Marco Claudio Marcello discendeva da un ramo plebeo della gens Claudia, di cui facevano parte personaggi come Appio Claudio, Gaio Claudio Nerone o l’imperatore Tiberio. Poco si sa della sua vita in gioventù, ma si suppone sia nato prima del 268 a.C., poiché ebbe il primo consolato nel 222 a.C. e non vi si poteva essere eletti prima di aver compiuto il 42esimo anno di età ed ebbe il suo ultimo nel 208 a.C., quando aveva già compiuto sessant’anni. Posidonio narra che fu il primo ad avere il cognomen di Marcello, ma secondo le fonti, tra cui i Fasti triumphales, è praticamente certo che almeno il padre aveva lo stesso nome.

Carriera politica

Eletto console per l’anno 222 a.C., il 1 marzo Marcello sconfiggeva gli insubri a Clastidium (Casteggio), in Gallia Cisalpina, unificando per la prima volta la penisola. A tre anni dalla battaglia di Telamone i romani decisero di spingersi a nord per fermare i galli in Italia Settentrionale. Mentre i romani assediavano Acerrae, tra Lodi e Cremona, gli insubri attaccarono gli anamari, alleati dei romani, a Clastidium. I romani però non interruppero l’assedio e inviarono la cavalleria in soccorso, che sbaragliò i galli. Marcello stesso, riconosciutolo sul campo, affrontò e uccise il re nemico Virdomaro, guadagnandosi quindi la spolia opima. I romani, non incontrando più alcuna resistenza, occuparono tutta la Cisalpina e la città di Medhelan, ribattezzata Mediolanum, ovvero Milano. Il console ottenne anche l’onore del trionfo, motivo per cui è infatti citato nei Fasti Trionfali.

Poco dopo, nel 218 a.C., scoppiò la seconda guerra punica: Annibale attraversò le Alpi, cosa ritenuta impossibile dai romani in pieno inverno, e inflisse quattro micidiali sconfitte ai romani al Ticino, Trebbia, Trasimeno e Canne, mettendo in ginocchio la repubblica romana. Nonostante la strada per Roma sembrasse ormai spianata, Annibale non si mosse ad assediare l’Urbe, forse ritenendo le sue forze troppo esigue, forse sperando nella diserzione degli alleati italici dei romani. Tra i primi a titubare ci furono gli abitanti di Nola, che parteggiavano per il cartaginese, mentre il senato locale restava fedele a Roma.

Dovette intervenire subito Marco Claudio Marcello, pretore in carica, soprannominato poi “la spada di Roma“, che fu costretto, anche se era ancora fresco il disastro di Canne poiché era ancora il 216 a.C., a occupare la città e poi a prepararsi a una sortita. Era infatti l’unico modo per sopprimere i moti di rivolta che serpeggiavano in città. Annibale credeva ormai di dover attaccare la città, ormai convinto che il tradimento fosse saltato e venne colto impreparato dal violento assalto improvviso che lanciarono i romani, uscendo rapidamente dalle mura. I cartaginesi furono colti dal panico e dal frastuono che fecero i romani, lasciando sul campo 3.000 morti e furono costretti a ritirarsi. Alla fine dell’anno Marcello organizzò anche i Ludi Plebeii e all’inizio del 215 tornò in Campania come proconsole (dopo che il dittatore Marco Giunio Pera gli aveva chiesto consiglio sulla guerra) insieme a due legioni urbane, che si mossero a Suessula.

