Diocleziano, dopo aver creato la tetrarchia e regnato per vent’anni, si ritirò a vita privata, costringendo il suo collega Massimiano a fare lo stesso. La tetrarchia vide dunque i due Cesari, Costanzo Cloro e Galerio, rispettivamente d’occidente e d’oriente, diventare Augusti e nominare due nuovi Cesari. Il Cesare di Costanzo era Flavio Severo e sarebbe dovuto subentrargli, ma Costantino era determinato ad essere nominato almeno Cesare dopo l’acclamazione dell’esercito, alla morte del padre Costanzo a York. Allo stesso modo, in Italia e Africa era stato acclamato imperatore Massenzio, figlio dell’ex imperatore Massimiano, che si era ritirato controvoglia nel 305 a vita privata costretto dal collega Diocleziano.

I due avevano poi eliminato Severo, e dopo un convegno a Carnuntum nel 308 cui aveva partecipato anche Diocleziano, Galerio e Licinio erano stati nominati Augusti e Costantino e Massimino Daia Cesari. Massimiano trovò rifugio presso Costantino ma poco dopo tentò di prendere di nuovo la porpora; Costantino lo raggiunse e lo costrinse a suicidarsi, a Marsiglia, nell’estate del 310. Poco dopo morì Galerio, nel 311. Costantino marciò sull’Italia, per eliminare Massenzio, rimasto escluso dagli accordi di Carnuntum, sconfiggendo le sue truppe a Torino e Verona; infine a Ponte Milvio, il 28 ottobre del 312 d.C., si scontrarono i due imperatori. Massenzio ebbe la peggio e morì annegato durante la ritirata.

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Riformatore o eversore?

Costantino riformò profondamente l’amministrazione e la burocrazia, sulla strada di Diocleziano, e anche l’esercito, con la definitiva distinzione in limitanei (truppe di frontiera) e comitatensi (di movimento, stanziate all’interno). Sciolse inoltre la guardia pretoriana dopo la vittoria contro Massenzio, a cui era rimasta fedele. Inoltre, introdusse l’aurum tironicum, una tassa in oro che sostituiva la fornitura di reclute da parte dei proprietari terrieri, con cui si assoldavano preferibilmente barbari. Non è un caso che moltissimi comandanti romani del IV secolo abbiano nomi e origine barbariche.

Un solo imperatore e un solo Dio

Lattanzio narra che la sera precedente la battaglia di Ponte Milvio l’imperatore Costantino ebbe in sogno una visione in cui Cristo gli chiedeva di apporre il suo simbolo, forse il monogramma con cui era venerato, chi e rho in greco, sugli scudi dei suoi soldati. Eusebio riporta due versioni: nella prima, contenuta nella Storia ecclesiastica, dice soltanto che Dio aiutò l’imperatore. Nella vita di Costantino, decisamente posteriore, invece riporta una storia molto più dettagliata, secondo cui Costantino, in marcia, vide una croce di luce in cielo e una scritta in greco: “Εν Τουτω Νικα” (“con questo vinci”, tradotta poi “in hoc signo vinces” in latino). Ma la versione, narra, gli fu riportata dall’imperatore in tarda età, dicendo che solo lui l’aveva vista (e l’esercito?).

Eusebio aggiunse che nella guerra civile con Licinio il labarum di Costantino, l’insegna imperiale, aveva il simbolo chi-rho. Quel che è certo è che Costantino, già da prima, si era avvicinato al culto della divinità solare, il sol invictus, che aveva molte somiglianze con Mitra e il Dio cristiano e che successivamente simpatizzò per i cristiani, evolvendo questa simpatia: ancora sotto di lui, sebbene vietasse i sacrifici umani, si svolgevano giochi gladiatori e c’erano templi dedicati al “Dio Costantino”. Inoltre le monete di Costantino fino al 318-19 riportano quasi sempre il Sole, quelle fino al 324 sono più “neutre”, ed è solo dopo la sconfitta di Licinio che i riferimenti pagani scompaiono.

