«Probo era nato in Pannonia, nella città di Sirmio; era nobile più per parte di madre che di padre; aveva un patrimonio modesto, una parentela non molto estesa e tanto da privato che da imperatore ebbe a rifulgere per la grande fama delle sue virtù. Secondo quanto riferito da alcuni, il padre di Probo si chiamava Massimo: questi, dopo aver ricoperto con pieno merito l’ufficio di centurione e aver ottenuto il tribunato, morì in Egitto lasciando la moglie, un figlio e una figlia. Molti affermano che Probo era parente dell’ottimo e veneratissimo imperatore Claudio, ma questa questione –giacché la notizia è riferita unicamente da un autore greco – noi la lasceremo in sospeso. Un particolare tuttavia voglio qui riportare, che ricordo di aver letto in una effemeride, e cioè che Probo venne sepolto dalla sorella Claudia. Ancora ragazzo Probo divenne così famoso per la sua forza fìsica, che era quasi imberbe quando per decisione di Valeriano ricevette il tribunato. Possediamo una lettera di Valeriano a Gallieno, nella quale egli fa le lodi dell’ancor giovane Probo, proponendolo all’ammirazione di tutti. Dal che appare che nessuno è mai giunto al sommo delle virtù già in età matura, se non uno che, allevato da ragazzo nel nobile vivaio delle virtù, abbia dato già allora qualche segno di distinzione.»

(Historia Augusta, Probo, 3, 1-7)

«Sarebbe troppo lungo se volessi elencare minutamente tutte le imprese di un così grande personaggio, da lui compiute, ancor prima di salire al potere, sotto Valeriano, sotto Gallieno, sotto Aureliano e Claudio: quante volte, cioè, scalò le mura nemiche, abbatté le trincee, uccise i nemici lottando a corpo a corpo, meritò i doni degli imperatori, restituendo con il suo valore lo Stato alla sua antica condizione.»

(Historia Augusta, Probo, 6, 1-2)


Dopo la morte di Aureliano era diventato imperatore Tacito, un anziano senatore che vantava di discendere dall’omonimo senatore e storico; ma era morto già l’anno seguente, e Floriano, suo fratellastro, cercò di essere il suo successore. Ma l’esercito scelse invece un valente comandante, Probo.

«Grande fu sempre l’affetto dei soldati nei confronti di Probo, né egli tollerò mai alcuna insubordinazione da parte loro. Egli riuscì anche spesso a distogliere Aureliano dal prendere provvedimenti severi e crudeli. Egli passava in rassegna uno per uno i soldati semplici, ispezionava le vesti e le calzature, e se c’era del bottino lo divideva in modo da non tenere per sé null’altro che dardi e armi. Inoltre, una volta, in mezzo al bottino strappato agli Alani o a qualche altro popolo – questo non si sa bene – fu trovato un cavallo non particolarmente bello né grande ma che, a detta dei prigionieri, aveva fama di poter correre cento miglia al giorno, continuando ininterrottamente per otto o dieci giorni: tutti si aspettavano che Probo avrebbe riservato per sé l’animale, ma egli prima di tutto esclamò: «Questo cavallo si addice di più ad un soldato avvezzo a fuggire che non ad uno valoroso». Poi ordinò ai soldati di introdurre in un’urna i loro nomi, onde uno di essi, estratto a sorte, avesse a riceverlo. Ed essendovi nell’esercito altri quattro soldati di nome Probo, il caso volle che uscisse come primo il nome di Probo, sebbene il nome del generale Probo non fosse stato introdotto. Ma poiché quei quattro soldati litigavano fra di loro, ciascuno rivendicando a suo favore il risultato del sorteggio, egli fece di nuovo agitare l’urna, ma ne uscì per la seconda volta il nome di Probo; e riprovando una terza e quarta volta, anche alla quarta venne estratto il nome di Probo. Allora tutto l’esercito – d’accordo anche quegli stessi soldati i cui nomi erano stati estratti – volle riservare quel cavallo al generale Probo.»