Poiché il console designato Lucio Postumio Albino era morto poco prima della sua entrata in carica, i comizi elessero nuovamente come console Marcello non appena questi rientrò in città, dopo che il console Tiberio Sempronio Gracco aveva appositamente atteso il suo ritorno per convocare le elezioni. Tuttavia gli auguri fecero notare che era la prima volta che si eleggevano due consoli plebei e quindi Marcello rinunciò alla carica, che venne data a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, già dittatore. Marcello riottenne il comando di Suessula come proconsole. Nello stesso anno, sempre a Nola, Marcello vinse di nuovo Annibale nella seconda battaglia di Nola, in un duro scontro in cui personalmente incitava i suoi:

«I Cartaginesi […] quelli che stavano combattendo si erano infiacchiti dai piaceri di Capua, logorati dal vino, dalle prostitute, da tutti i bordelli di un intero inverno. Erano ormai scemati la forze e il vigore di una volta, se n’erano andate le energie del corpo e della mente, con le quali i Cartaginesi avevano superato i Pirenei e le Alpi. I resti mortali di quegli uomini, oggi reggevano a fatica le membra e le armi. Capua era stata per Annibale una “disfatta di Canne”.»

Tito Livio, auc, XXIII, 45, 2-4

L’accanimento con cui combattevano i romani costrinse i cartaginesi a ritirarsi, lasciando sul campo oltre 5.000 morti e 600 prigionieri. Dopo una tregua per seppellire i morti disertarono dalle fila cartaginesi anche 272 tra i iberi e numidi, mentre Annibale si ritirava in Apulia. Poco dopo Marcello venne eletto console per l’anno 214 insieme a Quinto Fabio Massimo e venne inviato in Sicilia per assediare Siracusa. Dopo un assedio di due anni, nonostante la difesa studiata dal matematico Archimede, i romani riuscirono a penetrare in città durante la festa di Artemide-Diana, in cui scorreva vino a fiumi, dopo aver trovato un punto nelle mura più basso e facilmente raggiungibile dalle scale, nei pressi dell’Esapilo. Nel massacro che seguì, forse non riconosciuto da un soldato, morì anche Archimede, mentre era intento a tracciare figure geometriche nella polvere:

«Manifestandosi molti casi di furore e molti casi di ripugnante cupidigia, si tramanda che un soldato abbia ucciso Archimede, mentre in mezzo a quella grande confusione, era intento a tracciare nella polvere alcune figure geometriche […]»

TITO LIVIO, AUC, XXV, 31, 9

Marcello rimase sconvoltò dalla morte del matematico e secondo Plutarco “distolse lo sguardo dall’uccisore di Archimede come da un sacrilego“, dando poi al corpo una sepoltura con tutti gli onori. Nel 211 il senato prorogò il comando di Marcello in Sicilia affinché terminasse la guerra e nello stesso anno tornò poi a Roma e dopo aver fatto rapporto al senato chiese il trionfo, che non gli venne concesso, poiché molti sostenevano che la guerra non era ancora terminata in Sicilia. Comunque gli venne concessa un’ovazione, mentre varie opere d’arte tra cui il planetario di Archimede erano portate a Roma.

«I tribuni della plebe, su invito del senato, proposero al popolo di votare a favore della legge, affinché Marcello conservasse il comando nel giorno in cui entrava in Roma per la cerimonia dell’ovazione. Il giorno precedente al suo ingresso in città, Marcello celebrò il trionfo sul monte Albano e il giorno seguente entrò in Roma, facendosi precedere da un grande bottino di guerra.»

TITO LIVIO, AUC, XXVI, 21, 5-6

Claudio Marcello fu eletto di nuovo console per il 210 con Valerio Levino. Quando assunse il comando, poiché il collega si trovava in Macedonia, dichiarò che non avrebbe parlato di nulla inerente la res publica in quel giorno; l’interruzione dei lavori del senato favorì le lamentele della gente secondo cui entrambi i consoli protraevano la guerra più del necessario. Livio racconta che Cornelio Cetego, pretore in Sicilia, avrebbe raccolto molte persone a Roma, tra cui siciliani, per riempire il console di denunce, affermando che la guerra in Sicilia non era finita. Poi accadde che la notte precedente la festa dei Quinquatri scoppiò un incendio nel foro, che durò per un intero giorno, risparmiando miracolosamente il tempio di Vesta grazie a degli schiavi, che vennero poi affrancati e liberati. L’incendio era però doloso in quanto scaturito in posti diversi e Marcello dichiarò che avrebbe ricompensato chiunque potesse fornire informazioni. Si presentò uno sciavo dei Calavii, una famiglia campana, che denunciò i suoi padroni e cinque giovani nobili di Capua, i cui genitori erano stati decapitati da Quinto Fulvio. Prima furono incarcerati, poi poi dopo un lungo processo in cui tutti confessarono, furono giustiziati. Allo schiavo Manus fu concessa la libertà e un premio di ventimila assi.

