Gneo Pompeo Magno, nato nel 106 a.C., di origine picena, era figlio del console omonimo Gneo Pompeo Strabone. Questi si era distinto durante la guerra sociale, dove nelle ultime fasi concesse la cittadinanza romana per la prima volta a dei soldati ausiliari (prassi poi consolidatasi in età imperiale) e con la lex Pompeia concesse il diritto latino agli abitanti della Cisalpina. Anche il giovane Pompeo aveva seguito il padre nella guerra sociale, facendo le prime esperienze militari, cui ne seguirono altre negli anni successivi sotto Silla.

Le prime esperienze

Nei successivi scontri tra optimates e populares (i primi sillani, i secondi mariani), Pompeo parteggiò per i primi, ottenendo molti successi, ma non partecipò alla terribile battaglia di Porta Collina in cui Silla fece un vero e proprio massacro.

Sertorio

Dopo aver affrontato i mariani in Italia e Africa, Pompeo ricevette il comando per affrontare Quinto Sertorio, ancora ribelle in Spagna. Nonostante gli fosse stato disposto dal console Quinto Lutazio Catulo, nel 78 a.C., di scogliere il suo esercito, Pompeo rimase in armi nei pressi di Roma finché non ottenne il comando per la campagna spagnola.

Arrivato in Spagna, Pompeo trovò un nemico tenace, che conosceva molto bene il luogo. Sertorio sconfisse anche il comandante piceno a Laurone. Dopo alterne vicende i due si scontrarono di nuovo al fiume Sucrone, dove Pompeo, temendo l’arrivo di Metello Pio che avrebbe potuto sottrarre i suoi meriti o parte di essi, decise di attaccare subito. Lo stesso Pompeo comandò l’ala destra, ma i sertoriani lo respinsero e riuscì a ripiegare con molta difficoltà, finchè l’arrivo di Metello Pio permise di evitare la disfatta.

Per i successivi cinque anni, dal 76 al 71 a.C., continuò la guerriglia di Sertorio contro Pompeo, che non riuscì ad avere la meglio contro di lui; infine Sertorio, mai sconfitto sul campo, cadde assassinato.

Spartaco

Di ritorno dalla dura campagna ispanica, Pompeo tornò in Italia, proprio mentre Crasso stava sbaragliando gli schiavi ribelli guidati da Spartaco: intercettò i fuggitivi, diverse migliaia, che furono poi crocifissi lungo la via Appia. Nel 71 a.C. infine, fu eletto console console per il 70 a.C., a trentacinque anni (quindi prima dell’età legale), insieme a Crasso.

La guerra contro i pirati

Nel 67 a.C. Pompeo ricevette un comando straordinario contro i pirati che infestavano il Mediterraneo, attribuendogli poteri straordinari, mentre Lucullo era ancora impegnato militarmente con Mitridate e Tigrane II d’Armenia.

Nel giro di pochi mesi riuscì a sradicare la pirateria da tutto il Mediterraneo orientale, specialmente l’isola di Creta e le coste meridionali dell’Anatolia, mentre la Cilicia, covo di pirati, divenne provincia romana. Grazie alla lex Manilia nel 66 a.C. ottenne il comando della guerra contro Mitridate, estendendo di fatto il suo potere sulla riorganizzazione dell’intero Mediterraneo orientale. Lucullo, che pure stava ottenendo buoni risultati, fu costretto a cedere il comando:

«Si salutarono l’un l’altro in modo amichevole, e ciascuno si congratulò con l’altro per le sue vittorie. Lucullo era l’uomo più anziano, ma il prestigio di Pompeo era più grande, perché aveva condotto campagne più importanti, e celebrato due trionfi. Fasci incoronati di alloro erano portati nei cortei di entrambi i comandanti, in ricordo delle loro vittorie, e poiché Pompeo aveva fatto una lunga marcia attraverso delle regioni aride senza acqua, l’alloro che avvolgeva i suoi fasci si era inaridito. Quando i littori di Lucullo videro ciò, premurosamente diedero ai littori di Pompeo alcuni rametti del loro alloro, che invece era fresco e verde. Questa circostanza fu interpretata come un buon auspicio da parte degli amici di Pompeo, perché, con questo gesto, il prestigio di Lucullo ornava ora il comando di Pompeo. Tuttavia, il loro incontro non portò a nessun accordo equo tra le parti, ed al contrario li portò a dividersi ancor più. Pompeo [infatti poco dopo] annullò le ordinanze di Lucullo, e portò via tutto, eccetto mille e seicento dei suoi soldati. Questi glieli lasciò, per condividere il suo trionfo, seppure anche loro non lo seguissero molto allegramente [il vecchio comandante].»

