L’esercito della media repubblica era diviso in legioni di cittadini romani e socii, specialmente italici. Ogni legione adottava una formazione manipolare, con i reparti divisi in hastati, principes e triarii, suddividendo dunque i cittadini in base al censo (e conseguentemente spesso in base all’età). Di fronte a loro c’erano i veliti, che cercavano di creare scompiglio, armati alla leggera, mentre ai fianchi i cavalieri romani. La differenza di equipaggiamento andò assottigliandosi col tempo, finendo per usare tutti gladio e pilum (i triari usavano una lancia inizialmente e gli hastati dovevano usare perlopiù placche metalliche invece di cotte di maglia). Anche la disposizione a scacchiera sparì, per fare definitivamente posto con la riforma di Mario a una disposizione su tre file, triplex acies, e i manipoli raggruppati in coorti (ognuna di tre manipoli).

La tattica manipolare

L’idea tattica alla base della legione manipolare era che quando una linea si stancava subentrava la successiva, con hastati e principes ad alternarsi, mentre i triarii subentravano solo in caso di assoluta necessità:

«Quando l’esercito aveva assunto questo schieramento, gli hastati iniziavano primi fra tutti il combattimento. Se gli hastati non erano in grado di battere il nemico, retrocedevano a passo lento e i principes li accoglievano negli intervalli tra loro. […] i triarii si mettevano sotto i vessilli, con la gamba sinistra distesa e gli scudi appoggiati sulla spalla e le aste conficcate in terra, con la punta rivolta verso l’alto, quasi fossero una palizzata… Qualora anche i principes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla prima linea fino ai triarii. Da qui l’espressione in latino “Res ad Triarios rediit” (“essere ridotti ai Triarii”), quando si è in difficoltà.»

T. Livio, Ab Urbe Condita Libri VIII, 8, 9-12

Il processo di costruzione dell’esercito manipolare, passato per le guerre sannitiche, da cui i romani avevano sicuramente preso spunto, tanto nelle armi quanto nelle tattiche (scuta, pila, formazione meno falangitica), passò poi anche nella costruzione di castra, ossia accampamenti, che avevano un reticolo sempre ripetuto, di forma rettangolare. Anche lì i romani hanno preso spunto da altri:

«Pirro, re dell’Epiro, istituì per primo l’utilizzo di raccogliere l’intero esercito all’interno di una stessa struttura difensiva. I Romani, quindi, che lo avevano sconfitto ai Campi Ausini nei pressi di Malevento, una volta occupato il suo campo militare ed osservata la sua struttura, arrivarono a tracciare con gradualità quel campo che oggi a noi è noto.»

Sesto Giulio Frontino, Strategemata, IX, 1,14

Nel complesso l’esercito manipolare si dimostrò inizialmente incapace, durante la seconda guerra punica, di adattarsi alle tattiche più evolute di Annibale, per poi prendere spunto e adattarsi. Da lì in poi i comandanti romani saranno in grado di giocare con i manipoli, muovendoli in modo creativo sul campo di battaglia, uscendo dal tradizionale schema di alternanza delle linee e scontro frontale, passando invece per accerchiamenti e manovre più complesse; ad esempio a Cinocefale, nel 197 a.C., i manipoli romani, muovendosi in modo più libero, riuscirono ad avere la meglio sulla terribile falange macedone di Filippo V.

Lo scontro con la falange macedone

Cinocefale

Il culmine della seconda guerra macedonica fu la battaglia di Cinocefale (197 a.C.) in cui Tito Quinzio Flaminino sconfisse l’esercito del re macedone Filippo V. Quest’ultimo aveva schierato la falange in un’ala destra e sinistra a causa del terreno non del tutto adeguato alla falange. Mentre la sua ala destra respingeva i manipoli romani in forte difficoltà, Flaminino lanciò l’attacco contro l’ala sinistra macedone che si stava ancora schierando, mandandola in rotta. I romani allora ruotarono e attaccarono i restanti macedoni sul fianco. Quest’ultimi, vistosi persi, alzarono le sarisse in segno di resa, ma il gesto era sconosciuto ai romani che continuarono a macellarli con i loro gladi. La battaglia finì in un bagno di sangue, con decine di migliaia di morti e prigionieri macedoni. Flaminino d’altro canto, anch’egli all’oscuro del senso di alzare le sarisse, quando fu informato cercò di fermare il massacro ma era ormai troppo tardi.⁣

