«Sarei certamente arrivato fino in India, se fossi ancora giovane»
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 29)
«Sarei certamente arrivato fino in India, se fossi ancora giovane»
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 29)
Il legionario dell’epoca di Traiano era armato con un elmo, una corazza (segmentata, hamata o squamata), lo scutum rettangolare, due pila e un gladio. A questi si aggiunsero gli schinieri tornati di moda per contrastare le falci daciche e vennero aggiunte delle maniche segmentate per lo stesso motivo. Anche gli elmi vennero rinforzati per resistere ai fendenti con una calotta a croce e delle tese e paranuche più ampie. La tattica della legione, distribuita su 10 coorti schierate in duplex o triplex acies (o due linee da 5 coorti o tre da 4, 3, 3 coorti), era di ingaggiare il nemico dopo il fuoco delle macchine come scorpioni e carroballiste (balliste montate su carri) e le raffiche di arcieri, frombolieri e ausiliari armati alla leggera. Il nemico già indebolito veniva caricato con il lancio dei pila a distanza ravvicinata, che erano stati rinforzati nell’ultimo secolo con una palla di piombo per aumentarne il danno. Il pilum generalmente trapassava lo scudo e se non lo faceva rendeva impossibile usarlo. Arrivati al corpo a corpo l’enorme esperienza e disciplina delle legioni, unita alla terribile efficacia del gladio, usato per pugnalare più che per menare fendenti, rendeva spesso la vittoria romana una mera questione di tempo.
Traiano otterrà una grande vittoria, tanto che: «Decebalo dopo essersi presentato dinanzi Traiano, si prostrò a terra supplice e gettò a terra le armi.»