Alla morte del padre Caro, nel 283, Numeriano si trovava già in oriente, pronto a prendere il comando dell’esercito. Era nato nel 253 circa, e l’Historia Augusta narra di come fosse un abilissimo oratore e poeta, uno dei migliori del tempo, tanto da avere una statua a Roma per queste capacità prima ancora che come Cesare e imperatore.

Numeriano ritornò in Italia, ma a causa di una malattia agli occhi (forse dovuta alla mancanza di sonno), fu costretto a continuare il viaggio in lettiga. E fu così che morì, in circostanze poco chiare, nel novembre del 284. Forse di malattia o forse ucciso dal prefetto al pretorio Arrio Apro.

Quest’ultimo continuava stranamente a nascondere il corpo, finché l’odore nausebondo lo fece scoprire; i soldati decisero allora di eleggere loro imperatore il loro comes domesticorum, il dalmata Valerio Diocle, che divenne principe il 20 novembre del 284 e fece immediatamente giustiziare Arrio Apro. Prese anche il nome, più latino, di Diocleziano:

«Egli accompagnò il padre nel corso della guerra di Persia. Dopo la sua morte, mentre aveva cominciato a soffrire agli occhi – un genere di disturbo che, sfinito com’era dalle eccessive veglie, gli era quanto mai abituale –, e veniva portato in lettiga, fu assassinato da una congiura ordita dal suocero Apro, che tramava per impadronirsi del potere. Per molti giorni i soldati chiesero notizie sulla salute dell’imperatore, ma Apro diceva loro che non era possibile vederlo, in quanto egli doveva tenere lontani dal vento e dal sole i suoi occhi gravemente indeboliti: quando però il fetore mandato dal cadavere svelò il delitto, tutti si gettarono su Apro, il cui complotto non poteva più rimanere nascosto e lo trascinarono davanti alle insegne e al quartier generale. Si tenne allora una grande assemblea e fu allestito anche un palco. E quando fu posta la questione di chi dovesse diventare, a preferenza d’altri, il giusto vendicatore di Numeriano e di chi si doveva dare allo Stato quale buon sovrano, tutti, in una unanimità che ha del divino, proclamarono Augusto Diocleziano, che – a quanto si diceva – aveva già ricevuto molti presagi del futuro impero e che a quel tempo comandava la guardia personale dell’imperatore: un uomo insigne, accorto, amante dello Stato, amante della sua famiglia, e preparato a far fronte a tutte le esigenze del momento; capace sempre di concepire alti disegni, talvolta peraltro duro nei suoi atteggiamenti, ma dotato di una saggezza in grado di dominare con grande caparbietà i moti del suo animo inquieto. Dopo che, salito sulla tribuna, fu proclamato Augusto, mentre ci si chiedeva in che modo Numeriano fosse stato ucciso, egli, sguainata la spada, additò il prefetto del pretorio Apro e lo colpì esclamando: «Questo è l’assassino di Numeriano». Così Apro, che aveva vissuto una sporca vita improntata a perfidi disegni, trovò una fine degna dei suoi costumi. Mio nonno riferiva di essere stato presente all’assemblea in cui Apro era stato ucciso per mano di Diocleziano; egli diceva che Diocleziano, nell’atto di colpire Apro, ebbe ad esclamare: «Sii orgoglioso, Apro, ‘ per mano del grande Enea tu cadi ’». Mi stupisco di trovare questa citazione sulla bocca di un uomo d’armi, per quanto sappia bene che molti militari ricorrono spesso ad espressioni in greco e in latino tratte dai comici o da altri poeti del genere.»

(Historia Augusta, Caro, Numeriano e Carino, 12,1 – 13,4)

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