Divenuto Augusto d’Occidente, Costantino emanò l’editto di Milano nel 313 con il collega Licinio (che aveva sconfitto Massimino Daia), dando piena libertà religiosa (contrariamente alle persecuzioni di Diocleziano e Galerio).

« Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. »

Lattanzio, De mortibus persecutorum, XLVIII

Il 22 maggio 337 Costantino morì nei pressi di Nicomedia, non senza farsi prima battezzare. I tre figli furono i suoi eredi, Costanzo II, Costante e Costantino II. Quest’ultimo era il maggiore, ma sia lui sia Costante morirono. Infine rimase solo Costanzo, che all’inizio aveva avuto l’oriente. Il funerale fu solenne: scortato da truppe armate per le vie di Costantinopoli, l’imperatore venne seppellito, dietro sua richiesta, nella Chiesa dei Santi Apostoli, al centro di 12 tombe fittizie che rappresentavano gli apostoli. La posizione degli storici su Costantino e il cristianesimo è ancora controversa. Certamente l’imperatore aveva simpatia per i cristiani, ma è tutt’altro che certa la sua volontà di istituire una sorte di “nuovo ordine” cristiano in contrapposizione a quello pagano. In ogni caso Costantino permeava i rapporti con la Chiesa come un imperatore: era lui a scegliere cosa era giusto, ed era stato lui a presiedere il concilio di Nicea nel 325, non un vescovo. Alla fine si stabilì un credo che è ancora quello che crediamo oggi. Inoltre concesse privilegi alla Chiesa, come esenzioni fiscali.

Su Costantino venne costruito un mito, nella vita di papa Silvestro, in cui si narrava una leggendaria redenzione dell’imperatore. Tale mito venne utilizzato nell’VIII secolo, in un periodo in cui sotto papa Stefano II e Paolo I riviveva il mito di Silvestro, durante l’avanzata impetuosa di Astolfo, re dei longobardi, che stava per riunire la penisola in un unico regno, per creare un documento falso: la donazione di Costantino. La donazione, redatta come un vero e proprio documento pubblico, conteneva delle disposizioni totalmente fittizie secondo cui Costantino avrebbe donato al papa e ai suoi successori tutto l’impero d’occidente. Sebbene falso, né i longobardi né i contemporanei erano in grado di dimostrarne la falsità. Nei secoli seguenti divenne l’atto giuridico che garantiva ogni pretesa di potere temporale del papato, finché Lorenzo Valla, nel Quattrocento, scrisse un trattato, De falso credita et ementita Constantini donatione, La falsa donazione di Costantino, in cui demoliva completamente il testo, sia su basi storiche che filologiche. Il documento era stato infatti realizzato con ogni probabilità per opporsi disperatamente all’avanzata longobarda: l’imperatore bizantino si disinteressava dell’Italia e l’unico potere temporale forte in Italia era il papa. Successivamente, ottenuto l’aiuto dei franchi e incoronato Carlo Magno imperatore, il documento divenne uno strumento per garantire al papa libertà d’azione nelle faccende temporali.

Un nuovo impero

Venne istituito un apparato burocratico immenso e vennero creati dei magisteri che erano dei veri e propri ministeri: il comes rerum privatarum, il magister officiorum, il quaestor sacri palatii, il comes sacrarum largitionum, il praepositus sacri cubiculi. A livello monetario Costantino terminò la politica di continua svalutazione, con percentuali sempre minori d’argento nella moneta (tentata di contenere da Aureliano mezzo secolo prima), e basò l’economia sul solido d’oro, provocando una brusca deflazione che danneggiò terribilmente le classi meno agiate (andando controcorrente all’edictum de prectiis di Diocleziano).