Nel sorteggio delle province Marcello ottenne di nuovo la Sicilia ma la scambiò col collega Levino, dopo che i siciliani alla fine si scusarono col console:

«Furono inviati in Campidoglio due senatori per invitare Marcello a tornare nella curia. Vennero quindi ammessi anche i Siciliani e fu comunicata la decisione del senato. Gli ambasciatori [siciliani], accolti benevolmente e congedati, si gettarono ai piedi di Marcello pregandolo di perdonarli per essersi solo lamentati per la propria sventura, e di prendere loro e la città di Siracusa sotto la sua protezione come clienti. Il console, dopo essersi rivolto a loro in modo benevolo, promise di accogliere le loro richieste e li congedò.»

TITO LIVIO, AUC, XXVI, 32, 7-8

La battaglia di Numistro

Poco tempo dopo Annibale assalì il proconsole Gneo Fulvio, accampato nei pressi di Erdonea che assediava; i cartaginesi vinsero la battaglia, molti romani caddero, tra cui lo stesso proconsole, mentre i restanti fuggirono. Annibale, presa la città, trasferì gli abitanti a Metaponto e Turii, uccise i capi, minacciando di destinare la stessa sorte a chiunque si fosse schierato con Roma. Marcello marciò dunque verso Annibale, ponendo il campo nella piana di Numistro, di fronte ad Annibale che invece si trovava su un colle. Per dimostrare di non temere il cartaginese Marcello condusse fuori dal campo l’esercito e Annibale diede battaglia: tuttavia l’esito fu un sostanziale pareggio.

Secondo Livio il combattimento iniziò di prima mattina. In prima linea per i romani c’era la I legione e l’ala sociorum destra. La III legione e l’ala sociorum sinistra diedero supporto durante la battaglia. I cartaginesi avevano elefanti, fanteria ispanica e frombolieri delle baleari. I due schieramenti combatterono tutto il giorno, finché non calò la notte. Il giorno seguente non ci furono scontri; i romani seppellirono i morti. Durante la notte Annibale si allontanò, in silenzio, per distanziarsi dai romani. Marcello lo seguì e lo raggiunse presso Venosa. Romani e cartaginesi ebbero qualche scaramuccia, poi continuarono a inseguirsi, con il cartaginese che si muoveva di notte e i romani che inseguivano di giorno dopo aver sondato il terreno. Annibale era amareggiato dal confronto mai vittorioso con Marcello, tanto da far dire al comandante punico: “Fabio Massimo mi impedisce di combattere , Marco Claudio Marcello di vincere”.

La fine

Il console non tornò a Roma per indire i comizi per l’anno successivo, cosa che avrebbe dovuto fare in quanto console anziano, ma anche l’altro console Valerio Levino che era rientrato era dovuto subito ripartire, quindi Marcello fu costretto a tornare nell’Urbe anche se voleva inseguire Annibale e riconoscere come dittatore – non avendo il tempo di indire i comizi – Quinto Fulvo, che scelse come magister equitum Publio Licinio Crasso. Nel frattempo la spada di Roma ottenne il proconsolato per il 209 a.C., per prorogare il suo comando in Puglia. Marcello attaccò Annibale nei pressi di Venusia e dovette poi ritirarsi, venendo accusato pubblicato a Roma. Dopo essersi difeso venne letto console di nuovo nel 208, ma durante una ricognizione vicino la stessa Venusia fu colto di sorpresa dai nemici e ucciso. Polibio criticava molto l’imprudenza, visto che anche gli auspici erano stati sfavorevoli; in ogni caso Annibale fece cremare il corpo e lo restituì al figlio.

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