Marco Antonio nacque nell’83 o 82 a.C. Il padre era chiamato il Cretico (Cretese), pretore nel 74 a.C., e ebbe un comando straordinario contro i pirati e i Cretesi. Il nonno omonimo fu console nel 99 a.C. (Marco Antonio Oratore), lo zio Gaio Antonio Ibrida nel 63 a.C. fu console con Cicerone e censore nel 42 a.C.; la madre era una Giulia. Antonio era quindi imparentato con Cesare.

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Il rapporto con Cesare

Non sappiamo precisamente quando sia nato il rapporto tra Cesare e Antonio. Cesare aveva bisogno di uomini del profilo di Antonio: ufficiali energici, risoluti e abbastanza giovani, in grado di sottostare all’autorità del comandante. Inoltre, Antonio tornava dall’oriente carico di gloria, ma anche con un notevole bagaglio di esperienze: infatti, oltre ad approfondire l’esperienza militare, si era esercitato anche nell’arte della diplomazia.

Nel 52 a.C. per la prima volta compare nel De Bello Gallico come legato di Cesare: prese parte alla campagna contro la rivolta generale dei galli guidata da Vercingetorige. Egli si distinse, al comando di alcuni settori delle fortificazioni, nella decisiva battaglia di Alesia. Avrebbe respinto, insieme a Gaio Trebonio, l’attacco dei galli bloccati dentro la fortezza.

Diventato accanito sostenitore di Cesare, grazie all’aiuto di questi nel 50 a.C. fu eletto tribuno della plebe e augure. Durante questo anno Antonio sostenne Cesare nel conflitto con il senato e Pompeo; questi ultimi richiedevano le dimissioni del generale romano dal proconsolato e il comando dell’esercito prima che richiedesse l’assegnazione del consolato. Il 19 novembre Antonio, impossibilitato a proporre intercessio contro la deliberazione con la quale si voleva dichiarare Cesare hostis publicus, fu espulso dalla Curia, lasciò Roma e raggiunse Cesare dopo il passaggio del Rubicone.

Le idi di marzo

Nel 44 a.C. Marco Antonio ricopriva la carica di console insieme a Cesare. Durante i lupercali, il 15 febbraio, aveva tentato di mettere in testa una corona a Cesare, che l’aveva rifiutata.

Alle idi di marzo Antonio fu allontanato dal senato da Gaio Trebonio, mentre Tillio Cimbro attirava Cesare nella trappola con la scusa di una petizione e Casca (che solo un mese prima aveva tentato di mettere in testa la corona a Cesare, insieme a Cassio, prima di Antonio, durante la festa dei Lupercali) dava la prima pugnalata. Cassio avrebbe voluto uccidere anche Antonio ma Bruto era contrario.

Marco Antonio, inizialmente fuggito, in serata andava da Calpurnia dove attingeva ai fondi di Cesare, il 16 si trovava sull’isola tiberina dove si ricollegava alle truppe comandate da Lepido. Quest’ultimo propose di trucidare i congiurati, ma Aulo Irzio chiese un accordo con i cesaricidi e Marco Antonio, incredibilmente, decise di accettare. Il 17 in senato si tenne un dibattito e Cicerone avanzò la proposta dell’amnistia, che Marco Antonio accolse a patto che venissero approvati anche tutti gli atti di Cesare.

Il giorno successivo, 18 marzo, Antonio aprì il testamento di Cesare alla presenza del suocero di Cesare Lucio Calpurnio Pisone e scoprì che il suo erede era un suo pronipote, il neo figlio adottivo di Cesare, Gaio Ottavio – divenuto Gaio Giulio Cesare Ottaviano-, che riceveva i 3/4 dell’eredità, mentre Marco Antonio era secondo anche ai cugini di Ottaviano Lucio Pinario e Quinto Pedio.