(Plutarco, Vita di Lucullo, 36, 2-4)

«[…] si vide venire incontro Lucullo, il quale disse a Pompeo che la guerra era finita, che non era più necessario fare un’altra campagna militare e che erano già giunti gli uomini inviati dal Senato, per governare su quelle regioni. Poiché Pompeo non acconsentì a ritirarsi, Lucullo lo insultò, chiamandolo affarista e avido di potere. Pompeo non se la prese, ed avendo ordinato che nessuno gli desse retta, mosse contro Mitridate, desideroso di scontrarsi con lui.»

(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 46, 1-2)

Tra il 66 e il 62 a.C. Pompeo estese il dominio romano su praticamente tutto l’oriente fino alla Mesopotamia; sconfisse Mitridate, Tigrane, conquistò la Siria ponendo fine al regno seleucide di Antioco XIII e infine prese Gerusalemme. Creò infine la nuova provincia di Siria e Ponto (unito alla Bitinia), mentre la provincia d’Asia, la più ricca e importante d’oriente, veniva ampliata.

Le enormi ricchezze tratte dall’oriente furono in parti ridistribuite come donativi all’esercito; ogni soldato ricevette 1.500 dracme attiche e molto di più, in proporzione, gli ufficiali, per un totale di ben 16.000 talenti. Infine, imbarcatosi a Efeso, fece ritorno a Roma nell’autunno del 62 a.C., dove avrebbe celebrato un altro trionfo, il terzo, e avrebbe ricevuto il titolo di Magno.

«Furono catturate e condotte nei porti 700 navi armate di tutto punto. Nella processione trionfale vi erano due carrozze e lettighe cariche d’oro o con altri ornamenti di vario genere; vi era anche il giaciglio di Dario il Grande, figlio di Istaspe, il trono e lo scettro di Mitridate Eupatore, e la sua immagine a quattro metri di altezza in oro massiccio, oltre a 75.100.000 di dracme d’argento. Il numero di carri adibiti al trasporto di armi era infinita, come pure il numero dei rostri delle navi. […] Davanti a Pompeo furono condotti satrapi, figli e comandanti del re [del Ponto] contro i quali [Pompeo] aveva combattuto, che erano (tra quelli catturati e quelli dati in ostaggio) in numero di 324. Tra questi c’era il figlio di Tigrane II, cinque figli maschi di Mitridate, chiamati Artaferne, Ciro, Osatre, Dario e Serse, ed anche due figlie, Orsabari ed Eupatra. […] su un cartello era rappresentata questa iscrizione: rostri delle navi catturate pari a 800; città fondate in Cappadocia pari a 8; in Cilicia e Siria Coele pari a 20; in Palestina pari a quella che ora è Seleucis; re sconfitti erano l’armeno Tigrane, Artoce l’iberico, Oroze d’Albania, Dario il Mede, Areta il nabateo ed Antioco I di Commagene. […] Tale era la rappresentazione del trionfo di Pompeo.»

(Appiano di Alessandria, Guerre mitridatiche, 116-117)


«Le iscrizioni [del corteo trionfale] indicavano le nazioni su cui [Pompeo] aveva trionfato. Questi erano: Ponto, Armenia, Cappadocia, Paflagonia, Media, Colchide, Iberia, Albania, Siria, Cilicia, Mesopotamia, Fenicia, Palestina, Giudea, Arabia e tutta la potenza dei pirati di mare e terra che erano stati sconfitti. Tra questi popoli furono catturate non meno di 1.000 fortezze, secondo le iscrizioni, e non meno di 900 città, oltre ad 800 navi pirata, e 39 città fondate. Oltre a tutto questo, le iscrizioni riportavano che, mentre i ricavi pubblici dalle tasse erano stati pari a 50 milioni di dracme, a cui se ne aggiungevano altri 85 milioni dalle città che Pompeo aveva conquistato e che andarono a costituire il tesoro pubblico, coniato da oggetti d’oro e d’argento per 20.000 talenti; oltre il denaro che era stato distribuito ai suoi soldati, tra i quali, quello a cui era stato dato la quota minore aveva ricevuto 1.500 dracme. Tra i prigionieri portati in trionfo, oltre al capo dei pirati, c’era il figlio di Tigrane con la moglie e la figlia, Zosimo con la moglie dello stesso re Tigrane, Aristobulo re dei Giudei, una sorella e cinque figli di Mitridate, alcune donne scite, oltre ad ostaggi dati dal popolo degli Iberi, degli Albani e dal re di Commagene; c’erano anche moltissimi trofei, in numero pari a tutte le battaglie in cui Pompeo era risultato vittorioso (compresi i suoi legati). Ma quello che più di ogni altra cosa risultava emergere per la sua gloria fu che nessun romano prima di allora aveva mai celebrato il suo terzo trionfo sopra tre differenti continenti. Altri avevano celebrato tre trionfi, ma lui ne aveva celebrato uno sulla Libia, il suo secondo in Europa e l’ultimo sull’Asia, in modo che sembrava avesse incluso tutto il mondo nei suoi tre trionfi.»

