Il nome di Pompei deriva probabilmente dal greco πημπο o πομπη, a partire dall’osco pompè o pumpè, termine legato al numerale cinque: la città infatti nacque come opera di sinecismo di cinque villaggi preesistenti. Esisteva anche una leggenda già diffusa in età antica, diffusa anche da Servio Manio Onorato nei suoi commenti all’Eneide, secondo cui la città sarebbe sorta in seguito al passaggio di Eracle, di ritorno dalla Spagna dove aveva vinto il gigante Gerione. I greci che abitavano la Campania Felix gli avrebbero offerto una ‘pompa magna’, ossia una manifestazione trionfale, da cui sarebbe generato il nome di Pompei. La città venne fondata forse dagli opici, che occuparono la base delle pendici del Vesuvio, vicino al golfo di Napoli e alla foce del fiume Sarno, ma i primi edifici furono degli osci, che fondarono alcuni villaggi, riuniti in una singola città (le attuali regio VII e VIII degli scavi), passata probabilmente sotto l’influenza etrusca poco dopo il 524 a.C., anno in cui fondarono Capua.

Gli etruschi dunque in quel periodo non controllavano solo Roma ma il loro potere politico si era spinto molto più a sud. Tale potere, indebolito dalla ribellione di Roma del 509 e la strenua resistenza ai tentativi di riprendersela di Porsenna e Tarquinio, culminati nella vittoria romana del lago Regillo del 494 a.C., cominciò a scricchiolare ovunque e gli etruschi persero la Campania dopo la sconfitta inflitta dai cumani nel 474 a.C.

La Campania, liberata dall’influsso etrusco tornò a gravitare verso quello greco e osco-sannita e la stessa Pompei divenne greca-sannita nel 424 a.C.; venne restaurato il tempio di Apollo e quello di Giove, rinforzate le mura e fondata una nuova parte della città nella attuale regio VI.

Dopo più di un secolo di dominazione sannita, durante la seconda guerra sannitica la città capitolò e passò ai romani, ai quali rimase fedele anche nella seguente terza guerra contro i sanniti e contro Pirro. Nel III e II secolo la città raggiunse la sua attuale forma e sotto la spinta romana ebbe un forte sviluppo sociale e urbanistico e una floridezza data dalla grande produzione agricola della zona, favorita dal terreno vulcanico e la vicinanza al mare. Non molto lontano da Pompei Augusto avrebbe stanziato a Capo Miseno la flotta più importante dell’impero.

Pompei tuttavia si schierò dalla parte sbagliata durante la guerra sociale, spingendo i romani, dopo la riconquista di Stabia ed Ercolano, sotto la guida di Silla, a catturare la città vesuviana, attaccata simultaneamente per terra e per mare. Nonostante il duro attacco romano, i quiriti dovettero vincere un’altra aspra battaglia presso Nola per far capitolare la città, arresasi in modo pacifico. Gli abitanti ottennero la cittadinanza, come prevedeva la lex Iulia de civitate e iscritti nella tribù Menenia. Pompei divenne un municipium gestito da quadrumviri, ma già nell’80 a.C. Silla decise di dedurre in loco una colonia, ribattezzando la città Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum e creando un ordo decurionum, un senato locale di ottanta-cento persone, guidati da duoviri ed edili. Tuttavia la dominazione romana non sembra essere opprimente: con l’avvento dell’impero l’aristocrazia locale decise di romanizzarsi spontaneamente e adorare Augusto.

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Pompei contro Nocera

Nel 59 d.C. scoppiò un curioso avvenimento, che ricorda gli episodi degli stadi moderni, nella città di Pompei, che pochi anni dopo sarebbe stata seppellita dall’eruzione del Vesuvio e scomparsa dalla storia per diciassette secoli. Grazie ad un affresco ritrovato a Pompei abbiamo anche una rappresentazione dell’evento, che conferma quanto riportato da Tacito:

«Nello stesso lasso di tempo per lievi motivi scoppiò un conflitto feroce tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei a proposito d’uno spettacolo di gladiatori, offerto da Livineo Regolo che, come ho già detto, era stato espulso dal Senato. La gente, con la mancanza di freni tipica di quelle città, incominciò con lo scambio di ingiurie, poi passò alle pietre, e finirono con l’impugnare le armi; ed ebbe la meglio la plebe di Pompei, dove aveva luogo lo spettacolo. Di conseguenza molti dei Nucerini tornarono nella loro città il corpo coperto di ferite, la maggior parte piangendo la morte di figli o di genitori.»