Nel 314 Costantino, uscito trionfatore dalla guerra contro Massenzio a Ponte Milvio, fece guerra a Licinio (Augusto d’oriente) e gli strappò l’Illirico. Nel 323 scoppiò l’ultima guerra: Licinio, sconfitto ripetutamente, venne ucciso nel 324 e Costantino rimase unico imperatore. Era finito l’esperimento della tetrarchiaCostantino fece uccidere poi il figlio Crispo, primogenito, forse per una presunta relazione con Fausta, la matrigna. Fausta volle eliminare Crispo per assicurarsi che i propri figli prendessero il potere? In ogni caso in quello stesso 326 Costantino visitò Roma per festeggiare i suoi vicennalia, dove gli era stato eretto un arco di trionfo. L’imperatore era rimasto ammaliato dalla città di Bisanzio, assediata durante la guerra con Licinio, tanto che la ricostruì e ampliò completamente, rendendola la Nuova Roma: un nuovo senato, un nuovo pomerium, 7 nuovi colli. La città fu inaugurata l’11 maggio del 330 e prese il nome di Nova Roma, ma sarebbe diventata poi Costantinopoli.

Dopo la morte dell’imperatore la città cominciò a ad accrescere il proprio prestigio e divenne la sede di governo del figlio Costanzo II, rimasto alla fine l’unico principe. La città continuò a crescere e vennero portate nuove statue ed opere d’arte, mentre il senato orientale cominciava ad acquisire prestigio. Quando Costanzo II visitò Roma per i suoi vicennalia rimase colpito dall’imponenza della città ma anche dal trattamento riservato a lui dal popolo, che non lo assimilava a una divinità come in oriente.

La città di Costantinopoli venne dotata di tutti i comfort e rapidamente si espanse, rivaleggiando con Roma, cominciata a cadere in declino (accelerato dal sacco dei goti del 410). Vennero costruite terme, acquedotti, piazze, un palazzo imperiale collegato al circo (come a Roma col Circo Massimo e il Palatino), porti e la prima cinta muraria di Costantino non bastò più: Teodosio II ne fece erigere una seconda molto più imponente che avrebbe resistito per mille anni. Anche dal punto di vista ecclesiastico il prestigio di Costantinopoli si cominciò a far sentire, prendendo sempre più voce nelle questioni religiose (come nel Concilio di Efeso e Calcedonia del 431 e 451), finendo poi per scontrarsi spesso con Roma, a cui non riconosceva il primato religioso e al contempo poneva il patriarca di Costantinopoli tra i più importanti della cristianità e come il maggiore tra quelli orientali di lingua greca.

Un nuovo esercito

Nel III secolo si sviluppò l’idea di un comitatus che accompagnasse l’imperatore; essa divenne formalmente stabile con Gallieno che creò un vero e proprio comitatus di truppe scelte, comandato da Aureolo (magister equitum), inizialmente probabilmente composti da pretoriani, equites singulares, vessilazioni legionarie, reparti ausiliari, numeri, cavalieri mauri e illirici (promoti). L’impero, ormai prostrato da incursioni continue, aveva bisogno di una forza mobile e fedele all’imperatore; le antiche legioni, poste sul confine e sempre più statiche, spesso acclamavano il loro comandante durante i frequenti periodi di turbolenza del III secolo. E’ solo con Diocleziano che la situazione si ristabilì, ma l’imperatore saggiamente deciderà di ampliare le difese statiche per evitare nuove incursioni come quelle dei goti nel III secolo, arrivati in Grecia e in Asia Minore.

«Infatti, per la previdenza di Diocleziano tutto l’impero era stato diviso […] in città, fortezze e torri. Poiché l’esercito era posizionato ovunque, i barbari non potevano penetrarvi. In ogni sua parte le truppe erano pronte a opporsi agli invasori ed a respingerli.»

ZOSIMO, STORIA NUOVA, II, 34,1

Tali reparti erano necessari nel III secolo per affrontare le continue emergenze. Diocleziano, con la tetrarchia, non abbandona del tutto l’idea del comitatus (ci sono epigrafi di soldati che lo seguono in ogni sua campagna militare), ma privilegia la difesa di frontiera, costruendo numerosi forti lungo il confine, tanto da far dire a Zosimo che l’esercito romano stava tutto lungo il limes, pronto a respingere ogni invasore e inveendo invece contro Costantino, che aveva spostato parte dei soldati (comitatensi) in città (secondo le stime moderne circa il 60% dei soldati erano limitanei). In ogni caso l’avvento del comitatus e dei comitatensi poi segna l’avvento della cavalleria come regina del campo di battaglia, essendo più adatta ad intervenire rapidamente ed essendo divenuti i romani più abili nel combattere a cavallo copiando le tattiche partiche/persiane prima e unne poi (in seguito venne anche mutuata nel tardo VI / VII secolo la staffa dagli avari).