Il 20 marzo avvennero i funerali, Marco Antonio mantenne alto l’onore di Oratore del nonno, tirando fuori alla fine del suo discorso le vesti insanguinate di Cesare e leggendo il suo testamento, in cui Cesare donava ai romani i suoi giardini e 300 sesterzi a ogni cittadino romano. La folla esplose, cominciò a lanciare oggetti nella pira funebre e i cesaricidi furono costretti alla fuga per evitare il linciaggio.

I fatti che portarono al capovolgimento dei rapporti di forza dopo la morte di Cesare, raccontati da Canfora:

Il rapporto tra Antonio e Ottaviano fu avverso sin da subito. Ottaviano cercava di ritagliarsi un suo spazio e per questo andava contro Antonio per prendere sotto la sua ala più cesariani possibili. Cicerone ebbe la meglio, e con l’appoggio di Ottaviano, non perse tempo nello screditare Antonio dinanzi al senato (14 filippiche, le ultime due prima e dopo la battaglia – la XIV avviene il 21 aprile del 43 a.C., il giorno prima era arrivata la notizia di Forum Gallorum) e persuadendoli nel dichiararlo nemico pubblico. L’assemblea senatoria non accolse le loro provocazioni ma al contempo annullò le decisioni più importanti del console e lo destituì da ogni incarico per l’anno seguente.

Ormai la scena politica era stata riconquistata da Cicerone che ostacolava l’operato anche pacifico di Antonio. Nel giugno del 44 il console fece passare una permutatio provinciarum con cui scambiava il proconsolato della Macedonia dell’anno seguente con quello della Gallia Cisalpina, data in precedenza a Decimo Bruto, oltre ad ottenere il controllo delle sei legioni macedoni.

Ottaviano reclutò 3000 uomini tra i veterani di Cesare tentando di prendere Roma, senza successo, quindi si asserragliò ad Arezzo, dove riuscì a mettere in piedi due legioni. Nel frattempo Antonio accusava Ottaviano di aver tentato di farlo assassinare e il giovane erede di Cesare veniva onorato – grazie all’appoggio di Cicerone (che credeva di manipolare Ottaviano) – con un imperio propraetorio, quindi secondo solo ai consoli dell’anno seguente, Aulo Irzio (autore dell’ottavo libro del De Bello Gallico) e Vibio Pansa.

Nel frattempo Antonio, che non aveva ottenuto da Decimo Bruto la cessione della Gallia Cisalpina, si era mosso a nord. Questi assediò Modena, dove si trovava il cesaricida, ma venne raggiunto, al sopraggiungere del 43 (dopo essere dichiarato hostis publicus) e sconfitto nella battaglia di Forum Gallorum il 14 aprile e nella battaglia di Modena il 21 dalle legioni riunite dei consoli Aulo Irzio e Vibio Pansa e del giovane Cesare Ottaviano.

Aulo Irzio rimase ucciso in battaglia, a Modena. Pansa morì poco dopo (il 23); Ottaviano sosteneva nel suo res gestae divi Augusti che il console era ferito, ma probabilmente venne ucciso dal futuro imperatore . Entrambi i consoli morirono quindi in battaglia e Ottaviano, rimasto il più alto in comando, si fece nominare con la forza console (entrando in senato in armi).

Aureo di Antonio e Ottaviano coniato in occasione del secondo triumvirato
Aureo di Antonio e Ottaviano coniato in occasione del secondo triumvirato

Una volta nell’assemblea, Cicerone si fece avanti e gli fece intendere che avrebbe ottenuto comunque il consolato (magari insieme a lui, venti anni dopo quello “trionfale” che sventò la congiura di Catilina). Ottaviano gli rispose emblematicamente dicendo che Cicerone era “l’ultimo dei suoi amici“, giocando sul doppio senso della parola ultimo (uguale in italiano e latino).