TACITO, ANNALI, XIV, 17

I giochi gladiatori si tenevano a Pompei ed ospiti erano gli abitanti di Nocera. Tuttavia tra i due non correva buon sangue, poichè pochi anni prima i pompeiani avevano perso parte del proprio territorio agricolo, che era stato dato ai nocerini dopo la deduzione a colonia di Nuceria Alfaterna.

Nel corso dello spettacolo cominciarono a volare i primi insulti e da lì si passò alle mani e poi alle armi: i nocerini, inferiori in numero, ebbero la peggio e la zuffa si trasformò in un massacro. Pochi furono quelli che riuscirono a salvarsi e tornare a casa, con i pompeiani che davano libero sfogo all’astio represso. La questione fu talmente grave che arrivò in senato, dove intervenne lo stesso Nerone. Infine si decise di vietare ai pompeiani per dieci anni ogni genere di spettacolo gladiatorio e lo scioglimento dei collegia. Il senatore Livineo Regolo, organizzatore dei giochi, e altri aizzatori vennero esiliati:

«Il principe deferì il giudizio sul fatto al Senato, il Senato ai consoli; poi la cosa tornò ai Padri Coscritti e ai Pompeiani furono vietate per dieci anni riunioni del genere; e le loro associazioni, create illegalmente, furono sciolte. Livineo e quanti altri avevano provocato quell’incidente furono puniti con l’esilio.»

TACITO, ANNALI, XIV, 17

Nella casa di Actius Anicetus, nota come Casa della pittura dell’anfiteatro, è presente un affresco che ritrae l’accadimento: si possono intravedere il velarium dell’anfiteatro, le mura cittadine alle sue spalle, una grande palestra e una piscina, mentre i pompeiani e i nocerini si azzuffano. Di certo dal senato era arrivata una forte ammonizione, ma i pompeiani probabilmente andavano ancora fieri di averla fatta pagare ai vicini nocerini. Infine, nella Casa dei Dioscuri, è stato trovato un graffito che parla della rissa:

«O campani, in quella vittoria
siete morti insieme ai nocerini»

CIL IV, 01293

L’eruzione

Il 5 febbraio del 62 d.C. l’area di Pompei era stata interessata da un violento terremoto, che avrebbe dunque preannunciato il successivo evento catastrofico; nel 79 d.C. ancora non erano stati compiuti del tutto i lavori di ricostruzione, ed alcuni erano appena terminati. Con epicentro nella vicina Stabia, il sisma provocò numerosi danni e crolli, testimoniati dagli affreschi della casa di Lucio Cecilio Giocondo, i danni a Porta Vesuvio, al Castellum Aquae e al foro e al tempio di Giove. Molti tra i più ricchi si trasferirono altrove, salvandosi poi dall’eruzione, mentre in città si andava formando una nuova borghesia di estrazione proletaria-libertina.

« Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un’uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d’esercitare qui tanto potere. »

MARZIALE, LIB. IV. EP. 44

Il mons Vesuvius era considerato dai romani un monte: in cima crescevano alberi e nulla lasciava intendere che al di sotto ci fosse la caldera di un vulcano; basti pensare che quasi due secoli prima Spartaco si era proprio accampato lì mentre fuggiva dai romani e aveva poi sorpreso e decimato nella notte le truppe di Claudio Glabro che lo assediavano. Intorno all’una del pomeriggio del 24 agosto 79 d.C. (alcuni, in base a un codice rinascimentale e evidenze archeologiche – come la presenza di abiti più pesanti e frutti autunnali come noci spostano la data al 24 ottobre) con un boato terribile il Vesuvio eruttò.

