«L’ordine di battaglia dell’esercito romano è molto difficile da rompere, dal momento che consente a ogni uomo di combattere sia singolarmente che collettivamente.»
Il tramonto della falange macedone
Filippo II di Macedonia (359-336 a.C.) perfezionò la falange oplitica, non semplicemente alleggerendo l’equipaggiamento, ma suddividendo la fanteria pesante in due categorie. La prima era quella degli hypaspistai, “i portatori di scudi dei compagni” (ὑπασπισταὶ τῶν ἑταίρων), che portava il grosso aspis falangitico e combatteva in modo simile alla falange tradizionale. Gli hypaspistai erano raggruppati in chiliarchie di circa 1.000 uomini. A questi si affiancò il nerbo del nuovo esercito falangitico (τὰξις), i pezeteri, che erano dotati di lunghissime sarisse, delle lance lunghe più di 5 metri, che si reggevano con due mani. Anche la formazione era diversa, poichè la tradizionale profondità di 8 file della falange lasciava spazio a quella da 16, che era la stessa in lunghezza, per un totale di 256 uomini, che formavano un achiliarchia più piccola degli hypaspistai (i quali coprivano i fianchi dei pezeteri insieme alle altre truppe ausiliarie). Tale sistema però si scontrò con il più elastico manipolo romano, che nella battaglia di Cinoscefale, Magnesia e Pidna mostrò la debolezza della staticità della falange, fatta a pezzi anche grazie al terribile gladio ispaniense: racconta Tito Livio che i macedoni rimasero terrorizzati dal vedere i cadaveri dei loro caduti fatti a pezzi a Cinoscefale.
La struttura della legione romana
Il reparto più piccolo all’interno della legione era il contubernium di 8 uomini, che formava un’unica tenda, comandati da un decano. Dieci contubernia andavano a formare la centuria di 80 uomini, la più piccola unità tattica in seno alla legione.
I triarii
«Qualora anche i principes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla prima linea fino ai triarii. Da qui l’espressione in latino “Res ad Triarios rediit” (“essere ridotti ai Triarii”), quando si è in difficoltà.»
La seconda guerra sannitica
La seconda guerra tra romani e sanniti fu molto più lunga e complessa della prima, tanto da durare vent’anni, dal 326 al 304 a.C. Lo scontro scaturì da una serie di atti ostili da ambo le parti. I romani fondarono nel 328 a.C. una colonia a Fregellae, presso l’odierna Ceprano, sulla riva orientale del fiume Liri, cioè in un territorio che i sanniti consideravano loro. Nonostante l’umiliazione delle Forche Caudine raccontata da Livio, i romani riuscirono a vincere la guerra: « li avrebbero fatti passare sotto il giogo, disarmati, vestiti della sola tunica. Le altre condizioni di pace accettabili ai vinti e ai vincitori: il ritiro dell’esercito dal territorio dei sanniti e quello delle colonie ivi mandate; in seguito romani e sanniti sarebbero vissuti ciascuno con le proprie leggi in giusta alleanza. »
La battaglia di Pidna
La battaglia di Pidna segnò il definitivo tramonto della falange macedone a vantaggio della legione romana. I legionari riuscirono a infilarsi tra le sarisse e compiere un massacro.
Lo schieramento romano in battaglia
I romani cambiarono più volte il loro modo di combattere, passando dalla tattica manipolare a quella della coorte.
Legione contro falange
Sebbene sulla carta la falange fosse più forte, nella pratica i romani riuscirono ad adattarsi e massacrare i nemici che la utilizzavano.
La legione romana
La legione romana nel corso del tempo muta da contadini-soldati che difendono la terra a forza professionale e volantaria regolarmente retribuita.
Il centurione – il nerbo dell’esercito romano
I centurioni fin dall’epoca repubblicana erano scelti tra i migliori combattenti della centuria, ma in alcuni casi, a partire dal principato, giovani di buona famiglia saltavano la gavetta e prendevano direttamente il posto di centurione.