Nei pressi di Bologna, nel novembre successivo, si giunse ad un accordo stipulato tra Antonio, Ottaviano e Lepido, il secondo triumvirato, che a differenza del  primo triumvirato, non era un accordo privato tra Cesare, Pompeo e Crasso, ma un “triumvirato costituente”, una magistratura ufficiale (ratificato dalla lex Titia per un quinquennio).

A differenza dei magistrati tradizionali, non avevano l’obbligo di render conto delle loro azioni al senato e al popolo. La loro parola era legge, avevano facoltà di assegnare le magistrature e controllavano direttamente le legioni, e soprattutto detenevano l’imperium maius, che consentiva loro di muoversi senza l’obbligo di rispettare determinati limiti territoriali.

Ottenuta dai comizi la condanna dei cesaricidi, i triumviri diedero inizio ad una sistematica persecuzione degli oppositori (con una seconda lista di proscrizione nel 43 a.C., dopo quella di Silla). Cicerone fu tra le vittime più illustri; gli vennero recise anche le mani, per punire il fatto che avesse scritto contro Antonio. Quest’ultimo lo odiava profondamente e fece appendere le mani e la testa di Cicerone ai rostri nel foro.

Nel 42 a.C., in seguito alla vittoria nella battaglia di Filippi e alla fine dei cesaricidi, i triumviri procedettero alla spartizione delle rispettive sfere d’influenza (Ottaviano Italia e Gallia, Lepido Spagna e Africa, Antonio l’oriente).

Antonio e Cleopatra

Dopo Filippi Ottaviano ebbe la Spagna e l’Italia (con la scusa di attribuire le terre ai legionari); Lepido, sospettato di essere in combutta con il nemico fu lasciato in disparte e Marco Antonio ebbe il resto delle province.

Egli, partito per l’oriente con l’intenzione di completare la campagna partica di Cesare, durante il viaggio (non senza essersi regalato sregolatezze di ogni tipo nel viaggio da Efeso – donne, vino, ladrocinio, soprusi  e chi più ne ha ne metta) incontrò la regina Cleopatra a Tarso nel 41 a.C.

Il triumviro l’aveva convocata lì e lei si presentò su una nave ricoperta d’oro e porpora, aspettando che fosse lui ad andare da lei e non viceversa anche se l’Egitto era uno stato cliente di Roma (Antonio e Cleopatra si erano conosciuti nel 57 a.C. e poi rivisti solo nel 45 a.C. a Roma).

Alla fine Antonio andò da lei e, libertino com’era, rimaste affascinato e estasiato da lei, dal suo fascino e dalla sua cultura (parlava molte lingue): Antonio era il nuovo Dionisio e Cleopatra la nuova Afrodite. Antonio si lasciò sedurre e rimase completamente ammaliato da lei. Rimase in Siria e Giudea a mettere a posto la situazione. La seguì ad Alessandria, dove rimase con Cleopatra, della quale era divenuto l’amante, fino all’anno successivo.

Lawrence Alma-Tadema - Antonio e Cleopatra
Lawrence Alma-Tadema – Antonio e Cleopatra

Nel frattempo Ottaviano aveva divorziato da Clodia ed aveva dovuto fronteggiare una rivolta interna, capeggiata dalla moglie di Antonio, Fulvia. Antonio avrebbe potuto schiacciare Ottaviano nel 41, ma rimase a godersi l’oriente. Le legioni antoniane in Italia e Gallia erano state prese dal futuro imperatore.

Nel 40 a.C. Ottaviano ed Antonio, dopo che la moglie di quest’ultimo Fulvia aveva tentato una ribellione, negoziarono un trattato di pace a Brindisi, suggellato dal matrimonio tra Antonio e Ottavia minore, sorella di Ottaviano.

Antonio intraprese i preparativi per la spedizione contro i Parti, quando la ribellione di Sesto Pompeo in Sicilia occupò l’esercito promesso da Ottaviano ad Antonio. Questi non reagì bene alla frustrazione dei suoi piani e solamente con l’intervento di Ottavia si giunse ad un nuovo trattato firmato a Taranto nel 38 a.C. Il triumvirato fu rinnovato per un ulteriore periodo di cinque anni ed Ottaviano promise di fornire ad Antonio le legioni per la campagna partica.

