Ottaviano, rimasto unico padrone della res publica, dopo aver collezionato diversi consolati rimise infine la carica nel 27 a.C. (la dittatura era stata abolita dopo la morte di Cesare) e il senato, per riconoscere il suo ruolo, gli diede il titolo di Augusto e una serie di poteri, come l’imperium proconsulare maius, che gli dava il comando supremo sull’esercito. Infine nel 23 a.C. ottenne anche la tribunicia potestas, divenendo dunque inviolabile e avendo diritto di veto; ottenne anche il pontificato massimo alla morte di Lepido e il titolo di pater patriae. I poteri gli venivano rinnovati periodicamente ma di fatto aveva svuotato la repubblica per creare una forma di governo monarchica che si giustapponeva alle strutture repubblicane, formalmente intatte (continuavano a esistere i consoli).

«Due volte Augusto pensò di restaurare la repubblica: una prima volta sùbito dopo aver fiaccato Antonio, ricordando che da questo gli era stato ripetutamente rinfacciato che dipendeva proprio da lui il fatto che essa non fosse restaurata; poi, di nuovo, perché stanco di una lunga malattia. In questa occasione, anzi, convocate le autorità e il Senato in casa sua, consegnò loro un rendiconto finanziario dell’impero. Ma, considerando che come privato cittadino egli sarebbe stato sempre in pericolo, e che era rischioso affidare lo Stato all’arbitrio di più persone, continuò a tenerlo in pugno lui. Non si sa se con migliore risultato o con migliore intenzione. Questa intenzione egli non solo la sbandierò di tanto in tanto, ma una volta giunse a proclamarla in un comunicato ufficiale: «Vorrei proprio che mi fosse possibile rimettere al suo posto sana ed indenne la repubblica, e godere il frutto che io cerco di questa restaurazione, di essere detto cioè fondatore di un ottimo Stato, e di portare con me, morendo, la speranza che rimangano salde le fondamenta dello Stato, quali io avrò gettato». Ed egli stesso fu realizzatore del suo voto, sforzandosi in ogni modo a che nessuno avesse a dolersi della nuova situazione. La città non era adorna in proporzione della sua maestà, ed era esposta a inondazioni e ad incendi: ebbene, egli la abbellì a tal punto che giustamente si potè gloriare di lasciarla di marmo, mentre l’aveva ricevuta di mattoni. E, per quanto una mente umana poteva prevedere, la rese sicura anche per l’avvenire.»

SVETONIO, AUGUSTO, 28

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Da Augusto alla creazione dell’impero

Ottaviano avrebbe mantenuto il potere dal 27 a.C. al 14 d.C., divenendo il primo imperatore romano. In punto di morte, stando a Svetonio, Ottaviano avrebbe detto: “Acta est fabula. Plaudite!” (“È finito lo spettacolo. Applaudite!”). Nelle ore precedenti Livia si chiuse in stanza con Augusto e nessuno seppe cosa accadde, se ne forzò la dipartita per favorire il figlio o altro, tanto che Tiberio riuscì ad arrivare giusto in tempo per vedere il padre adottivo morire. Il corpo fu riportato a Roma; Tiberio e suo figlio Druso minore fecero un’orazione funebre, poi le ceneri vennero poste nel mausoleo di Augusto.