Magnesia

Quando Antioco III, re seleucide, decise di intervenire nelle controversie tra le città greche e la lega etolica, nel 192 a.C., i romani decisero di bloccare i suoi piani di espansione, sconfiggendolo alle Termpoli nel 191 a.C., grazie anche ad un attacco alle spalle guidato da Catone il Censore. La vittoria completa l’avrà però solo Scipione Asiatico, fratello dell’Africano, a Magnesia in Asia Minore, nel 189 a.C. Antioco, probabilmente convinto dalla superiorità numerica, accettò battaglia: i romani schierarono le legioni al centro, al lato sinistro, protetta dal fiume Ermo, la cavalleria, mentre sul fianco destro stavano le truppe leggere comandate dal re Eumene II di Pergamo e tutta la cavalleria rimasta. Nelle retrovie c’erano sedici elefanti e dietro di loro i triari. I seleucidi oltre alle falangi e agli alleati greci potevano vantare circa 10.000 cavalieri (e anche catafratti) e 20.000 truppe da tiro e leggere. I seleucidi posero davanti le truppe leggere, dietro la falange e ai lati la cavalleria, mentre gli elefanti erano posti tra i reparti della falange. Antioco prese il comando dell’ala destra con i galati e i cavalieri catafratti, mentre a sinistra stava suo figlio Seleuco con cavalieri (anche catafratti), carri falcati, arcieri arabi su dromedari e altri ausiliari. Mentre Antioco sfondò sul lato che comandava, sul lato opposto, nonostante la netta superiorità, gli arcieri e frombolieri romani causarono il caos, mandando in rotta i carri falcati che scompaginarono il lato sinistro seleucida. Attaccati anche dalla cavalleria romana il fianco di Seleuco si diede alla fuga, lasciando completamente scoperta la falange, che stretta tra le legioni e i lanci di pila, frecce, pietre e l’attacco della cavalleria venne distrutta quando anche gli elefanti si imbizzarrirono e cominciarono a seminare il caos. La battaglia fu un massacro: i romani riportavano di oltre 50.000 morti nemici e soltano 350 romani.

Pidna

La battaglia di Pidna segnò il definitivo tramonto della falange macedone a vantaggio della legione manipolare romana. I romani, comandati da Lucio Emilio Paolo Macedonico (figlio del console morto a Canne), vinsero il re macedone Perseo, che aveva tentato di ristabilire il potere ellenico. Il 22 giugno del 168 a.C. i romani affrontavano i macedoni nella battaglia che segnerà la terza guerra macedonica (171-168 a.C.). Perseo aveva mire espansionistiche nei Balcani ed era venuto alle armi con i romani, che non potevano tollerarlo. I due eserciti si incontrarono infine a Pidna. Nello scontro finale Perseo lanciò l’attacco, con la falange macedone che cominciò a pressare i romani, i quali non poterono reggere l’urto. Arretrando in modo ordinato su una montagna però i romani poterono passare al contrattacco: Emilio Paolo si rese conto che lo schieramento nemico si fratturava in più punti e in questi lanciò i manipoli. I romani, più agili e abituati a combattere su terreni accidentati e in spazi ristretti, massacrarono coi loro gladi ispaniensi i macedoni, impossibilitati dalle lunghe sarisse. La battaglia si trasformò in una carneficina, con i gladi che facero letteralmente a pezzi i macedoni inermi. Andati in rotta (20.000 furono uccisi e 10.000 catturati), furono attaccati poi dalla flotta romana al largo, che calò le ancore e procedette al massacro, mentre Emilio Paolo dava ordine ai suoi elefanti di caricare i macedoni in fuga. Il regno di Macedonia era distrutto; fu diviso in 4 repubbliche e, dopo un’insurrezione vent’anni dopo, la Macedonia venne annessa come provincia alla metà del II secolo a.C. La quantità d’oro conquistata sarà tale che da allora, fino al III secolo d.C., i romani (e poi gli italici) saranno esentati da ogni imposta diretta, che graveranno sui soli provinciali.

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Legione contro falange
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