« Queste misure di sicurezza vennero meno con Costantino, che tolse la maggior parte dei soldati dalle frontiere e li insediò nelle città che non avevano bisogno di protezione; privò dei soccorsi quelli che erano minacciati dai barbari e arrecò alle città tranquille i danni provocati dai soldati: perciò ormai moltissime risultano deserte. Inoltre lasciò rammollire i soldati, che frequentavano i teatri e si abbandonavano a dissolutezze: in una parola fu lui a gettare il seme, a causare la rovina dello Stato che continua sino ai giorni nostri. »

ZOSIMO, STORIA NUOVA, II, 34,2

L’esercito viene infatti diviso, a partire da Costantino, tra ripenses (i soldati sui fiumi) e comitatenses, che diventano le truppe di movimento e non più di accompagnamento dell’imperatore. Nel corso del IV secolo il sistema si perfeziona e l’esercito viene diviso tra eserciti presentali (d’élite), sotto il comando dei magister militum magister equitum, reparti comitatensi (legioni, vessillazioni, cavalleria etc.) e limitanei (legioni, auxilia, reparti di cavalleria). L’esercito dunque passava da cittadini-soldato arruolati in reparti stabili (le legioni), raggruppate all’occorrenza, in un sistema flessibile, formato da truppe di frontiera di qualità sempre più scarsa e truppe scelte acquartierate in città, spesso viziate e sempre meno avvezze alla dura vita di frontiera, per dirla al modo di Zosimo, che intervenivano quando necessario. A questi si aggiungevano i reparti palatini presentali che stazionavano a Costantinopoli e Ravenna ed erano sempre disponibili, eredi dei vecchi pretoriani. Se da un lato dunque si massimizzava la flessibilità, dall’altro l’estrema frammentazione e carenza di reclute diventeranno fatali sul lungo periodo.

L’idea alla base, oltre alla divisione dei comandi militari per evitare rivolte (che invece ci saranno ancora nel IV e V secolo) e alla frammentazione dei reparti, di dimensioni più piccoli delle legioni altoimperiali (una legione limitanea poteva contare al massimo 3.000 uomini contro i 6.000, ancora meno una comitatense, di massimo 1.500-2.000 uomini), era quella di avere i limitanei che si occupassero delle minacce minori o comunque rallentassero i nemici, per poi far intervenire in caso di necessità l’esercito presentale o – come accadeva di solito – i comitatensi . Quest’ultimi venivano per la prima volta stanziati all’interno delle città, anche di frontiera, ma non vivevano più all’interno di campi e avevano una serie di vantaggi e una paga migliore, che li vide gradualmente diventare la forza di riferimento. Il problema era che i limitanei divennero sempre meno efficaci, anche perché perennemente alla mercé di scorribande nemiche e i comitatensi restavano troppi pochi per affrontare minacce serie, specialmente dopo Adrianopoli, permettendo ai barbari di fare il bello e il cattivo tempo il più delle volte.

Si veniva a creare anche per la prima volta una forza all’interno dell’esercito romano formalmente privilegiata che non fosse strettamente di guardia o di accompagnamento dell’imperatore, perché ora queste funzioni le svolgevano perlopiù gli eserciti presentali (oltre alle scholae palatinae e i protectores domestici, visto che Costantino aveva sciolto i pretoriani): nel corso del IV secolo la differenza, anche qualitativa, tra limitanei e comitatensi non sarà marcata, ma si farà via via più ampia a partire da dopo Adrianopoli e in generale dal V secolo d.C., finché nel VI e VII secolo nell’impero d’oriente i limitanei saranno ormai declassati a una milizia di frontiera, preludio alla riforma militare bizantina dei temi.

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Le riforme di Costantino
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