«Si narra che Massimino fosse nato in un villaggio della Tracia confinante col territorio dei barbari, figlio inoltre di padre e madre barbara, l’uno Goto di origine, l’altra Alana. Si dice che il padre si chiamasse Micca, e la madre Ababa. Questi nomi Massimino nei primi tempi li palesava liberamente, ma in seguito, quando giunse al potere, volle che fossero tenuti nascosti, perché non apparisse che l’imperatore era nato da genitori entrambi di stirpe barbarica. Nella sua prima fanciullezza fece il pastore, talvolta anche capeggiando i compagni nell’affrontare i briganti e nel difendere i suoi dalle loro incursioni. Compì il suo primo servizio militare nella cavalleria. Era infatti imponente per la sua prestanza fisica, famoso per il suo valore fra tutti i soldati, bello nel suo aspetto virile, duro nel suo comportamento, rude, superbo, sprezzante, spesso nondimeno capace di senso di giustizia.»

Historia Augusta, Massimino il Trace, 1, 5-7; 2, 1-2

Un semibarbaro?

La sua prestanza fisica era proverbiale; si diceva fosse alto oltre 2 metri (un’altezza spaventosa per l’epoca) e che avesse una forza micidiale. Aveva cominciato la carriera militare sotto Settimio Severo, come cavaliere, cominciando a scalare i ranghi. Ma quando Caracalla fu assassinato si ritirò, deluso, a vita privata, per poi tentare di rientrare in servizio, senza successo, sotto Eliogabalo. Tuttavia è bene precisare che la fonte principale su di lui è l’Historia Augusta, fonte notoriamente faziosa e filosenatoria, che va dunque presa con le dovute precauzioni:

«Risulta che spesso egli bevesse in un giorno un’anfora capitolina di vino, che mangiasse fino a quaranta libbre di carne o, come sostiene Cordo, addirittura sessanta. Come si sa per certo, egli non assaggiò mai legumi e quasi mai bevande fredde se non per necessità di bere. Spesso raccoglieva le gocce del suo sudore collocandole in calici o in un vasetto, e così poteva mostrarne due o tre sestari. Sotto Antonino Caracalla ricoprì a lungo il grado di centurione e più volte ebbe ad occupare tutte le altre cariche militari. Sotto Macrino, per il profondo odio che nutriva contro l’uomo che aveva ucciso il figlio del suo imperatore, abbandonò la milizia e si acquistò in Tracia, nel villaggio dove era nato, dei possedimenti ed esercitò sempre il commercio con i Goti. Era straordinariamente benvoluto dai Goti, come se fosse un loro concittadino. Tutti gli Alani che si spingevano sino alla riva del fiume, lo trattavano come un amico, scambiando vicendevolmente dei doni. Ma quando Macrino fu ucciso assieme a suo figlio, non appena apprese che era divenuto imperatore Eliogabalo, quale figlio di Antonino, egli, che era ormai un uomo maturo, si recò da lui e gli chiese che egli pure avesse a tenerlo nella stessa considerazione che aveva avuto nei suoi riguardi il nonno di lui Severo. Ma nulla poté ottenere con quel sozzo individuo; si dice infatti che Eliogabalo gli rispose con una battuta sconcia: «Dicono, o Massimino, che tu una volta abbia lottato vittoriosamente con sedici, venti e trenta soldati: potresti farcela per trenta volte con una donna?». Allora egli, al sentire quel principe infame esordire in tal modo, decise di ritirarsi dall’esercito.»

«Ricevuto dunque il comando della legione, cominciò immediatamente ad addestrarla. Ogni quattro giorni ordinava delle manovre in armi, in cui i soldati conducevano tra loro combattimenti simulati. Ogni giorno ispezionava le spade, le lance, le corazze, gli elmi, gli scudi, le tuniche e tutte le loro armi; provvedeva personalmente financo alle loro calzature, proprio in modo tale da presentarsi ai soldati come un padre. A certi tribuni, poi, che lo rimproveravano dicendogli: «Perché ti affatichi tanto, visto che ormai hai un grado tale da permetterti di raggiungere il comando in capo?», si dice rispondesse: «Ma io, quanto più sarò in alto, tanto più mi darò da fare». Egli stesso si cimentava nella lotta con i soldati, abbattendone, sebbene già avanti negli anni, cinque, sei o sette. Così tutti quanti lo invidiavano, e ci fu un tribuno particolarmente arrogante, di grande corporatura e provato valore – e perciò tanto più tracotante – che gli disse: «Non è poi una gran cosa quella che fai, tu, tribuno, a vincere i tuoi soldati»; al che egli rispose: «Vuoi che ci battiamo?»; e avendo l’avversario accettato, lo mandò steso a terra colpendolo con il palmo della mano in pieno petto, mentre quello gli si stava gettando contro, e immediatamente esclamò: «Avanti un altro, ma che sia un tribuno!». Era, come riferisce Cordo, un uomo di tali proporzioni che superava di un dito gli otto piedi di altezza, e aveva un pollice così grosso che poteva usare come anello il braccialetto di sua moglie. Sono ormai praticamente di dominio pubblico certi aneddoti, come il fatto che era in grado di trascinare un carro a quattro ruote a forza di braccia, di muovere da solo una carrozza carica di gente, di buttar giù i denti a un cavallo tirandogli un pugno, o di spezzargli i garretti sferrandogli un calcio, di frantumare pietre di tufo, di spaccare in due piante non troppo annose, e che, insomma, era chiamato da taluni Milone di Crotone, da altri Ercole, da altri Anteo. Alessandro, che pure sapeva giudicare i veri meriti delle persone, impressionato da un uomo che si segnalava per tali imprese, gli conferì – per sua propria disgrazia – il comando di tutto l’esercito, tra la soddisfazione diffusa di tutti i tribuni, i generali, i soldati. Fu così che Massimino ricondusse l’esercito, che si era in gran parte infiacchito sotto Eliogabalo, al regime di vita militare da lui instaurato.»