Le sostanze eruttate per prime dal Vesuvio furono fondamentalmente pomici,quindi rocce vulcaniche originate da un magma pieno di gas e raffreddato. Mescolate alle pomici si trovano parti di rocce di altra natura che furono trasportate dal magma. Tuttavia molti morirono soffocati e/o colpiti da grandi detriti/pomici. Infine, chi sopravviveva, spesso messosi in salvo negli edifici, ne rimaneva vittima quando questi crollavano sotto il peso dei detriti e delle pomici. Chi si era dato prontamente alla fuga verso Nocera si era salvato, chi aveva scelto il mare no: infatti il vento tirava in direzione di Stabia ed Ercolano. Gli abitanti di quest’ultima, affollati sulla banchina e in attesa dell’arrivo della flotta romana ormeggiata a Miseno, non molto distante, venne investita da una nube ardente che li polverizzò. La testimonianza più rilevante della tragedia è quella di Plinio il Giovane, testimone quasi oculare, dato che si trovava in quei giorni a Miseno, a poca distanza da Pompei ed Ercolano. Trent’anni dopo descrisse l’evento all’amico Tacito:

« Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna [si seppe poi che era il Vesuvio]: nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami.»

In questa lettera Plinio il Giovane riferì anche le testimonianze sulla morte dello zio Plinio il Vecchio (senatore, uomo di cultura, amante della natura e autore della memorabile Naturalis Historia). Lo zio, comandante della flotta romana, di stanza a Capo Miseno, si era diretto ad Ercolano per andare ad aiutare la famiglia dell’amico Cesio Basso: egli provò a raggiungere la località vesuviana via mare, ma fu costretto a cambiare rotta, per cui si diresse verso Stabia, facendosi ospitare da Pomponiano. Tuttavia, anche Stabia fu investita dall’eruzione (il vento spingeva nella direzione dove si trovava Plinio) e, soffocato dai vapori tossici, Plinio il Vecchio morì. In una seconda lettera a Tacito descrisse ciò che accadde a Miseno. Egli racconta delle scosse di terremoto avvenute giorni prima, e la notte dell’eruzione le scosse «crebbero talmente da far sembrare che ogni cosa […] si rovesciasse». Inoltre, pareva che «il mare si ripiegasse su se stesso, quasi respinto dal tremare della terra», così che «la spiaggia s’era allargata e molti animali marini giacevano sulle sabbie rimaste in secco».

« Crederanno le generazioni a venire […] che sotto i loro piedi sono città e popolazioni, e che le campagne degli avi s’inabissarono? »

Stazio, Silvarum Liber III

L’imperatore Tito, succeduto al padre Vespasiano nel giugno dello stesso anno, cercò di portare aiuto attingendo anche al proprio patrimonio personale, ma le città di Pompei ed Ercolano, travolte dal Vesuvio, non vennero più ricostruite. Gli unici superstiti furono coloro i quali da Pompei si diressero subito verso Nocera; tutti quelli che si erano attardati vennero travolti dalla nube di gas, lapilli, cenere, e infine dalla colata stessa. Ad Ercolano la popolazione non aveva trovato via di scampo verso l’interno e si era dovuta rifugiare nella banchina del porto, in attesa di aiuto da parte della flotta di Miseno: Plinio infatti era salpato immediatamente, ma fu costretto a cambiare rotta e morì anch’egli per via dell’eruzione, mentre la gente di Ercolano, senza possibilità di fuga, fu travolta dall’eruzione.

24 agosto o 24 ottobre?

L’eruzione del Vesuvio è stata per secoli datata al 24 agosto del 79 d.C., sebbene molte prove (tra cui una scritta rinvenuta recentemente) lascino intendere che la data dell’eruzione fosse in autunno: alcuni hanno ipotizzato un errore di trascrizione nei manoscritti medievali di “nov.” – november – in september, e quindi postdatato l’eruzione al 24 ottobre, anche in base a rinvenimenti come quelli di frutti tipicamente autunnali come le noci e bracieri per riscaldarsi; recentemente sembra sia stata trovata anche una moneta di Tito successiva al 24 agosto e precedente al 24 ottobre, oltre a un graffito che è datato e posteriore al 24 agosto).

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Pompei – la più famosa città del mondo antico
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