(Historia Augusta, Probo, 8, 1-7)

Imperatore

Probo era originario di Sirmio, ed era nato da una famiglia modesta, il 19 agosto 232. Forse era stato dux (o corrector) totius Orientis sotto Tacito; era il 276 quando venne acclamato Augusto, proprio in oriente. Lo scontro con Floriano avvenne a Tarso. Probo attese che la peste e il caldo facesse il suo corso, finché i suoi stessi soldati non uccisero Floriano:

«Mentre dunque si era reso famoso per tanti e tali meriti, allorché Tacito compì il suo destino e Floriano si impadronì del potere, tutti gli eserciti d’Oriente lo elessero imperatore. Può costituire un aneddoto non banale e piacevole da conoscere, il modo in cui Probo assunse l’impero: appena giunse agli eserciti la notizia, il primo pensiero dei soldati fu di prevenire l’esercito d’Italia, onde non fosse nuovamente il senato a scegliere l’imperatore. Si cominciò a discutere fra i soldati su chi dovesse essere eletto, e girando per il campo di reparto in reparto i tribuni si rivolgevano ad essi raccomandando che bisognava nominare un principe valoroso, onesto, morigerato, clemente e probo, e questi discorsi si facevano in molti crocchi, come sempre accade; ma ad un certo punto, quasi per un cenno divino, da ogni parte si levò un’acclamazione generale: «Probo Augusto, gli dèi ti salvino!». Subito dopo ci fu un accorrere da ogni parte e venne innalzato un palco di zolle erbose: egli fu proclamato imperatore e rivestito di un manto purpureo tolto ad una statua del tempio, e di lì ricondotto al Palazzo, sebbene manifestasse la sua disapprovazione e si schermisse, ripetendo più volte: «Non vi conviene, o soldati, non potrà andarvi bene con me. Io non sono capace di blandirvi». La sua prima lettera, inviata al prefetto del pretorio Capitone, fu in questi termini: «Non ho mai desiderato l’imnere pero e l’ho accolto contro voglia. Non mi è consentito di disfarmi di questa odiosissima responsabilità. Debbo recitare la parte che i soldati mi hanno imposto. Ti prego, Capitone – così possa tu con me godere del bene dello Stato – provvedi ai soldati viveri, provviste e tutto quanto è necessario in ogni località. Per quanto sta in me, se regolerai bene ogni cosa, non vorrò mai avere un altro prefetto». I soldati di Floriano, appresa la notizia dell’elezione di Probo, uccisero costui, che aveva arraffato l’impero quasi si fosse trattato di una successione ereditaria, ben sapendo che nessuno più degnamente di Probo poteva rivestire il potere. Così, senza noie di sorta, gli fu conferito l’impero di tutto il mondo per giudizio unanime dell’esercito e del senato.»

(Historia Augusta, Probo, 10, 1-8)

Dopo aver sedato una rivolta in Egitto e firmato la pace con i persiani, Probo tornò in occidente, dove Proculo in Gallia e Bonoso in Germania avevano reclamato la porpora. Assediati, Proculo venne consegnato dai suoi a Probo, mentre Bonoso si suicidò. Quest’ultimo era stato una delle migliori spie di Aureliano, pare infatti che reggesse in modo straordinario il vino e venisse inviato a bere con uomini di cui cercava di carpire informazioni. Messo in sicurezza il confine renano, catturò molti barbari, destinandone più di diecimila all’esercito e insediandone molti altri nell’impero:

“Arruolò inoltre sedicimila reclute, che distribuì tutte per le varie province, dislocandole a gruppi di cinquanta o sessanta fra i vari reparti e i presidi di confine, affermando che, quando Roma si giova dell’apporto di ausiliari barbari, di questo si deve sentire l’effetto, ma non bisogna che si veda. Sistemate dunque le cose in Gallia, inviò al senato questa lettera: «Ringrazio, o senatori, gli dèi immortali, poiché hanno confermato il vostro giudizio nei miei confronti. La Germania è stata sottomessa in tutta la sua estensione, nove re di diversi popoli si sono prostrati supplici ai miei, anzi ai vostri piedi. Ormai tutti i barbari arano per voi, vi fanno da schiavi, e combattono contro le genti dell’interno. Decretate dunque, secondo la vostra tradizione, solenni funzioni di ringraziamento. Abbiamo infatti ucciso quattrocentomila nemici, sono stati messi a nostra disposizione sedicimila armati, settanta delle città più illustri sono state affrancate dalla schiavitù nemica e tutta la Gallia è stata completamente liberata. Le corone d’oro che mi sono state offerte da tutte le città della Gallia, le ho dedicate, o senatori, alle Clemenze Vostre. Consacratele con le vostre mani a Giove Ottimo Massimo e a tutti gli altri dèi e dee immortali. Il bottino è stato tutto ricuperato, e ne è stato fatto anche dell’altro, e più abbondante di quello che era stato in precedenza carpito. Le terre di Gallia vengono arate dai buoi dei barbari e le pariglie germaniche offrono prigioniere il collo ai nostri agricoltori, i greggi di varie popolazioni pascolano per il nutrimento della nostra gente, i loro cavalli ormai vengono fatti riprodurre per rifornire la nostra cavalleria, i granai sono pieni di frumento barbarico. Che cosa si può chiedere di più? Lasciamo loro soltanto il suolo, tutti i loro beni sono nelle nostre mani. Avremmo voluto, o senatori, nominare un nuovo governatore della Germania, ma abbiamo rimandato la cosa a quando la situazione sarà più conforme alle nostre attese. Riteniamo che ciò possa risultare utile allorché la provvidenza degli dèi avrà favorito ancora di più i nostri eserciti».”

(Historia Augusta, Probo, 14,7 – 15,7)

Morte

Dopo aver vinto ovunque, celebrò uno sfarzoso trionfo a Roma. Tuttavia, mentre si trovava Sirmio, nel 282, fu ucciso dai suoi soldati. Quest’ultimi temevano sia ciò che ripeteva l’imperatore (che presto non ci sarebbe stato più bisogno di soldati) sia che li continuava ad usare senza sosta per la realizzazione di opere pubbliche:

“Concluso ciò, mentre attraversava l’Illirico apprestandosi alla guerra contro la Persia, fu ucciso a tradimento dai suoi soldati. Le cause che portarono alla sua uccisione furono queste: in primo luogo il fatto che non lasciava mai riposare i soldati, dato che realizzò molte opere valendosi del loro lavoro, affermando che il soldato deve guadagnarsi il pane che mangia. A ciò aggiungeva un’affermazione dura per essi, se mai si avverasse – anche se sarebbe di beneficio allo Stato –, che cioè nel giro di breve tempo non vi sarebbe stato più bisogno di soldati. Che cosa aveva in mente colui che diceva questo? Non aveva forse posto sotto i suoi piedi tutte le genti barbare e reso ormai romano tutto il mondo quanto è grande? «Tra breve», disse, «non avremo più bisogno di soldati». Che altro è dire: ormai non vi sarà più alcun soldato romano? Fra poco lo Stato eserciterà sicuro la sua sovranità ovunque e sarà padrone di tutto, il mondo non fabbricherà più armi, né provvederà ai rifornimenti militari, i buoi saranno posseduti solo per arare, i cavalli nasceranno per servire ad opere di pace, non vi saranno più guerre né prigionie, ma dappertutto la pace, le leggi romane, i nostri magistrati. Ma nel mio amore per questo eccellente imperatore mi sto lasciando trascinare più oltre di quanto non richieda il mio stile terra terra. Perciò aggiungerò solo la circostanza che più d’ogni altra ebbe ad affrettare il tragico destino di un tale uomo. Essendo dunque arrivato a Sirmio e avendo intenzione di bonificare ed ampliare il territorio della sua città natale, mise al lavoro contemporaneamente molte migliaia di soldati al prosciugamento di una palude, onde creare un grande canale sfociante nella Sava, grazie al quale avrebbe prosciugato dei terreni che avrebbero costituito una fonte di ricchezza per i Sirmiesi. Esasperati da ciò i soldati, raggiuntolo mentre cercava rifugio in una torre ferrata che aveva fatto innalzare a grande altezza quale posto di vedetta, lo uccisero, nel quinto anno del suo regno. In seguito però tutti i soldati insieme gli eressero un grande sepolcro, innalzato su di un tumulo di terra, con un epitaffio inciso nel marmo che suonava così: «Qui giace l’imperatore Probo, e probo davvero, vincitore di tutti i popoli barbari, vincitore anche degli usurpatori».”

(Historia Augusta, Probo, 20,1 – 21,4)

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