Historia Augusta, Massimino il Trace, 4, 1-8; 6,1, 7,2

Quando, durante la campagna germanica di Severo Alessandro l’imperatore preferì trattare con i barbari i soldati non ci pensarono due volte ad acclamare loro principe il forzuto Massimino, che eliminò il contendente, dando inizio all’anarchia militare (235-284). Divenuto imperatore con la sola forza delle armi, Massimino non andò a Roma per ottenere l’appoggio del senato, anzi, continuò la guerra contro i germani e in particolare gli alemanni. Inoltre cambiò tutti (o quasi) i funzionari di Alessandro:

«Infatti, per nascondere le sue basse origini, fece uccidere tutti coloro che ne erano a conoscenza, molti anche tra i suoi amici, che spesso in passato, mossi a pietà della sua povertà, gli avevano fatto generosi doni. In effetti non vi fu mai al mondo un essere così crudele, che riponeva ogni sua fiducia nella propria forza fìsica, come ritenesse di non poter essere ucciso. Fu così che, mentre lui si credeva praticamente immortale a motivo della sua prestanza fisica e della sua grande forza, un attore di mimi – a quanto raccontano – recitò a teatro in sua presenza dei versi greci che in latino suonavano così: «Anche chi non può essere ucciso da uno solo, da molti può essere ucciso. L’elefante è grande, e viene ucciso, il leone è forte, e viene ucciso, la tigre è forte, e viene uccisa: guàrdati dai molti, se non temi i singoli». E questi versi furono recitati alla presenza stessa dell’imperatore. Ma quando egli chiese agli amici che cosa significava quanto aveva recitato l’attore, gli fu risposto che quello cantilenava antichi versi scritti contro uomini violenti, e lui, da quel barbaro Trace che era, ci credette. Non voleva aver vicino alcun nobile, governava né più né meno che al modo di Spartaco o Atenione. Inoltre mise a morte in vari modi tutti i funzionari di Alessandro. Cercò di sopprimere le disposizioni che costui aveva emanate. E nel suo sospettarne gli amici e i collaboratori, divenne ancor più crudele. Già per indole portato a conformarsi al modo di agire di una belva, fu reso ancora più duro e sanguinario dalla congiura ordita contro di lui da un certo Magno, un ex console, il quale, assieme a molti soldati e centurioni, aveva tramato per assassinarlo, mirando ad impadronirsi del potere. E le modalità del complotto erano queste: dato che Massimino voleva passare nel territorio dei Germani gettando un ponte, si era stabilito che i congiurati lo attraversassero con lui, dopo di che il ponte venisse abbattuto ed egli, trovandosi ormai alla loro mercé in territorio barbarico, fosse così ucciso, mentre Magno avrebbe assunto il potere. C’è infatti da ricordare che Massimino, non appena divenuto imperatore, aveva intrapreso ogni sorta di campagne militari, conducendole con grande energia e sfruttando la sua perizia nell’arte bellica, volendo salvaguardare la reputazione che si era guadagnato, e superare agli occhi di tutti la fama di Alessandro, che lui aveva ucciso. Perciò anche da imperatore, teneva ogni giorno in esercizio i suoi soldati, e lui stesso era sempre in armi, offrendo continuamente all’esercito dimostrazioni di ciò che sapeva fare con la forza del suo braccio e con la sua resistenza fisica. E quanto a codesta congiura si insinua pure che sia stato Massimino stesso a simularla, onde aumentare i pretesti per esercitare la sua crudeltà. Sta di fatto che egli mise a morte tutti i congiurati senza processo, senza accusa, senza delatore, senza difesa, proscrisse i beni di tutti, né bastarono a saziarlo più di quattromila vittime.»