La campagna partica e la vita ad Alessandria

Antonio, stanco degli indugi di Ottaviano, salpò per Alessandria d’Egitto per incontrare di nuovo Cleopatra, che nel frattempo aveva avuto due gemelli (Alessandro Helios e Cleopatra Selene). Con l’aiuto delle finanze egiziane Antonio raccolse un esercito e partì per la campagna contro i Parti. L’esito fu disastroso: dopo aver subito varie sconfitte Antonio perse quasi tutti gli uomini durante la ritirata attraverso l’Armenia.

Nel frattempo a Roma, Ottaviano cominciò ad alienare le simpatie dei sostenitori di Antonio, accusandolo di immoralità per aver abbandonato la moglie ed i figli per la relazione con la regina d’Egitto, Cleopatra. Nonostante ripetuti inviti rivolti ad Antonio perché tornasse in patria, egli rimase ad Alessandria con Cleopatra.

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Dopo la conquista dell’Armenia nel 34 a.C., condotta da Antonio con il contributo finanziario egiziano, entrambi celebrarono il trionfo ad Alessandria. Il tradizionalismo dell’opinione pubblica romana fu profondamente scosso dalla inconsueta procedura trionfale e dalle decisioni prese nell’occasione delle donazioni di Alessandria (con cui i due donavano ai figli e a Cesarioni terre appartenenti a Roma).

Cleopatra ebbe il titolo di “regina dei re” (rifacendosi al persiano “re dei re”), fu associata nel culto a Iside e nominata reggente dell’Egitto e di Cipro con Cesarione, dichiarato figlio ed erede di Cesare. Dei tre figli avuti con Antonio, Alessandro Helios fu incoronato sovrano dell’Armenia, Media e Partia, Cleopatra Selene fu nominata sovrana di Cirenaica e Libia, mentre Tolomeo Filadelfo, l’ultimo, fu incoronato sovrano di Fenicia, Siria e Cilicia.

La fine

Il conflitto era inevitabile. A fomentare la guerra ci furono le donazioni di Alessandria, in cui Marco Antonio concedeva onori e terre romane ai propri figli avuti con Cleopatra, sottraendoli a Roma.

Mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò nel testamento di Antonio, in cui risultavano le sue decisioni di lasciare i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d’Egitto e ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare. Ottaviano accusò la regina di minare il predominio di Roma e convinse i Romani a dichiarare guerra all’Egitto, dopo non aver rinnovato il triumvirato scaduto nel 33 a.C.

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In seguito quando fece dichiarare nemico pubblico Antonio, tornarono da Antonio i suoi parenti e i suoi amici, tra cui i consoli in carica nel 32 a.C. Gaio Sosio e Domizio Enobarbo, oltre a 300 senatori (ovvero circa un terzo – Cesare aveva portato il senato a 900 membri).

Il senato di Roma dichiarò guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, e Antonio e Cleopatra furono sconfitti nella battaglia navale di Azio, del 2 settembre 31 a.C. Visto che la battaglia era persa la regina riparò ad Alessandria con parte della flotta, seguita da Antonio.

Il 1 agosto del 30 a.C. Ottaviano invase l’Egitto ed entrò nella capitale. Non avendo vie di scampo, Antonio si tolse la vita. Pochi giorni più tardi (il 12), Cleopatra ne seguì l’esempio. Plutarco nella sua vita di Antonio ci racconta che Cleopatra fece uso di un’aspide (teoria che alcuni mettono in dubbio con del più semplice veleno).

Pare che Agrippa abbia discusso con un’ancella di Cleopatra dopo la sua morte ma non conosciamo altri dettagli. Ottaviano fece uccide Cesarione e i figli di Antonio e Cleopatra furono portati a Roma.

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