(Plutarco, Vita di Pompeo, 45, 2-5)

Dal triumvirato alla guerra civile

Contrariamente a quanto temuto da molti, Pompeo sciolse l’esercito e non si presentò alle elezioni consolari per l’anno successivo anche se avrebbe voluto, perché varcare il pomerium gli avrebbe fatto perdere il diritto al trionfo. Pompeo non si impuntò e si adeguò al volere del senato, ma fece pressioni per far eleggere un suo pupillo, Afranio; pare che ci furono grossi esempi di corruzione per la sua elezione, con moltissimi che si recavano a casa di Pompeo fuori dal pomerium.

Nonostante Pompeo e Crasso non avessero grossa stima reciproca, entrambi miravano al potere ma ne erano in qualche modo ostacolati dalla situazione. Si insinuò in questo contesto un senatore romano, discendente da una nobilissima famiglia, Gaio Giulio Cesare. Quest’ultimo propose a entrambi di formare un triumvirato, un accordo privato, in cui l’elezione di uno dei tre avrebbe potuto aiutare gli altri; Pompeo aveva bisogno ad esempio di distribuire le terre ai veterani, ma senza il consolato non poteva farlo.

Nel 59 a.C. infatti Cesare sarà eletto console, assicurandosi per l’anno successivo il comando della Gallia Cisalpina e l’Illirico, da cui sarebbe iniziata la campagna gallica, mentre Pompeo otteneva la Spagna, che governava però da Roma.

Nel 56 a.C. a Lucca ci fu un nuovo incontro tra i triumviri, con Cesare che aveva acquisito ormai un ruolo paritario; venne deciso che l’anno successivo sarebbero stati consoli Pompeo e Crasso, con quest’ultimo che avrebbe avuto il comando della Siria, per attaccare i parti (dove trovò la morte a Carre nel 53 a.C.), mentre a Cesare veniva rinnovato per cinque anni il comando proconsolare in Gallia. Pompeo invece continuava a governare la Spagna in absentia, da Roma.

L’incontro di Lucca è emblematico dello stato di corruzione in cui versava ormai la repubblica, controllata da pochi uomini facoltosi e potentissimi, che potevano manipolare le elezioni a loro piacimento, elargendo somme di denaro e favori ai propri clientes.

La fine

Con la scomparsa di Crasso, Pompeo forse non si rese conto del peso che aveva acquisito Cesare, sottovalutandolo. Dopo l’attraversamento del Rubicone probabilmente credeva che le sue ricchezze e clientele in tutto il Mediterraneo gli avrebbero permesso di avere talmente tanti soldi e soldati che Cesare non sarebbe mai potuto essere un problema per lui.

Tuttavia venne sconfitto da quest’ultimo a Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C. Ripiegò, sconfitto, ad Alessandria, dove mirava di ottenere l’aiuto dei sovrani tolemaici. Ma Tolomeo XIII, forse per ottenere il favore di Cesare, lo fece assassinare e quando questi arrivò ad Alessandria gli diede la sua testa. Ma Cesare reagì disgustato secondo Cassio Dione:

«Cesare dunque, avendo visto la testa di Pompeo, si mise a piangere e si lamentò, chiamandolo cittadino e genero, ed enumerando tutto quanto un tempo si erano dati in cambio l’uno con l’altro. Disse che non c’era modo di esser debitore a quelli che lo avevano ucciso di una qualche gratitudine, anzi li accusava, e ordinò ad alcuni (del seguito) di adornarla, di disporla convenientemente e di seppellirla»

Plutarco aggiunge:

«… si girò via con ripugnanza, come da un assassino; e quando ricevette l’anello con il sigillo di Pompeo su cui era inciso un leone che tiene una spada nelle sue zampe, scoppiò in lacrime.»


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