«Mentre si parlava di queste cose e di altre simili, le condizioni di salute di Augusto si aggravavano e alcuni sospettavano la moglie di assassinio. Poiché s’era sparsa la voce che pochi mesi prima Augusto, confidatosi con pochi e accompagnato dal solo Fabio Massimo, si fosse recato a Pianosa per incontrare Agrippa; ivi, tra lacrime e dimostrazioni reciproche d’affetto, era sorta la speranza che il giovane potesse esser reso alla famiglia dell’avo. Fabio Massimo avrebbe riferito il fatto alla moglie Marcia, questa a sua volta a Livia. Cesare ne sarebbe stato informato. E non molto tempo dopo, spentosi Fabio – non si sa se di morte volontaria – ai funerali si sarebbe udita Marcia accusare piangendo se stessa d’esser stata la causa della morte del marito. Comunque sia andata, Tiberio era appena arrivato nell’Illirico, quando fu richiamato precipitosamente da una lettera della madre. E non è stato mai chiaro se abbia trovato Augusto in fin di vita, nei pressi di Nola, o già spirato. Livia infatti teneva il palazzo e le vie sbarrate con rigorosa custodia sì che di tanto in tanto correvano voci d’un miglioramento; fino a che, presi i provvedimenti che il momento esigeva, si seppe nello stesso momento che Augusto era deceduto e che Tiberio assumeva il potere.»

TACITO, ANNALI, I, 5

I suoi successori, appartenenti all dinastia Giulio-Claudia, furono Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone, tutti imparentati con Tiberio, figlio di Livia e che aveva adottato qualche anno prima. Ma nessuno di loro venne ricordato dai posteri come imperatore particolarmente buono, forse anche perché ostacolati dalla figura pesante di Augusto. Alla morte di Nerone scoppiò la guerra civile e prevalse Vespasiano, che diede vita alla dinastia Flavia, terminata bruscamente con l’assassinio di suo figlio Domiziano, nel 96 d.C. Vespasiano fu un buon imperatore, ma venne annoverato più per la sua durezza e avarizia che non per il suo temperamento:

“Al figlio Tito, che lo criticava perché aveva escogitato perfino un’imposta sull’urina, mise sotto il naso il denaro ricavato dal primo versamento, chiedendogli se era disturbato dall’odore; e poiché egli rispose di no: «Eppure», disse, «viene dall’urina». Quando certi ambasciatori gli annunciarono che gli era stata decretata, a spese pubbliche, una statua colossale, di non lieve costo, rispose che la erigessero anche subito e, mostrando il cavo della mano, disse che il «piedistallo era pronto».”

SVETONIO, VESPASIANO, 23

Alla morte di Domiziano il senato elesse imperatore il senatore Nerva, che adottò, in base alla scelta del migliore, Marco Ulpio Traiano, comandante delle legioni renane.

Traiano

Traiano era nato a Italica, il 18 settembre del 53 d.C. Dopo aver seguito il padre governatore di Siria, divenne console nel 91. Governatore della Germania Superiore quando Nerva lo adottò, gli successe già il 28 gennaio del 98. Il passaggio di potere non fu traumatico e avvenne senza problemi. Traiano decise però subito di espandere il corpo dei frumentarii, che da addetti al rifornimento del grano, divennero delle spie; introdusse anche una nuova guardia armata a cavallo, gli equites singulares, che sostituivano i germani corporis custodes usati dai Giulio-Claudi; tuttavia la provenienza etnica di queste truppe, per quanto regolamentate, era pur sempre germanica e pannonica in larga parte, reclutati fra le migliori truppe ausiliarie.

Il princeps aumentò le distribuzioni di frumento al popolo; inoltre perfezionò il sistema degli alimenta, creato da Nerva: si trattava di prestiti perpetui al 5% concessi dal fisco imperiale ai proprietari italici; i proventi, riscossi dalle amministrazioni cittadine, erano usati per i bambini poveri. In tal modo si cercava sia di favorire la piccola proprietà italica sia di aumentare la quantità di italici “recrutabili”. Traiano inoltre obbligò i senatori a possedere un terzo delle loro proprietà sul suolo italico, che mantiene ancora un primato politico invidiabile (lo ius italicum era l’apice per un cittadino romano).

