di Cristo, il quale, sotto l’impero di Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; quella superstizione nefasta, repressa sulle prime, ora tornava a prorompere, non solo in Giudea, luogo d’origine di quel malanno, ma anche a Roma, dove da ogni parte affluiscono tutte le dottrine atroci e turpi e vi trovano seguaci; furono dunque arrestati prima quelli che ammettevano la loro colpa, poi, dietro denuncia di questi, una moltitudine immensa, non tanto perché autori dell’incendio, ma per il loro odio del genere umano. Ai condannati alla morte in più si infliggevano scherni; coperti di pelli ferine li si faceva dilaniare dai cani, o venivano crocifissi o si bruciavano come fiaccole, affinché, col calar della notte, ardessero a guisa di luci notturne. Nerone aveva offerto i suoi giardini per questo spettacolo e celebrava giochi nel circo, mischiandosi alla plebe in veste di auriga e, in piedi sul carro, prendeva parte alle corse. Benché si trattasse di rei, meritevoli di pene d’un’atrocità senza precedenti, sorgeva nel popolo la pietà per quegli sventurati poiché venivano uccisi non per il bene di tutti ma per la crudeltà di uno solo.»

svetonio, nerone, 16; tacito, annali, xv, 44

Dalla persecuzione alla libertà di culto

Sotto Traiano si cominciarono a palesare i primi problemi di convivenza con quest’ultimi. Plinio il giovane, legato di Bitinia, si ritrovò ad aver a che fare con loro. Scrisse a Traiano per chiedere cosa fare, e l’imperatore rispose con un rescritto imperiale che mostrava moderazione ed equilibrio:

«Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi.»

PLINIO IL GIOVANE, EPISTULARUM LIBRI DECEM, X, 97

I problemi di convivenza si cominciarono a palesare specialmente nel III secolo, quando l’impero entrò in crisi. Il primo grande persecutore fu l’imperatore Decio. Il senato concesse a Decio il nome di Traiano; non sappiamo se perché ottenne molte vittorie sul fronte danubiano o se per i suoi rapporti (buoni) con i senatori. Anche in quest’ottica va vista la politica tradizionalista dell’imperatore, che andando contro il sincretismo religioso promosso da Filippo e in qualche modo iniziato sotto i Severi, cercò di ripristinare la religione antica e il mos maiorum. Diede infatti ordine di intraprendere persecuzioni contro chi si rifiutava di sacrificare e onorare l’imperatore, lasciando comunque libertà di culto.

Tra i maggiormente colpiti ci furono i cristiani; sebbene a Decio sembrasse sufficiente lasciare libertà di venerare il proprio dio e al contempo venerare l’imperatore, per i cristiani era qualcosa di incomprensibile. Molti vennero uccisi, molti tornarono pagani (lapsi), molti altri fecero finta di abbandonare il cristianesimo, molti altri comprarono attestati (libellatici) falsi di aver sacrificato. Alcuni andarono incontro al martirio.

Uno degli aspetti principali della politica diocleziana furono le persecuzioni religiose nei confronti dei cristiani, ritenuti un pericolo per l’ordine e la stabilità dell’impero. Dietro il fervore di Diocleziano c’era probabilmente Galerio, fortemente anticristiano, e il cui peso politico era molto aumentato dopo la vittoriosa campagna persiana. Dal 24 febbraio del 303 venne instaurata una feroce persecuzione anticristiana, terminata solo da Galerio nel 311 (riconoscendo che era impossibile fermare il cristianesimo, poiché sembravano giovare delle persecuzioni); i cristiani furono interdetti dai pubblici uffici e perseguitati se non avessero rinnegato la loro religione. I tetrarchi affermavano infatti che la loro figura oramai divina non fosse conciliabile con il cristianesimo, portatore di divisioni e contrapposizioni sociali.

Divenuto Augusto d’Occidente dopo la vittoria di Ponte Milvio, Costantino emanò l’editto di Milano nel 313 con il collega Licinio (che aveva sconfitto Massimino Daia), dando piena libertà religiosa (contrariamente alle persecuzioni di Diocleziano e Galerio).

« Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. »

LATTANZIO, DE MORTIBUS PERSECUTORUM, 48

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Le persecuzioni contro i cristiani
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