Grazie alla vittoria nella seconda guerra punica, la repubblica romana, prima incentrata sull’Italia, si era espansa in tutto il Mediterraneo e dopo la donazione di Pergamo da parte di Attalo III anche in Asia. Infine la conquista di Cartagine nel 146 aveva spinto i romani verso l’Africa. Questa enorme dilatazione, che comportava guerre continue e pluriennali, aveva allontanato per anni i piccoli proprietari terrieri che formavano le legioni dalle loro terre.

Infatti il reclutamento era censitario: i più poveri non potevano essere reclutati e diventavano sempre di più. Molti contadini impoveriti poiché i loro appezzamenti erano caduti in rovina erano migrati nell’Urbe, rimpinguando il numero di nullatenenti che gravavano enormemente sul bilancio pubblico. Poiché la situazione stava sfuggendo di mano e molti senatori e cavalieri stavano cominciando a creare enormi latifondi, che restringevano ulteriormente il bacino di reclutamento, il tribuno della plebe Tiberio Sempronio Gracco decise di riformare la distribuzione di terre.

Tiberio Gracco, nipote di Scipione (sua madre Cornelia ne era la figlia), ricevette un’eccellente educazione, grazie a migliori insegnanti greci. Combatté in Spagna come questore di Ostilio Mancino, dove cominciò a rendersi conto della situazione di profondo disagio dei legionari. D’altra parte le enormi ricchezze che venivano raccolte dalle continue spedizioni militari non venivano neanche ridistribuiti equamente, andando ad arricchire spesso i comandanti, già più ricchi, che ne traevano ulteriormente vantaggio a scapito dei poveri.

Di fatto poi i nuovi terreni dell’ager publicus, sebbene di dominio pubblico, venivano nella realtà occupati abusivamente dai comandanti, che coincidevano spesso con la categoria dei latifondisti, rendendo vana ogni speranza di nuove terre per i più poveri. Inoltre l’enorme apporto di schiavi che seguiva queste conquiste permetteva ai latifondisti di appropriarsi di manodopera a bassissimo prezzo, rendendo vane anche le speranze di tornare a lavorare come affittuari per i contadini.

Le riforme di Tiberio Gracco


Tiberio venne eletto tribuno della plebe nel 133 a.C. Subito cercò di promulgare una lex agraria da far votare ai comizi, con l’appoggio del pontefice Publio Licinio Crasso Dive Muciano e del console Publio Muzio Scevola. La legge stabiliva che nessuno potesse occupare più di 500 iugeri di ager publicus (circa 125 ettari), più 250 per ogni figlio, per un massimo totale di 1.000. I terreni confiscati sarebbero stati distribuiti in modo che ognuno avesse almeno 30 iugeri.

La legge, non rivoluzionaria, in quanto non poneva limiti all’accumulo e all’estensione della proprietà privata, preveniva più che altro l’occupazione indebita di suolo pubblico. Tuttavia le critiche furono durissime fin da subito: da un lato i grandi proprietari terrieri, dall’altro i coloni italici, che richiedevano di ottenere la cittadinanza romana per beneficiare delle distribuzioni.

Gli oppositori cercarono sostegno nel tribuno della plebe Marco Ottavio, che pose il veto sulla questione, facendo revocare perfino Tiberio in quanto secondo lui non agiva nell’interesse della plebe. Tiberio per tutta risposta scrisse una legge ancora più restrittiva, lanciando una lotta dialettica tra i due; Tiberio riuscì a far passare una norma che prevedeva che il senato non avesse potuto discutere altro fino all’approvazione della lex agraria.

Nel clima torrido che si creò, il giorno della votazione si rischiò lo scontro armato; il giorno dopo l’approvazione della legge il concilio della plebe approvò la destituzione di Ottavio, che per poco non venne scannato. In quello stesso anno Attalo III morì e donò il regno di Pergamo a Roma; si ripropose il problema della distribuzione di terre, con Tiberio che chiese la distribuzione tra la plebe.

Poiché il suo mandato come tribuno era quasi terminato, ma non il suo progetto politico, Tiberio pensò di ricandidarsi (andando contro la lex Villia del 180 a.C. che lo proibiva esplicitamente) e propose nuove leggi che andavano a minare il potere dei senatori come il diritto di appello contro tutti i magistrati e l’ingresso di cavalieri in senato.

Il giorno della votazione Tiberio fu informato che i suoi detrattori volevano uccidere il console Muzio Scevola a lui favorevole e cominciò a scoppiare il panico, con i partigiani del tribuno che cominciarono a impugnare le armi, atto eversivo in quanto totalmente vietato all’interno di Roma. I nemici di Gracco non persero l’occasione e si precipitarono in senato invocando il tumultus, ossia la resistenza armata contro gli eversori: il pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica Serapione, cugino di Tiberio, si fece portatore della tradizione e guidò la spedizione fino al Campidoglio, dove si trovava il tribuno, che venne ucciso a bastonate. Il suo cadavere fu poi gettato nel Tevere e i suoi sostenitori condannati a morte o esiliati senza processo, mentre la spartizione di terre avvenuta non venne ritirata.

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