L’imperatore ispanico fu anche un costruttore: edificò le sue terme, create da Apollodoro di Damasco (nel 109), sopra la domus aurea, interrata, e diede finalmente a Roma un nuovo enorme porto esagonale, a Porto, a nord di Ostia, superando la soluzione di Claudio, il cui porto si era rapidamente insabbiato. Inoltre Traiano fece costruire un nuovo acquedotto, l’Aqua Traiana e, grazie anche al bottino della guerra dacica, realizzò un nuovo foro, con la Basilica Ulpia, i Mercati Traianei e la famosa Colonna, oltre a due biblioteche, una greca e una latina. Viene ricordato come uomo buono: rispettò gli altri e non si comportò come tiranno. Pare che a chi gli domandasse perché tenesse aperte le porte del palazzo imperiale, ricevendo chiunque, avesse esclamato di voler trattare gli altri semplicemente come si sarebbe aspettato di essere accolto se fosse stato al loro posto.

L’optimus princeps

Traiano fu però principilmente un conquistatore: nel corso di due guerre, nel 101-102 e 105-106 sottomise i daci di Decebalo, vendicando le sconfitte subite ai tempi di Domiziano. Le gesta di Traiano furono raccontate sulla famosa Colonna, sulla cui cima era presente una statua dell’imperatore. Dopo duri combattimenti i romani sottomisero totalmente la Dacia, trasformandola in provincia. Era ricchissima d’oro, che affluirà nelle casse romane e garantirà cinquant’anni di prosperità economica. Venne annessa anche l’Arabia, con una successiva penetrazione romana sul mar Rosso e quindi una maggiore tutela dei commerci con l’oriente.

Qualche anno dopo Traiano, dopo aver annesso anche l’Arabia e l’Armenia, nel 114, ricevendo il titolo dal senato di optimus princeps, attaccò i parti, conquistando Ctesifonte nel 115. Nel 114 Traiano decise di accettare il titolo, da parte del senato, di optimus princeps, che condivideva con Giove. Nel Panegirico di Traiano, scritto da Plinio il Giovane, tratteggia l’imperatore come il principe ideale e lo stesso fa Dione di Prusa nei Discorsi sulla regalità: sostanzialmente Traiano è il perfetto civis romanus. Con il senato Traiano si comportò rispettosamente: aumentarono sempre più i provinciali, che erano ormai quasi la metà, ma l’imperatore obbligò ogni senatore a possedere almeno un terzo delle proprietà in Italia.

«[Traiano] Marciava a piedi insieme alle truppe del suo esercito, e si curava dello schieramento e la disposizione delle truppe durante tutta la campagna, conducendoli a volte in un solo ordine e a volte in un altro; ed attraversò tutti i fiumi che loro attraversavano. A volte anche fece anche sì che i suoi esploratori mettessero in circolazione notizie false, in modo che i soldati potessero fare pratica allo stesso tempo di manovre militari e diventare coraggiosi e pronti ad ogni eventuale pericolo. Dopo che aveva catturato Nisibis e Batnae gli fu conferito il nome di Parthicus; ma era molto più orgoglioso del titolo di Optimus rispetto a tutto il resto, in quanto esso si riferiva più al suo carattere rispetto alle sue armi.»

CASSIO DIONE COCCEIANO, STORIA ROMANA, LXVIII, 23, 1-2

Tuttavia lasciò che il senato eleggesse i magistrati senza intromissioni (tranne alcuni casi come l’invio di Plinio in Bitinia) e perfezionò l’amministrazione, con una carriera definita per il ceto equestre, che in quel momento aveva il controllo degli apparati e uffici burocratici di tutto l’impero: tutti gli uffici centrali erano diretti da cavalieri tranne quello a libellis et censibus. Il regno di Traiano apportò poche correzioni nel complesso all’epoca di Domiziano (più che altro lasciò una forte impronta edilizia grazie ai massicci bottini raccolti – come la costruzione del porto esagonale di Ostia e di numerosi monumenti celebrativi, come archi di trionfo), ma influenzò positivamente i contemporanei, tanto che agli imperatori successivi si augurava di essere “più felici di Augusto e migliori di Traiano“.

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Più fortunato di Augusto, migliore di Traiano
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