Historia Augusta, Massimino il Trace, 9, 1-8; 10, 1-6

Il senato, non sopportando più Massimino, decise allora di scegliere come imperatore il governatore d’Africa, Gordiano, che era insorto contro Massimino. Ma la rivolta fu placata nel sangue dal governatore della Numidia Cappelliano:

«Quando Massimino venne a conoscenza di questo decreto senatorio, uomo feroce di sua natura qual era, arse d’ira a tal punto che lo si sarebbe creduto non un uomo, ma una belva. Si scagliava contro le pareti, talora si buttava a terra, lanciava urla inconsulte, dava di piglio alla spada, quasi che con quella potesse uccidere il senato, si strappava la veste regale, percuoteva i servi di corte, sì che, se non si fosse tolto di mezzo, avrebbe addirittura – come riferiscono certuni – cavato gli occhi al proprio figlio giovinetto. Il motivo della sua collera nei confronti del figlio era che egli, non appena proclamato imperatore, gli aveva ordinato di andare a Roma, e quello invece, per il suo eccessivo attaccamento al padre, non lo aveva fatto; ora, lui era convinto che se il figlio si fosse trovato a Roma, il senato non avrebbe osato prendere alcuna iniziativa. Alla fine gli amici riuscirono a trascinarlo, furioso com’era, nella sua stanza. Ma, incapace di dominare il suo furore, si dice che, per dimenticare quel pensiero, il primo giorno si riempì di vino a tal punto da non ricordare più che cosa fosse accaduto.»

«Ma Gordiano in Africa si trovò fin dall’inizio a dover fronteggiare l’opposizione di un certo Capeliano, che aveva deposto dal governo della Mauritania. Mandò allora contro di lui il suo giovane figlio, ma, essendo rimasto questi ucciso nel corso di una sanguinosissima battaglia, egli stesso si tolse la vita impiccandosi, conscio che Massimino era molto potente, mentre gli Africani, oltre a non disporre di forze valide, erano per giunta al contrario assai poco fidati. Allora Capeliano, risultato vincitore in nome di Massimino, mise a morte e proscrisse tutti i fautori di Gordiano in Africa, senza risparmiare alcuno, proprio come se operasse all’evidenza queste cose eseguendo la volontà di Massimino. Distrusse inoltre città, saccheggiò templi, distribuì tra i soldati i doni votivi, fece strage fra la plebe e i maggiorenti delle città. Egli stesso cercava poi di conciliarsi il favore dei soldati, predisponendosi ad assumere il potere, nel caso che Massimino fosse morto.»

Historia Augusta, Massimino il Trace, 17, 1-5; 19, 1-5

Massimino aveva forse sottovalutato la rivolta. Nonostante la sconfitta di Gordiano padre e figlio, il senato continuò a osteggiarlo, nominando imperatori due senatori, Pupieno e Balbino, associando a loro Gordiano III (nipote di Gordiano I) come Cesare. La rivolta dei Gordiani era nata anche perché la guerra in Germania aveva spinto Massimino ad aumentare le tasse, e i senatori non erano più disposti a pagare le guerre di un imperatore che li oltraggiava. Massimino, tornando in Italia per affrontare il senato, assediò la ribelle Aquileia. Subì ingenti perdite; fu allora che i soldati si ammutinarono, uccidendolo. Era il 238 d.C., e aveva regnato solo tre anni:

«Allora Massimino, presumendo che la guerra andasse per le lunghe per via dell’inerzia dei suoi, mise a morte, proprio nel momento che sarebbe stato meno opportuno, i suoi generali. Con il che accrebbe vieppiù il risentimento dei soldati contro di lui. A ciò si aggiungeva il fatto che si trovava a corto di vettovagliamenti, giacché il senato aveva mandato a tutte le province e ai custodi dei magazzini un dispaccio con l’ordine che nessun tipo di rifornimento cadesse nelle mani di Massimino. Aveva inoltre inviato per tutte le città elementi che erano stati in passato pretori e questori, con l’incarico di predisporre in ogni luogo misure di sicurezza, e di difendere ogni cosa dagli attacchi di Massimino. E così si ebbe che l’assediante stesso venne a trovarsi nelle critiche condizioni di un assediato. Frattanto si spargeva la notizia che il mondo intero si era dichiarato concordemente ostile a Massimino. Perciò i soldati che avevano i loro cari sul monte Albano, presi da timore, verso mezzogiorno, in un momento di pausa del combattimento, uccisero Massimino e suo figlio, mentre erano coricati sotto la tenda, e, infilate le loro teste in cima a due picche, ne fecero mostra agli Aquileiesi. Allora nella vicina città vennero immediatamente abbattute le statue e i busti di Massimino, e il suo prefetto del pretorio fu ucciso assieme ai suoi amici più in vista. Le loro teste, inoltre, furono inviate a Roma.»

Historia Augusta, Massimino il Trace, 23, 1-7

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Massimino, l’imperatore gigante
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