«Ora, Lucio Ceionio Elio Commodo Vero Antonino, che per volere di Adriano ebbe il nome di Elio, e in relazione alla sua parentela con Antonino quelli di Vero e Antonino, non si colloca né tra i buoni né tra i cattivi imperatori. Non risulta infatti che sia stato né un mostro di vizi né un modello di virtù, e tra l’altro non poté, finché visse, disporre di un potere incontrastato, ma condizionato dalla presenza di Marco, in una forma di autorità imperiale analoga ed equivalente; da lui comunque si distingueva, nella condotta, per la poca serietà dei costumi e la eccessiva libertà di vita. Per carattere era portato all’ingenuità e incapace di nascondere qualcosa. Suo padre naturale era Lucio Elio Vero, quello che, adottato da Adriano, fu il primo a ricevere il nome di Cesare e a morire essendo rimasto fermo a quel grado. I suoi nonni, i suoi proavi, e così molti suoi lontani antenati erano stati personaggi di rango consolare. Lucio nacque a Roma il 15 dicembre – lo stesso giorno in cui era nato Nerone, l’imperatore – nell’anno della pretura di suo padre. La famiglia di suo padre era in prevalenza originaria dell’Etruria, quella di sua madre di Faenza. Questa era dunque la sua discendenza, ma quando suo padre venne adottato da Adriano, egli entrò a far parte della famiglia Elia, e nella famiglia di Adriano rimase anche dopo la morte del Cesare suo padre.»

(Historia Augusta, Lucio Vero, 1,3 – 2,1)

Lucio Ceionio Commodo nacque il 15 dicembre del 130 a Roma; suo padre era Lucio Elio Cesare, adottato da Adriano nel 138 ma che era morto poco dopo, costringendolo a ripiegare su Antonino, a patto che questi adottasse il piccolo Commodo e suo nipote Marco Annio Vero, che avrebbe preso il nome di Marco Aurelio Antonino.

Quando Antonino Pio morì nel 161, la successione seguì i piani prefissati da Adriano, con Marco Aurelio che subentrò come imperatore, e che volle che anche il fratello adottivo avesse i suoi stessi poteri, sebbene di fatto non fosse al suo stesso livello. Difatti fu Marco a decidere di inviarlo a supervisionare la guerra partica, per la cui occasione vennero inviate numerose vessillazioni di legioni da ogni parte dell’impero. Ma avrebbe avuto anche la guida del valente comandante Avidio Cassio, per evitare che Lucio combinasse disastri.

La campagna fu sostanzialmente un successo, con i romani che sbaragliarono i parti nella battaglia di Doura Europos, arrivando fino a Seleucia, che presero. Ma proprio lì entrarono in contatto con una terribile pestilenza, chiamata dagli antichi peste, ma che gli autori moderni suppongono fosse vaiolo:

«Il suo destino volle che in tutte le province per cui passò ritornando a Roma egli apparisse quale portatore di pestilenza. In realtà si dice che la pestilenza abbia avuto origine in Babilonia, dove da un forziere d’oro del tempio di Apollo che per avventura un soldato aveva forzato, sarebbe spirato fuori il germe appestante, che di lì diffuse il contagio fra i Parti e in tutto il mondo; e questo non per colpa di Vero, ma di Cassio, che, mancando di parola, espugnò Seleucia, città che aveva accolto come amici i nostri soldati.»

(Historia Augusta, Lucio Vero, 8, 1-3)

L’epidemia colpì duramente l’impero romano, diffondendosi ovunque grazie alle vexillationes di ritorno in occidente; secondo alcuni studiosi persero la vita un quarto o addirittura un terzo della popolazione dell’impero. L’epidemia resterà poi latente a lungo, continuando a mietere vittime, come Claudio II il Gotico.

Nonostante gli storici antichi calchino esageratamente la mano sulle occasioni di festeggiare e divertirsi sempre colte da Lucio Vero, tuttavia non doveva essere del tutto un incapace, anche con l’aiuto di Avidio Cassio, e forse bisognerebbe riconoscergli qualche merito nella campagna partica. Per la quale celebrò un trionfo, il 12 ottobre del 166, insieme al fratello adottivo Marco Aurelio.

Nello stesso periodo in cui Vero tornava trionfante dall’oriente tuttavia quadi e marcomanni si affacciarono sulla frontiera danubiana, cominciando a provocare disordini; stavolta Marco decise di intervenire personalmente e – forse non fidandosi del fratellastro – portare con sè Lucio.

Poco dopo, nel 169, mentre Vero tornava da Aquileia a Roma, morì; le cause della sua morte non furono chiarite se non che subì a forse un colpo apoplettico. Gli storici antichi favoleggiavano su un presunto mandante per il suo presunto omicidio, ovvero di Faustina minore, con cui avrebbe avuto una relazione, vendicandosi del fatto che Vero avrebbe rivelato alla moglie Lucilla della sua relazione con la madre, moglie di Marco Aurelio. Altri dicevano addirittura che fosse stato Marco ad avvelenarlo; in ogni caso i suoi resti furono posti nel mausoleo di Adriano, insieme a quelli del padre Lucio Elio Cesare:

«Quando scoppiò la guerra germanica – poiché Marco non intendeva mandarvi Lucio senza accompagnarlo, e neppure, per via della sua dissolutezza, lasciarlo a Roma – i due principi partirono entrambi e giunsero ad Aquileia, compiendo poi la traversata delle Alpi, contro i desideri di Lucio, che in quella città non aveva fatto altro che scarrozzare e banchettare, mentre Marco si era occupato della preparazione di tutti i piani strategici. Di questa guerra – talune cose furono opera degli inviati dei barbari che richiedevano la pace, talune altre dei nostri generali – abbiamo già ampiamente trattato nel corso della vita di Marco. Conclusa poi la guerra in Pannonia, ritornarono tra le insistenze di Vero ad Aquileia, e poiché questi sentiva la nostalgia dei divertimenti della capitale, si affrettarono a rientrare a Roma. Ma non lontano da Altino, mentre era in carrozza, Lucio fu colto all’improvviso da un colpo apoplettico: depostolo fuori dal veicolo, gli praticarono un salasso e lo trasportarono ad Altino, dove morì, dopo essere rimasto in vita tre giorni privo di parola.»

(Historia Augusta, Lucio Vero, 9, 7-11)

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